COME NON SPRECARE I SOLDI DEL RECOVERY FUND, CONTI DEDICATI E USO DEL DIGITALE
LE IDEE DELLA VICEPRESIDENTE DELLA LUISS PAOLA SEVERINO PER EVITARE BUROCRAZIE ED ABUSI
Le risorse del Recovery Fund non vanno considerate come “un prestito da restituire ma come uno strumento per rinnovare le strutture del Paese, a partire dalla pubblica amministrazione ma non solo”.
A dirlo, in una intervista all’HuffPost, è la vicepresidente della Luiss Paola Severino che, partendo da un approccio “positivo” verso le possibilità offerte dai fondi europei, traccia un quadro degli interventi necessari per un utilizzo corretto e meritocratico delle risorse a disposizione per evitare abusi e sprechi.
Il tema, del resto, ha accentrato su di sè tutta l’attenzione del dibattito politico in Italia e in Europa: dopo l’invito all’Italia del Commissario Ue Paolo Gentiloni di approntare procedure rapide per la realizzazione dei progetti per non perdere l’accesso alle risorse del Next Generation EU, anche il premier Giuseppe Conte è tornato sulla gestione delle risorse e sull’attuazione dei progetti del Recovery Plan, questione che ha generato una profonda spaccatura all’interno del Governo. “Bisogna correre, serve una struttura di governance per l’impiego delle risorse”, ha detto il presidente del Consiglio nella conferenza stampa di fine anno.
Correre però non basta, servono idee su come utilizzare al meglio i fondi rispettando le linee guida dell’Europa e traendo al tempo stesso il massimo beneficio per il Paese, modernizzandolo e colmandone le lacune. Secondo l’ex ministra della Giustizia, le risorse sono un’occasione da cogliere subito per intervenire su più livelli: “Il primo pensiero va ai giovani – dice Severino – ai modelli educativi del futuro che possono consentirci di rinnovare le strutture del nostro Paese”. Un rinnovamento che passa da nuovo metodi di selezione nella pubblica amministrazione e da nuovi modelli educativi per lo sviluppo di competenze specifiche nel digitale. E poi una giustizia più veloce, presidi territoriali del Sistema sanitario da rimettere in sesto, una burocrazia non impeditiva attraverso un approccio sistemico – e non emergenziale – nella gestione degli appalti pubblici.
Professoressa Severino, in Italia il dibattito politico è tutto concentrato sulla struttura di governance del Recovery Plan. Ci sono timori crescenti che le risorse in arrivo dall’Ue vengano usate male o, peggio, finiscano nelle mani sbagliate. Lei che idea si è fatta?
Credo che noi riusciremo a utilizzare pienamente le risorse del Recovery Fund se non lo considereremo più un prestito da restituire ma come un vero e proprio mezzo per innovare le strutture del nostro Paese. Bisogna prendere la parte positiva dei progetti di Recovery Fund e utilizzarla per rendere l’Italia uno Stato più moderno e digitale. E questo si può fare in diversi campi, a partire da quello dell’apprendimento.
Ad esempio?
Noi abbiamo una concezione tradizionale dei corsi di laurea, ma forse si può iniziare a pensare a nuovi modelli, ad esempio a corsi brevi che creino nuove capacità professionali. Per essere utili al Paese non è necessario essere laureati, può esserlo anche acquisire competenze nuove e specifiche. Come nel digitale, perchè è il digitale che darà davvero un incentivo al rinnovamento del Paese. Alla Luiss stiamo sviluppando un nuovo modello di apprendimento che si chiama Scuola42, sulla scia del progetto francese Ecole42, basato sulla formula del peer-to-peer: abbiamo selezionato 150 studenti e i risultati sono straordinari. E non serve una laurea per accedere.
È un modello che si può estendere anche alla Pubblica amministrazione?
Una parte del Next Generation EU dovrebbe puntare al rinnovamento della Pa. L’età media è molto elevata e l’occasione va perciò colta assolutamente per un ricambio generazionale. Non basta però assumere giovani ma bisogna assumerli con procedure di selezione e con modello di apprendimento diversi. Se i fondi Ue fossero utilizzati per sviluppare nuove metodologie di apprendimento e di concorsi per la selezione nella Pa, credo che avremmo fatto qualcosa di fortemente incentivante per il rinnovamento del paese.
Gli interventi sulla Pubblica amministrazione appaiono non più rinviabili.
