CONGRESSO PD A FINE APRILE, IL DADO E’ TRATTO
EMILIANO E ROSSI HANNO RIUNITO LE TRUPPE
Dimissioni da segretario da offrire alla direzione. Assemblea nazionale da convocarsi al più presto. Avvio della fase congressuale da esaurirsi nel giro di poco più di due mesi, con primarie aperte per l’elezione del segretario da celebrarsi il 30 aprile o addirittura anche la domenica subito dopo Pasqua: il 23 aprile.
Salvo cambiamenti dell’ultimo momento, è questa l’idea di Matteo Renzi in vista della attesa direzione nazionale del convocata per domani a Roma.
L’assemblea ‘ribelle’ di Michele Emiliano ed Enrico Rossi oggi al circolo San Bartolo di Firenze ha sciolto gli ultimi dubbi dell’ex premier.
Il governatore toscano chiede una “segreteria di garanzia” dopo le dimissioni del segretario per gestire una fase congressuale non affrettata.
“Bisogna fare le cose in modo normale, e il Paese ha bisogno di un governo che dia risposte”, dice il presidente della Regione Toscana.
Il governatore pugliese non spera in un congresso col “rito abbreviato” e pure lui è per rallentare la macchina: “Bisogna darsi tutti una calmata. Stabilito che le elezioni a giugno le vuole solo Renzi, se ho capito bene, abbiamo tutto il tempo per fare un congresso che consenta a tutti di presentare la propria piattaforma”.
Poi quando Emiliano ammicca anche all’idea di Andrea Orlando eventuale prossimo nuovo Prodi del centrosinistra (“Bisogna pure dare qualcuno da votare a questo popolo del Partito Democratico, quindi è giusto che qualcuno di noi si sacrifichi e si candidi”), al quartier generale renziano scatta l’allarme.
Misura colma, l’ordine di scuderia è di rispondere.
Se ne assume il compito persino un mite democristiano come Lorenzo Guerini.
“A dicembre ci è stato chiesto di non fare subito il congresso, poi no elezioni senza congresso, poi no alle primarie, poi sì al congresso ma non ‘troppo anticipato’.
Ora spunta la segreteria di garanzia. A tutti vorrei rispondere così: se si anticipa il congresso lo si anticipa davvero, senza formule fantasiose, ma con le procedure e la strada indicata dallo statuto e cioè convenzioni nei circoli e poi elezione del segretario con primarie aperte. Punto. Se persino uno mite e calmo come me arriva a dire: finiamola con polemiche inutili che non fanno bene al Pd significa che si è superato il livello di guardia”.
Intanto nella cerchia del segretario si affilano le armi per la guerra.
Statuto alla mano, si fanno i conti sui tempi del congresso. E allora ecco cosa viene fuori: nel 2009, sfida tra Pierluigi Bersani, Dario Franceschini e Ignazio Marino, i congressi nei circoli si fecero a settembre. L’11 ottobre si svolse la convenzione nazionale, vale a dire il momento finale riservato agli iscritti. Primarie il 25 ottobre. In tutto due mesi, anche se va detto che il regolamento che fissò tutte le date autunnali fu approvato dalla direzione il 26 giugno.
Nel 2013, invece, tutto fu molto più celere. E’ la sfida che ha eletto Renzi alla segreteria con le primarie dell’Immacolata, l’8 dicembre. Gli altri candidati erano Pippo Civati e Gianni Cuperlo. Bene: nel 2013 il segretario uscente Bersani si dimise il 19 aprile in seguito all’esito negativo delle candidature di Franco Marini e Romano Prodi alla presidenza della Repubblica e dopo la rielezione di Giorgio Napolitano. L’assemblea del Pd elesse un ‘reggente’ l’11 maggio, il sindacalista e deputato Guglielmo Epifani. Il regolamento per il congresso venne approvato il 27 settembre e la convenzione fu fissata per il 24 novembre, neanche due mesi dopo. Tutto si concluse con le primarie dell’8 dicembre, due mesi e mezzo dopo l’approvazione del regolamento.
Ed è quest’ultimo il modello che Renzi ha in mente. Convinto di riuscire così a riprendere il controllo di un partito che annaspa nel caos, vincere la sfida congresso facendo affidamento sulle primarie aperte e decidere le liste per le prossime politiche, se non anche i tempi.
“Chi dice no, non vuole celebrare il congresso ma mandar via il segretario. Peccato che sceglie la democrazia non i caminetti”, dice il fedelissimo David Ermini.
E su twitter i renziani si scatenano contro Emiliano e Rossi. Un coro cui partecipa anche Emanuele Fiano, esponente di Areadem del ministro Franceschini:
Non a caso gli attacchi però sono mirati ai due governatori. Non al resto della minoranza Pd.
Emiliano e Rossi sono “gli outsider”, per la cerchia renziana. Soprattutto Emiliano, etichettato come colui che con D’Alema per primo ha parlato di scissione.
Mentre in casa del segretario viene invece apprezzata la scelta di Roberto Speranza di non andare all’assemblea ‘ribelle’ di Firenze ma di inviare solo un messaggio dal tono peraltro mite: “Il Pd non può perdere l’anima, rimettiamo il treno sui binari…”.
Entro la prima settimana di marzo Renzi conta di capire se si potrà andare al voto a giugno, concordando con la tempistica indicata anche dal pentastellato Luigi Di Maio. Mentre la data di settembre, apparsa in alcuni retroscena, viene ritenuta irrealistica: significherebbe fare campagna elettorale ad agosto e già per il referendum costituzionale il Pd non ci è riuscito, pochi militanti disposti a sacrificarsi nella calura estiva.
Infatti la campagna partì, e a rilento, in autunno. E poi c’è da dire che emergono anche sondaggi secondo cui la maggioranza del popolo Pd non avrebbe fretta di tornare alle urne, ma vorrebbe che il governo Gentiloni durasse fino al 2018. Come dice oggi Romano Prodi.
Anche per questo contorno sempre più incerto sulla data del voto, per Renzi la battaglia per il congresso subito ha assunto ormai un’importanza più che strategica nella guerra per la ‘rinascita’ politica.
Le pedine sono piazzate: l’assise si annuncia già ora imbrattata dalla lotta per i posti in lista tra renziani e non renziani per le elezioni che verranno, prima o poi.
(da “Huffingtonpost”)
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