COMBATTENTI, EX PRIGIONIERI, CRESCIUTI ALL’OMBRA DEL MULLAH OMAR: CHI COMANDA ORA IN AFGHANISTAN
IL LEADER POLITICO E LA GUIDA SPIRITUALE
“Questa è l’ora della prova. Noi forniremo i servizi alla nostra nazione, daremo serenità alla nazione intera e faremo del nostro meglio per migliorare la vita delle persone”.
“Serenità”: questa la parola chiave che si ritrova nei differenti discorsi dei capi talebani dopo la conquista di Kabul.
Il Mullah Baradar Akhund, numero due dell’organizzazione fondamentalista islamica nella capitale dell’Afghanistan, ha parlato ripreso seduto tra un gruppo di altri combattenti e ha detto che l’intenzione dei talebani è quella di “provvedere al popolo dell’Afghanistan e a migliorare le loro vite”.
“La guerra in Afghanistan è conclusa. Abbiamo raggiunto ciò che volevamo ottenere ovvero la libertà del Paese e l’indipendenza del popolo afghano” ha dichiarato invece ai cronisti dell’emittente regionale Al Jazeera Mohammad Naeem, uno dei portavoce dei guerriglieri. Parole di pace che si scontrano con la realtà e con la storia dei leader del gruppo fondamentalista islamico.
Il capo politico: Mullah Baradar Akhund
Fino a due anni fa Mullah Baradar Akhund si trovava in prigione in Pakistan, dove poi è stato liberato per volere degli americani. Oggi è il candidato più papabile come presidente del nuovo governo ad interim afghano. Per questo Mullah Baradar Akhund è il simbolo di ciò che sta accadendo in Afghanistan: un passato che sembrava finito e che invece è ritornato in auge. Nato nella provincia di Uruzgan, nel sud, nel 1968, è il co-fondatore dei talebani con il Mullah Omar, morto nel 2013, ma la cui morte era stata nascosta per due anni. Oggi è il volto politico e il capo più conosciuto dei talebani. Ha combattuto contro i sovietici negli anni ’80 a fianco del mullah Omar. Questa battaglia lo ha reso un “mujaheddin”: così vengono chiamati i combattenti del movimento nazionale islamico durante l’occupazione sovietica e durante il regime dei talebani.
È sicuramente grazie a lui e alle sue doti militari se la città di Kabul è stata conquistata così rapidamente. Un’abilità militare messa in mostra anche nel 1996, quando Baradar, insieme a Mullah Omar, è riuscito a prendere il potere in un’azione militare che ha colto di sorpresa il mondo intero. Per questo motivo Bardar è da sempre considerato uno degli strateghi di più alto livello tra i talebani. Nei cinque anni di regime talebano è arrivato a ricoprire una serie di ruoli militari e amministrativi e quando l’Emirato è caduto, ha occupato il posto di vice ministro della difesa. Dunque, durante i 20 anni di esilio, Baradar ha mantenuto la leadership e la guida del movimento.
Nel 2001, dopo l’intervento americano e la caduta del regime talebano, si diceva facesse parte di un piccolo gruppo di insorti pronti a un accordo in cui riconoscessero l’amministrazione di Kabul. Ma questa iniziativa si è rivelata infruttuosa. In Pakistan Baradar è diventato uno dei leader della Shura di Quetta, il governo in esilio dei talebani, più resistente al controllo dell’Isi e più portato ai contatti politici con Kabul. La presidenza Obama però lo vedeva di cattivo occhio per la sua esperienza militare e così, dopo che la Cia lo ha rintracciato a Karachi nel 2010, Washington ha convinto Islamabad ad arrestarlo. Baradar sembrava essere fuori dai giochi.
Fino a quando però, nel 2018, l’inviato di Donald Trump, Zalmay Khalilzad, ha chiesto ai pachistani di rilasciare Baradar, in modo che potesse condurre i negoziati in Qatar. È lui che ha firmato l’accordo di Doha con gli Stati Uniti nel febbraio 2020. Patto che stabiliva che gli Stati Uniti e i suoi alleati avrebbero ritirato tutte le loro forze dall’Afghanistan entro 14 mesi.
Il capo supremo e guida spirituale: Mullah Haibatullah Akhundzada
Haibatullah Akhundzada è stato nominato leader dei talebani in una rapida transizione di potere dopo che un attacco da parte di droni statunitensi ha ucciso il suo predecessore, il Mullah Mansour Akhtar, nel 2016. Prima di salire nei ranghi del movimento, Akhundzada era una figura religiosa di basso profilo. Poco o nulla si sapeva di lui. Gli analisti ritengono che il suo ruolo alla guida del movimento sarebbe più simbolico che operativo.