Il Recovery Fund ci offre la possibilità di creare nuovi modelli anche nel rapporto tra pubblico e privato: abbiamo bisogno di una Pa che capisca le esigenze delle imprese e di imprese che comprendano le esigenze della Pa e le modalità con cui relazionarsi. Concorsi più snelli permetterebbero di formare una nuova generazione capace di dialogare col pubblico e col privato.
C’è però il tema della prevenzione dei rischi nell’uso scorretto dei fondi europei.
Sì. Da una parte dobbiamo impedire che una burocrazia macchinosa rallenti l’arrivo delle risorse ai progetti che si vuole finanziare. Dall’altra bisogna evitare che, nell’accelerare le procedure di selezione, i fondi finiscano poi nelle mani sbagliate. Dobbiamo fare in modo che le risorse vadano ai progetti e ai soggetti realmente meritevoli sia sotto il profilo della legalità sia del successo nella realizzazione. È questa la vera grande sfida che si pone oggi.
Serve però un attento monitoraggio.
Noi avremo un doppio monitoraggio, quello nazionale e quello europeo. Uno dei mezzi non invasivi che consente la verifica puntuale è l’apertura di conti dedicati alle risorse che le imprese incaricate dei progetti riceveranno. Come avviene nel campo dell’edilizia: in Italia se dobbiamo fare lavori sfruttando fondi pubblici come le detrazioni fiscali bisogna fare affidamento a modalità tracciabili, in modo che non si produca del nero o che denaro finisca in altri impieghi diversi da quelli previsti.
In questo modo, lei dice, si riuscirà a controllare sia dove finisce il denaro sia come viene realmente impiegato.
Sì. Un altro mezzo a disposizione potrebbe essere quello degli stati di avanzamento, ricorrendo a infrastrutture digitali in grado di verificare l’avanzamento dei lavori secondo gli schemi e le tappe prestabilite per il raggiungimento dei risultati. Tutti questi strumenti servono a rendere trasparente l’uso del denaro.
Un discorso analogo a quello fatto sulla Pubblica amministrazione andrebbe fatto anche sulla giustizia.
Sappiamo bene quanto una giustizia rapida ed efficiente abbia un impatto positivo sull’economia di un Paese e sulla sua capacità di attrarre investimenti. Durante la pandemia abbiamo visto come sia possibile ricorrere al processo telematico, una modalità che ovviamente non è applicabile a tutti i tipi di processo ma che dove applicato – penso al civile e all’amministrativo – ha dato buoni risultati. Una volta superata la pandemia il processo telematico può sicuramente contribuire ad accorciare i tempi lunghi della giustizia.
Infine, ma non ultima, la questione della sanità , di cui la pandemia ha mostrato tutte le inefficienze.
Abbiamo visto negli scorsi come il sistema sanitario italiano abbia intrapreso la strada della chiusura degli ospedali più piccoli a favore dei presidi territoriali. Oggi però questi presidi territoriali si sono rivelati chiaramente insufficienti e ci siamo tutti resi conto delle lacune che dobbiamo colmare al più presto. Perciò, ripeto, le risorse europee non vanno viste come un prestito ma come uno strumento di rinnovamento di tutto il nostro sistema, a cominciare da quello sanitario. Questo è un aspetto centrale.
Molti osservatori hanno espresso più di qualche critica nei confronti del Codice degli appalti. Il professore Sabino Cassese, in una intervista a Repubblica, ha parlato di “azione impeditiva”. Lei come la pensa?
Credo che oggi servano mezzi nuovi. È chiaro che il sistema degli appalti è complesso e articolato e può prestarsi ad abusi, ma non per questo bisogna affidarsi a normative impeditive. I sistemi di controllo che si possono creare attorno agli appalti, come stati di avanzamento e conti dedicati, possono contribuire a erogare il denaro evitando che la rapidità vada a discapito di un corretto uso di quei fondi.
C’è anche chi invoca il modello Genova, che prevede diverse deroghe al Codice degli appalti. È un modello applicabile anche ai progetti del Recovery Fund?
Il modello Genova ha dato risultati esemplari ma è un unicum. Il timore è che la moltiplicazione di quell’approccio e quindi delle deroghe alle norme possa generare difficoltà nelle attività di controllo e monitoraggio.
Quello di Genova è un approccio emergenziale, non di sistema.
Appunto. È invece qui che bisogna intervenire, sui grandi numeri e su vasta scala, attraverso modelli non invasivi nè preclusivi. L’obiettivo è fare presto e fare bene.
(da “Huffingtonpost”)
Leave a Reply