CONFERMATO L’ERGASTOLO AL “MACELLAIO” RATKO MLADIC
L’EX CAPO MILITARE SERBO BOSNIACO E’ COLPEVOLE DEL GENOCIDIO DI SREBRENICA E ALTRI CRIMINI CONTRO L’UMANITA’… IL CRIMINALE, DIVENTATO UN MITO PER I SUPREMATISTI, MORIRA’ IN GALERA
Ventisei anni dopo il massacro di Srebrenica – in cui le truppe serbo bosniache trucidarono oltre 8.000 musulmani bosniaci – i giudici dell’Aja confermano la condanna all’ergastolo per genocidio e crimini contro l’umanità a carico di Ratko Mladic, ex capo militare serbo bosniaco noto come “il macellaio di Bosnia”. La sentenza è definitiva, senza ulteriori possibilità di ricorsi.
Nel 2017 l’ex capo militare, oggi 78enne, era stato condannato all’ergastolo in primo grado per il genocidio di Srebrenica – il peggior massacro sul suolo europeo dalla Seconda guerra mondiale, perpetrato davanti agli occhi dei soldati olandesi della missione Onu – e per altri crimini commessi durante la guerra in Bosnia tra il 1992 e il 1995, inclusi persecuzione e sterminio.
Sotto la sua guida fu consumato l’assedio di Sarajevo – il più lungo nella storia bellica della fine del XX secolo – in cui morirono circa 10mila persone.
Su 11 capi d’accusa, i giudici lo hanno ritenuto colpevole di 10, assolvendolo da una seconda accusa di genocidio legata a una campagna per cacciare i non serbi da diverse città all’inizio della guerra. I pm hanno impugnato l’assoluzione, ma oggi la giuria dell’Aia ha respinto anche il loro ricorso, oltre a quello in appello di Mladic.
Anche l’ex leader politico di Mladic, Radovan Karadzic, era stato condannato per gli stessi crimini e sta scontando l’ergastolo.
Mladic era presente in aula e ha seguito con le cuffie della traduzione la lettura del lungo dispositivo della sentenza. In giacca scura e cravatta azzurra, affiancato da due agenti della sicurezza, l’ex generale è apparso in condizioni di salute discrete, accigliato e perplesso per tutte le accuse confermate a suo carico.
Ad ascoltare il verdetto in aula c’erano anche le vedove e le madri delle vittime. La giuria – composta da cinque giudici – era guidata dalla presidente dello Zambia, Prisca Matimba Nyambe. La sentenza nel processo d’appello chiude quasi tutti i procedimenti delle Nazioni Unite per i crimini commessi in una guerra che ha ucciso più di 100.000 persone e ha lasciato milioni di sfollati.
In Bosnia-Erzegovina era grande l’attesa per la sentenza. Tutti nella Federazione croato-musulmana, a cominciare dai parenti delle vittime, si aspettavano una conferma del carcere a vita per l’ex generale. Allo stesso tempo, resta l’amarezza per il fatto che ci siano voluti 26 anni perché, almeno nel suo caso, sia stata fatta giustizia.
La sentenza ha disatteso le speranze di quanti avrebbero voluto, per l’ex generale, altre condanne future per genocidio: oltre a Srebrenica, secondo l’accusa, fu genocidio in altri sei comuni della Bosnia – Foca, Vlasenica, Kljuc, Sanski Most, Kotor-Varos e Prijedor. “Tutto ciò che rientra nel concetto di genocidio – ha commentato Halida Konjo-Uzunovic, presidente dell’associazione Foca 92-95 – è stato commesso anche a Foca, o a Prijedor, e in altre città: stupri sistematici, provati grazie alle testimonianze di 16 donne coraggiose, campi di concentramento, persecuzioni, la distruzione di 17 moschee di Foca e la cancellazione di ogni traccia dell’esistenza dei bosgnacchi in questa città”.
Per questo, ha detto Konjo-Uzunovic, “ci aspettiamo che i giudici dell’Aja dicano a tutto il mondo che il genocidio è stato perpetrato, oltre che a Srebrenica, anche in altre città: solo così si può impedire che si ripeta il male che si sta preparando con la glorificazione dei criminali di guerra e la comparsa dei loro murales in diverse città”, mentre cresce sempre di più il problema della negazione dei crimini di guerra, a cominciare dallo stesso genocidio di Srebrenica.
Mladic e la sua eredità, di fatto, dividono ancora la Bosnia.
L’ombra di Mladic e di Karadzic, in verità, si estende ben oltre i Balcani: entrambi sono stati onorati da sostenitori dell’estrema destra all’estero per le loro campagne sanguinose contro i bosniaci musulmani.
L’australiano che nel 2019 sparò contro decine di fedeli musulmani a Christchurch, in Nuova Zelanda, si ritiene si sia ispirato ai leader serbo-bosniaci dei tempi della guerra. E lo stesso vale per Anders Breivik, il suprematista bianco norvegese responsabile dell’uccisione di 77 persone nel 2011 a Oslo e Utoya, in Norvegia.
Mladic fu incriminato per la prima volta nel luglio 1995. Dopo la fine della guerra in Bosnia, si nascose per essere poi arrestato nel 2011 e consegnato al Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia dall’allora governo filo-occidentale della Serbia.
Da allora il tribunale delle Nazioni Unite ha chiuso i battenti. L’appello di Mladic e altre questioni legali lasciate dal tribunale sono state trattate dal Meccanismo internazionale residuale per i tribunali penali delle Nazioni Unite, che è ospitato nello stesso edificio dell’ormai defunta corte per l’ex Jugoslavia.
Mladic ha denunciato il tribunale, definendolo un figlio delle potenze occidentali. I suoi avvocati hanno sostenuto che era lontano da Srebrenica quando è avvenuto il massacro. Il verdetto arriva dopo 25 anni di processi presso il tribunale ad hoc delle Nazioni Unite per i crimini di guerra per l’ex Jugoslavia che ha condannato una novantina di persone.
Il procuratore delle Nazioni Unite Serge Brammertz ha sottolineato l’importanza della sentenza per le vittime che vivono quotidianamente con il trauma del conflitto degli anni ’90. “Se parli ai sopravvissuti, le madri (di Srebrenica) che hanno perso i loro mariti, i loro figli, tutto questo è evidente: le loro vite si sono davvero fermate nel giorno del genocidio”, ha detto ai giornalisti prima del verdetto.
Un verdetto che è arrivato, appunto, dopo 26 anni, trovando in Mladic un uomo anziano, in condizioni di salute comunque precarie. Solo un’ombra del generale spietato che con le sue atrocità diventò il “boia di Bosnia”.
(da agenzie)
Leave a Reply