CONGO, IL MONDO SENZA LEGGE DOVE E’ MORTO ATTANASIO
L’AMBASCIATORE E IL CARABINIERE VITTIME DI UNA GUERRA TRA MILIZIE PER IL CONTROLLO DI UN PARADISO MINERARIO
Per il sindaco di Limbiate, Luca Attanasio rimarrà sempre “un fanciullo immortale”, “una forza della natura”. Carriera diplomatica e impegno umanitario lo avevano portato a ricoprire il ruolo di ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo dal 2017, incarico che ha sempre svolto con consapevolezza e passione. Consapevolezza, come quella con cui, in un’intervista a Vatican News, spiegava l’origine delle violenze nel nord-est; e passione, la stessa che lo aveva spinto a mettersi in viaggio con una delegazione del World Food Programme per visitare una scuola a Rutshuru, a nord di Goma. Con lui, nello stesso mezzo, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista congolese Mustapha Milambo: tutti e tre morti in un attacco su cui la Procura di Roma ha aperto un fascicolo per sequestro di persona con finalità di terrorismo.
“La Repubblica Italiana è in lutto per questi servitori dello Stato che hanno perso la vita nell’adempimento dei loro doveri professionali in Repubblica Democratica del Congo”, ha dichiarato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha espresso “profondo cordoglio” per le tragiche morti, assicurando che la presidenza del Consiglio sta seguendo con la massima attenzione gli sviluppi in coordinamento con il Ministero degli Affari Esteri.
I carabinieri del Ros, su delega della Procura, partiranno domani alla volta di Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, per affiancare gli investigatori locali nelle indagini relative alla morte dell’ambasciatore italiano e del carabiniere, che sarebbe dovuto tornare in Italia tra pochi giorni. Orientarsi, in quel dedalo di milizie e gruppi armati che spadroneggiano per il controllo di una delle aree minerarie più ricche del pianeta, non sarà facile. La Farnesina ha chiesto all’Onu di fornire quanto prima un report dettagliato sull’attacco in cui sarebbero state rapite altre tre persone mentre una quarta sarebbe stata rilasciata. Il capo delle operazioni di pace delle Nazioni Unite, Jean-Pierre Lacroix, ha annunciato che ci sarà un’indagine sostenuta dalla missione Onu in Congo (Monusco) sull’attacco
Tra le piste più accreditate – secondo fonti inquirenti citate dall’Ansa — è che a sferrare l’attacco siano stati uomini delle Forze Democratiche per la liberazione del Ruanda: il Fdlr-Foca è il principale gruppo residuo di ribelli ruandesi di etnia Hutu, conosciuti per il genocidio in Ruanda. Il governo ha subito puntato il dito in questa direzione, la meno compromettente per le forze di sicurezza nazionali.
Secondo lo US Counter Terrorism Center, le Fdlr sarebbero responsabili di una dozzina di attentati terroristici commessi nel 2009, costati la vita a centinaia di persone nel Congo orientale. In seguito all’azione dell’esercito congolese e dei ranger dell’Istituto Congolese per la Conservazione della Natura (Iccn), a partire dal 2010 le Fdlr hanno rimodulato le loro attività preferendo quelle che vengono definite “azioni a bassa intensità ”, ma con un’alta resa, specie in termini finanziari. Una nuova strategia che ha raggiunto forse il suo punto massimo nel 2018 quando furono rapiti due turisti inglesi, sempre nel parco nazionale di Virunga, rilasciati dopo due giorni. Nell’aprile del 2020 una sessantina di membri del Fdlr-Foca attaccarono una pattuglia dell’Iccn provocando 17 morti, di cui 12 ranger.