Figlio di un teologo, è originario di Kandahar, cuore del Paese pashtun nel sud dell’Afghanistan e culla dei talebani. Dopo essere stato nominato leader, Akhundzada ha promesso lealtà al capo di Al Qaeda Ayman al-Zawahiri, che ha elogiato lo studioso religioso, definendolo “l’emiro dei fedeli”. Tale appellativo che gli ha permesso di affermare la sua credibilità nell’universo jihadista.
Akhundzada è stato incaricato della delicata missione di unificare i talebani, fratturati da una violenta lotta per il potere dopo la morte di Mansour e la rivelazione che avevano nascosto per anni la morte del fondatore del movimento, il mullah Omar. È riuscito a tenere unito il gruppo di fondamentalisti pur continuando a rimanere piuttosto discreto. Non compariva infatti spesso in video, limitandosi a trasmettere rari messaggi annuali nelle festività islamiche.
Scappato in Pakistan durante l’occupazione sovietica, tra il 1978 e il 1989, è entrato nelle file dei talebani poco dopo la loro creazione alla metà degli anni novanta. Sotto il regime islamista instaurato nel 1996 a Kabul, ha svolto funzioni di giudice di alto grado, incaricato degli affari talebani, come ha affermato Rahimullah Yusafzai, giornalista pachistano e grande conoscitore del gruppo fondamentalista. Scappato di nuovo nel sud del Pakistan quando i talebani sono stati cacciati dall’invasione statunitense del 2001, è diventato imam di una moschea. È stato anche capo degli affari giudiziari dell’insurrezione islamista. Come racconta la Bbc, ha poi gestito una madrassa (scuola religiosa) nei pressi di Quetta, che molti comandanti talebani hanno frequentato.
Il vice leader e capo della rete Haqqani: Sirajuddin Haqqani
Figlio di un famoso comandante della jihad antisovietica, Jalaluddin Haqqani, Sirajuddin è sia il numero due dei talebani che il leader della potente rete che porta il suo cognome.
La rete Haqqani è un gruppo terroristico designato dagli Stati Uniti che è stato a lungo visto come una delle fazioni più pericolose che combattono le forze della NATO afghane e guidate dagli Stati Uniti in Afghanistan negli ultimi due decenni. La rete è stata anche accusata di aver assassinato alti funzionari afgani e di aver tenuto in ostaggio cittadini occidentali rapiti, incluso il soldato americano Bowe Bergdahl, rilasciato nel 2014.
Conosciuti per la loro indipendenza, acume combattivo e astuti rapporti d’affari, si ritiene che gli Haqqani sorveglino le operazioni nelle aspre montagne dell’Afghanistan orientale, mentre esercitano un’influenza considerevole sul consiglio direttivo dei talebani.
Il figlio del fondatore dei talebani: Mullah Yaqoob
Il mullah Yaqoob è a capo della potente commissione militare del gruppo, che sovrintende a una vasta rete di comandanti sul campo incaricati di eseguire le operazioni strategiche dell’insurrezione durante la guerra. Insomma, è l’uomo che sta guidando l’offensiva dei talebani in Afghanistan.
In un messaggio audio dello scorso 11 agosto, Mullah Yaqoob ha esortato i miliziani a rispettare le case e le proprietà nelle città conquistate, a concentrarsi sulla “linea del fronte e combattere”. “I talebani dovrebbero anzi garantire la sicurezza dei residenti” ha detto, aggiungendo che, se il personale dell’esercito nazionale afghano si arrendesse, “nessuno sarebbe ferito”.
Figlio maggiore del Mullah Omar, era praticamente sconosciuto sei anni fa, quando i talebani hanno riconosciuto la morte di suo padre, Mullah Omar, il fondatore dei talebani e famigerata figura, avvenuta due anni prima in circostanze misteriose. Nella sua prima dichiarazione pubblica, Yaqoob ha chiesto unità del gruppo e ha smentito le voci di un complotto interno. Grandi erano le pressioni anche all’interno della sua stessa famiglia perché prendesse il posto del padre, ma almeno fino al 2016 ha rifiutato ruoli di leadership.
Laureato a Karachi, è ora è considerato uno dei vice più importanti di Hibatullah Akhundzada. La sua ascesa al trono segue l’accordo storico tra talebani e Stati Uniti sul ritiro delle truppe stretto a Doha nel febbraio 2020. Secondo la maggior parte degli analisti, la scelta di un uomo relativamente inesperto — si pensa che abbia all’incirca 30 anni — lascia trasparire tutte le divisioni interne all’interno del gruppo. Secondo alcuni esperti Yaqoob è stato scelto come capo militare perché la sua figura, più moderata, è stata vista come più adatta a negoziare dopo la caduta definitiva del governo afghano.
(da agenzie)
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