CHI E’ TARRIO, IL LEADER DEI PROUD BOYS DI TRUMP, ARRESTATO A WASHINGTON
BANDIERE STRAPPATE E BOTTE COME RITO D’INIZIAZIONE, DONNE ESCLUSE E ODIO RAZZIALE: LA SINTESI SUPREMATISTA
A poco più di tre mesi di distanza dalla loro comparsa in diretta mondiale – in realtà , esistono da quattro anni – il gruppo sovranista americano Proud Boys torna agli onori della cronaca.
Il leader Enrique Tarrio è stato arrestato a Washington, dove si erano radunati i fedeli di Donald Trump per la seconda volta dal 3 novembre dopo la sua esplicita richiesta, in attesa del voto al Senato previsto per oggi che certificherà i risultati del Collegio elettorale.
Dalla ricostruzione del New York Times, Tarrio (36 anni, di origini cubane a capo anche del movimento Latinos for Trump) al momento dell’arresto aveva con sè due caricatori da arma da fuoco ad alta capacità ed è stato fermato dalla polizia per un episodio risalente a un mese fa, quando strappò una bandiera Black Lives Matter da una storica chiesa nera della capitale. A quella provocazione seguirono scontri anche violenti, con diversi accoltellamenti. .
“Avevano messo fuori la bandiera di Black Lives Matter” ha dichiarato Tarrio al Corriere della Sera. “Quelli di Black Lives Matter sono terroristi e io sono orgoglioso di ciò che ho fatto”. Tarrio si dice pronto a pagare se così sarà , ma “non penso che siano così stupidi da incriminarmi”.
Il presidente Trump, durante il primo dibattito televisivo con Joe Biden, incalzato – neanche troppo – dal moderatore Chris Wallace di Fox News riguardo la sua stretta relazione con il mondo dell’Alt Right, aveva inviato gli estremisti a “mantenere la calma e tenersi pronti”. Tradotto da Tarrio: “Rilassatevi, aspettate fino a dopo le elezioni e restate al mio fianco. E l’abbiamo fatto dal primo giorno”.
Le manifestazioni previste in questi giorni non sono paragonabili a quelle di luglio scorso, quando in seguito all’omicidio di George Floyd vennero schierati 5mila soldati della Guardia Nazionale dell’Esercito.
Ma le trecentoquaranta persone chiamate a presidiare le strade a Washington in aiuto delle forze dell’ordine locali, circa il 15% delle 2.700 forze della Guardia Nazionale del Distretto di Columbia, preoccupano per un’altra motivazione.
L’esercito risponde al Presidente e si teme, come durante l’estate scorsa, che Trump possa utilizzare l’espediente dei disordini per arrogarsi il diritto di utilizzare le truppe federali, possibilità scongiurata all’epoca dal suo segretario di Stato Mark Esper e dal presidente del Joint Chiefs, il generale Mark Milley.
Le speranze di Trump di poter ribaltare il voto di novembre sono prossime allo zero e il tentativo estremo, quasi disperato – come dimostra la chiamata al Segretario di Stato della Georgia pubblicata dal Washington post – sul quale sta facendo leva è quello di dimostrare la rabbia dell’America che non accetta la sua sconfitta.
Un disagio che, contrariamente a quanto potrebbe indicare la vittoria di Biden, esiste ed è ben radicato. Come sostenuto da Tarrio, soltanto nei Proud Boys militavano “ventiduemila” persone “in tutto il mondo, dodici mila negli Stati Uniti”.
L’imperfetto è giustificato poichè questi numeri fanno riferimento a prima del dibattito presidenziale, “grazie ad esso credo che il numero sia raddoppiato”, specialmente per via all’endorsment di Trump. Ma a pensarla come loro, sono molto più che qualche decina di migliana di persone.
“Non penso sia stata una buona mossa” quella di liquidare la questione suprematista assecondando il conduttore, “ma nè io nè i Proud Boys abbiamo bisogno del presidente per essere chi siamo. C’è chi pensa che una volta che Trump sarà fuori dalla Casa Bianca sarà finita”. Ma avverte: “Non capiscono che Trump non è più una persona, è un movimento”.
Quanto sostenuto da Tarrio è vero. Donald Trump ha semplicemente dato una spinta a un mondo, quello sovranista, da anni soffocato nell’America più profonda, rurale, che si sente l’ultimo baluardo in difesa di quella Costituzione tradita dal governo federale, di cui i Proud Boys si fanno portavoce.