Per il Centro Studi Internazionali, “le ipotesi più concrete conducono a valutare la possibilità di un attacco di una milizia a scopo intimidatorio verso la missione Monusco oppure di un’azione ostile perpetrata dall’Adf/Stato Islamico in Africa Centrale al fine di proseguire il proprio percorso di crescita e ‘accredito’ internazionale”. Quel che è certo è che la pista di un tentativo di sequestro mirato di un ambasciatore segnerebbe uno scatto finora inedito nelle ambizioni e nell’aggressività dei gruppi che terrorizzano il Nord e Sud Kivu. Prima d’ora, infatti, nessuna milizia si era mai spinta ad attaccare un target di così alto valore politico. In particolare, riguardo all’Adf/Isis, il CeSi sottolinea che, “sebbene questa branca del Califfato sia una delle più attive e in espansione nel continente (dal Congo fino al Mozambico), ancora le manca un’azione dalla grande eco mediatica e politico-simbolica. In tal senso, l’attacco al convoglio di Monusco rientrerebbe perfettamente in tale strategia”.
Quel che è certo è che l’ambasciatore Attanasio era consapevole di muoversi in un contesto pericoloso e imprevedibile. Anche per questo — riporta l’agenzia Dire — il mese scorso aveva portato a compimento una gara per fornire all’ambasciata di cui era a capo “un’autovettura blindata avente sette posti a sedere e con un livello di blindatura vr6, cig 7864299”. In attesa di poterne disporre, il 43enne, padre di tre figlie e vincitore insieme alla moglie del Premio Internazionale Nassiriya per la Pace, non rinunciava lo stesso a missioni delicate ma considerate “sicure” dalle forze Onu impegnate nel Paese. Attanasio e Iacovacci, infatti, sono stati uccisi mentre viaggiavano a bordo di un convoglio del Pam, il Programma alimentare mondiale dell’Onu. La strada era stata precedentemente controllata e dichiarata sicura per essere percorsa anche “senza scorte di sicurezza”, ha fatto sapere il Programma alimentare mondiale in una nota.
“Prometto al governo italiano che il governo del mio Paese farà di tutto per scoprire chi c’è dietro questo vile omicidio”, ha garantito la ministra degli Esteri della Repubblica Democratica del Congo, Marie Tumba Nzeza, secondo la quale il convoglio è caduto in un’imboscata. Per le autorità del vicinissimo parco nazionale di Virunga, si sarebbe trattato di un tentativo di rapimento. Anzi, stando a quanto riferito dal governatore congolese del Nord Kivu, Carly Nzanzu Kasivita, veicoli del convoglio del diplomatico sono stati presi in ostaggio e scortati nella boscaglia.
È nella foresta, ai bordi del parco Unesco in cui vive un quarto dei gorilla di montagna del mondo, che secondo le prime ricostruzioni sarebbero stati colpiti a morte l’ambasciatore e il carabiniere: Iacovacci è morto sul colpo; Attanasio è stato portato di corsa all’ospedale della missione Onu a Goma, ma non c’è stato niente da fare.
Oggi la tragedia che ha colpito l’Italia ha fatto riaccendere i riflettori su una situazione di instabilità e violenza permanenti che da decenni affliggono la popolazione locale. “L’area orientale del Congo è sicuramente una delle più travagliate e complesse del continente africano”, spiega ad HuffPost Luca Barana, ricercatore dell’Istituto Affari Internazionali ed esperto di Africa. “È un’area che da quasi trent’anni conosce un ciclo continuo di violenze, con più conflitti che si sono succeduti sin dalla seconda metà degli anni Novanta, dopo la caduta del regime dell’allora Zaire, che ha visto il coinvolgimento in più momenti dei Paesi vicini, come Uganda e Ruanda”. Dopo l’accordo di pace del 2003, in realtà il Paese ha continuato a vivere una situazione di instabilità e violenza continua con il proliferare di milizie, gruppi armati, signori della guerra. “Ovviamente le prime vittime di questa situazione sono le popolazioni locali, che da decenni vivono in una situazione umanitaria estremamente difficile, una circostanza che finisce per alimentare le fila dei gruppi ribelli che diventano banalmente una fonde di reddito”, osserva Barana. “Non a caso è presente una missione di peace-keeping delle Nazioni Unite, che ha cambiato nome nel corso dei decenni ma che è una presenza fissa nella regione. Goma è uno dei principali centri attorno a cui ruotano le attività dei gruppi armati”.
