COSI’ LA CASTA E’ DIVENTATA RICCA: MEZZO SECOLO DI PRIVILEGI
NEL 1946 I PARLAMENTARI PERCEPIVANO POCO PIU’ DI UN OPERAIO… POI BALZI IN AVANTI COI GOVERNI MORO, CRAXI E DINI..LA LEGA IN TRE ANNI HA VOTATO SETTE VOLTE NO ALLA RIDUZIONE DEGLI STIPENDI
Furono i deputati dell’assemblea costituente, in particolare Pietro Longo, Luigi Einaudi, Pietro Calamandrei, ma anche Alcide De Gasperi, a volere che il loro stipendio fosse di poco superiore a quello di un operaio e di un impiegato.
“In questo momento la gente ha sfiducia nella politica e nello svolgere il nostro mandato non possiamo lasciare che qualcuno sospetti che ci sia un interesse personale nostro”. Parole sentite più volte.
Eravamo nel 1946, l’Italia usciva da un ventennio mussoliniano e malconcia per la guerra.
Fu così che i più autorevoli deputati decisero che lo stipendio non poteva superare quelli che, al netto della rivalutazione e del cambio in euro, sarebbero oggi 1300 euro.
Un operaio allora ne guadagnava 420 e un impiegato 480.
C’era sì una differenza, ma del doppio rispetto a uno stipendio normale, non di 14 volte superiore come è oggi.
Ma, seppur mossi da buona fede, anche i deputati di allora non fecero passare troppi anni prima di diventare casta,come poi sarebbero rimasti.
Alcuni, soprattutto i comunisti, furono intransigenti. Non volevano l’aumento e fu così che iniziarono la consuetudine di lasciare i soldi al partito.
Tenevano per sè quello che era sufficiente per vivere a Roma,non un centesimo in più. All’inizio quasi il 75 per cento finiva nelle casse di via delle Botteghe Oscure. Tutto meno che casta.
Volevano dimostrare che la loro posizione non aveva niente di vantaggioso.Lavoravano alla costruzione di una Repubblica e di uno Stato che si lasciasse alle spalle tutto quello che era stato il fascismo.
Passarono gli anni, intanto, e i governi si superarono e si ripetono.
La Democrazia Cristiana era il primo partito ed era lei a dettare legge. Ma anche allora fu un governo di centrosinistra, uno dei pochi, guidato da Aldo Moro e Pietro Nenni, a volere che lo stipendio dei parlamentari fosse notevolmente superiore a quello di un impiegato.
Il 4 dicembre 1963 giurò quello che era già il diciannovesimo governo (sarebbe rimasto in carica 7 mesi e 18 giorni) formato da democristiani, socialisti, socialdemocratici e repubblicani.
Presidente del consiglio era Moro, il primo di una serie di governi che sarà chiamato a presiedere. Qualche anno prima la casta qualche privilegio se lo era già regalato, come i viaggi gratis per i parlamentari, i ministri e tutti quelli che lo erano stati.
Le prime autostrade, il carburante, ma soprattutto il treno per tutti, i wagon lits, soprattutto. Prima classe.
Il provvedimento venne sostenuto e voluto dall’allora presidente del consiglio, Antonino Segni, destinato a portare lo sfarzo anche al Quirinale dove arrivò nel 1962 per dimettersi due anni dopo.
Ma la casta fece uno scatto decisamente in avanti con il secondo governo Moro e Nenni, nel 1965: lo stipendio di un parlamentare venne equiparato a quello di un giudice presidente di corte di Cassazione.
Niente male per una classe dirigente che era entrata con l’obiettivo di mantenere un salario molto vicino a quello di un impiegato e un operaio.
In un solo giorno e per decreto gli stipendi diventarono cinque volte superiori a quello degli statali e otto volte rispetto agli italiani che lavorano in fabbrica a un già indebolito boom economico.
Da quel momento fu un continuo crescere.
Le spese telefoniche , gli assistenti, i voli di linea gratis. La casta si blindò anche per il futuro: i privilegi furono garantiti anche al termine del mandato.
Venne aperto anche uno sportello bancario del Banco di Napoli, attivo ancora oggi, alla Camera dei deputati, che offriva condizioni molto vantaggiose rispetto a un qualsiasi altro istituto di credito.
Per garantirsi la non troppa pubblicità la stessa banca diede il diritto anche ad alcuni esterni, per esempio i giornalisti, che anche oggi possono godere di tassi d’interessi identici a quelli dei deputati.
Come se non bastasse il resto arrivarono anche gli anni di Bettino Craxi, il segretario del Psi divenuto leader indiscusso del Caf, l’alleanza tra lui, Andreotti e Forlani, dove il privilegio personale dei politici era ormai smaccato e la puzza delle tangenti si sentiva lontano chilometri.
Ben prima del 1992 e dell’inchiesta Mani Pulite. L’Italia era già un Paese consapevolmente corrotto: per un imprenditore lavorare voleva dire pagare tangenti Ma se i soldi andavano ai partiti col sistema poi smascherato dai magistrati di Milano, è nel 1995, quando presidente del consiglio è Lamberto Dini, tra la prima crisi del governo Berlusconi e un non ancora eletto Romano Prodi, che i parlamentari arrivarono a guadagnare 16.686 euro al mese.
In quell’anno gli operai guadagnano in media 1180 euro al mese e gli impiegati non arrivano a 1400.
La casta è assolutamente blindata e la discesa a Roma dei leghisti serve a poco: gridano Roma ladrona, ma quando si affacciano i aula i primi provvedimenti per la riduzione degli stipendi loro votano no.
Per sette volte nell’arco di tre anni.
Poco ha potuto la sbandierata spending review voluta da Mario Monti: gli stipendi sono scesi dopo oltre mezzo secolo di crescita, ma siamo sempre a un divario rispetto all’italiano medio incolmabile. Nonostante tutte le buone intenzioni che avevano mosso i padri costituenti.
Emiliano Liuzzi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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