Ha molta poca importanza il fatto che dodici anni dell’ultimo ventennio siano stati di stampo repubblicano, anzi. Secondo loro, il primo a tradire i valori costituzionali è stato proprio l’establishment del GOP. Mitt Romney, Marco Rubio, solo per citare le ultime figure etichettate come “nemici e serpi”, colpevoli come altri di essersi svincolati da un patto tacitamente siglato tra elettori ed eletti, durante la campagna presidenziale di Ronald Reagan negli Stati del Sud. Era un’altra storia e, soprattutto, un’altra America.
I Proud Boys – ma in questo elenco possono essere compresi anche QAnon, i Boogaloo Boys e l’Alt-right – rispettano alla lettera il diritto alla difesa, sancito dal Secondo emendamento, e respingono tutto ciò che viene dal mondo globalizzato, diritti civili inclusi, che invece il partito repubblicano ha abbracciato nel corso degli anni.
Nelle loro riunioni, dove le donne non sono ammesse (“Non dobbiamo giustificarci. Gli uomini hanno bisogno di tempo tra uomini”), si celebrano il suprematismo americano e occidentale, e nel momento in cui si entra nel gruppo bisogna esternare, attraverso giuramento, “il proprio rifiuto a scusarsi per aver creato il mondo moderno”.
Dopo, al nuovo arrivato spetta un pestaggio come rito di iniziazione da parte di cinque membri: “Ma non ti picchiano forte”, piuttosto sono “i media che sensazionalizzano”. Trovare un nemico, che sia la stampa, gli immigrati, le donne, o escogitare teorie complottiste è una caratteristica intrinseca a questa parte di elettorato statunitense. Diffondono le loro teorie sui social, le mischiano con quelle che leggono e danno vita a un mondo a parte che ha conseguenze su quello reale.
Come accadde durante la campagna presidenziale del 2016 volta a screditare Hilary Clinton, quando venne costruita la teoria del Pizzagate in base alla quale i democratici stupravano bambini in una comune pizzeria di Washington, conclusasi con il gesto estremo di un 28enne che entrò nella Comet Ping Pong armato di fucile per volere indagare sulla questione. Venne arrestato, naturalmente.
I Proud Boys hanno come avversari sia degli Antifa – termine quasi sconosciuto negli Stati Uniti, più caro al mondo europeo, diventato di moda per distinguere tutto ciò che questi gruppi rifiutano – sia dei repubblicani (eccetto Trump) e sostengono tutt’oggi di non venerare la razza bianca. Affermazione che cozza con la realtà , quando nel 2018 vennero inseriti dall’Fbi tra i gruppi vicini al suprematismo bianco.
In quell’anno gli venne bandito il profilo Facebook (poi vennero bloccati un po’ ovunque sul resto dei social, tanto che ora utilizzano la piattaforma di estrema destra, Parler) e fu arrestato il loro fondatore Gavin McInnes, co-ideatore della rivista Vice, uno che non si definava razzista nè antisemita, piuttosto un difensore dei valori occidentali. “Siamo maschi cui piace essere maschi, veneriamo le casalinghe, glorifichiamo l’impresa, siamo convinti che l’Occidente sia il meglio, amiamo la libertà di espressione e il secondo emendamento, siamo contro la guerra alla droga e per i confini chiusi. La razza per noi non è un tema”, aveva dichiarato a una radio conservatrice.
Ieri, l’altro leader dei Proud Boys è stato arrestato ma non è stata indebolita l’organizzazione, fondata da un sentimento di odio diffuso in gran parte delll’America a cui Joe Biden dovrà dare risposta.
Nel frattempo, i cittadini sono chiamati di nuovo a un voto, ancora decisivo. Trump ha definito la posta in gioco in Georgia “come una delle più alte” e non può essere altrimenti. Da lì si capirà a chi andrà il controllo del Senato. “Il nostro Paese dipende da voi. Il mondo intero guarda alla gente della Georgia”, ha dichiarato dal palco dell’aeroporto di Dalton. Al 31 dicembre, erano oltre tre milioni gli elettori che avevano già votato da remoto, una buona notizia per Joe Biden. Comunque vada, quest’utlimo deve tenere bene a mente che Trump e trumpismo sono due elementi separati: sconfiggere uno non vuol dire spazzare via l’altro. I movimenti estremisti come i Proud Boys sono tanti, ben strutturati e, probabilmente, si sentiranno ancora più legittimati a esprimere le loro idee di fronte a un presidente che non riconoscono. Eufemismo.
(da Globalist)
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