Il contesto è quello di un Paese dalle dimensioni immense: tutto il Congo è grande quanto l’Europa occidentale, tra la capitale Kinshasa e Goma ci sono quasi 2.500 chilometri, 50 ore di macchina. “Non è un dato solo puramente geografico: in queste regioni la presenza statale è molto debole, tanto più che parliamo di un Paese dalle istituzioni non così salde proprio perchè vittima di invasioni e continui conflitti, e caratterizzato da una scena politica molto complicata”, osserva il ricercatore Iai. “Non a caso molti dei gruppi armati che si muovono in queste zone sono composti da ribelli, componenti dell’esercito che si staccano avanzando rivendicazioni… è un ciclo che si alimenta anche e soprattutto grazie all’estrema ricchezza di risorse minerarie che caratterizza il Paese”.
Sono proprio queste risorse a fare del Congo un Paese “ricco da morire (letteralmente) e proprietario di uno scandalo geologico”. Nel Paese, infatti, si trova di tutto: coltan, diamanti, cobalto, oro, rame, zinco, argento, carbone, petrolio… “Goma si trova al confine tra le regioni orientali del Nord Kivu e del Sud Kivu: sono aree caratterizzate da una ricchezza naturale e mineraria straordinaria, che ovviamente attira gli interessi di gruppi armati che si combattono tra loro e combattono le autorità dello Stato per accaparrarsi le risorse. Parliamo in primo luogo di risorse minerarie, a cominciare dal coltan: un minerale fondamentale per la componentistica elettronica degli smartphone. Probabilmente lo smartphone con cui ci stiamo parlando contiene del coltan proveniente da queste aree del Congo, che ne detiene la maggior parte delle riserve mondiali”.
Si tratta di un minerale che viene estratto in condizioni molto difficili, spesso tramite operazioni illegali che vedono il coinvolgimento di gruppi armati, potentati locali e milizie dei Paesi vicini. Durante le guerre in Congo della fine degli anni Novanta, quando le forze ugandesi e ruandesi invasero queste regioni, misteriosamente le esportazioni di coltan esplosero. La porosità dei confini e la scarsità dei controlli alimentano il contrabbando, rendendo il puzzle ancora più sfuggente: di fatto, la regione dei Grandi Laghi — che comprende anche Ruanda, Burundi e Uganda — resta un’area che sfugge al controllo di un governo centrale a sua volta impegnato in una fase di transizione politica abbastanza delicata.
Barana ne ricorda a grandi linee gli ultimi sviluppi: “Le elezioni di fine 2018 hanno certificato il passaggio di potere dal presidente storico, Joseph Kabila, il vero uomo forte del Congo, all’attuale Fèlix Tshisekedi. Tra i due ci sarebbe stato un accordo sottobanco per un passaggio di consegne, con Kabila che è rimasto l’uomo ombra alle spalle dell’attuale presidente. Negli ultimi tempi, però, Tshisekedi ha intrapreso una serie di mosse politiche che indicano la volontà di sganciarsi dal suo predecessore: proprio la scorsa settimana ha nominato un nuovo primo ministro molto vicino a lui, lo scorso anno ha formato una nuova coalizione parlamentare e ha sostituito alcuni giudici della Corte costituzionale. Kabila resta un uomo molto potente, ma ora Tshisekedi sembra volerlo estromettere dalla regia, come suggerisce la nomina a primo ministro di Jean-Michel Sama Lukonde, fatalità del caso un alto dirigente dell’azienda statale mineraria”. Tutto ritorna sempre allo stesso punto: il tema delle risorse minerarie che fa del Paese uno “scandalo geologico”, troppo attraente per tutti, dai ribelli ruandesi ai seguaci del Califfato africano.
(da “Huffingtonpost”)
Leave a Reply