CURZIO MALTESE: “NEL PD UNA QUESTIONE MORALE GRANDE COME UNA CASA”
“DI PIU’, COME UNA COLATA DI CEMENTO”
È ora di chiamare le cose con il giusto nome.
Esiste nel Pd una questione morale grande come una casa. Di più, come una colata di cemento.
Tempo fa l’aveva scritto Lucia Annunziata, riflettendo sull’ondata di scioperi. L’autunno caldo di Renzi e la rivolta dei lavoratori e del sindacato, per la prima volta contro un governo a guida sinistra hanno avuto un fondo prima etico che politico. Come si può dialogare, disse Maurizio Landini, contro un governo che manganella gli operai di Terni e non fa nulla contro la corruzione e l’evasione fiscale?
Gli scandali delle ultime settimane si sono incaricati di confermare i sospetti.
Prima la vergogna di Roma, con destra e sinistra abbracciate in un sistema criminale, ora i brogli in Liguria, che seguono la stessa logica di larghe intese affariste disposte a tutto pur di non far entrare un esterno, per giunta onesto, nella stanza dei bottoni. In mezzo l’approvazione del decreto Sblocca Italia, che autorizza altre colate di cemento in un paese già soffocato dalla speculazione, e l’imbarazzante ma non imbarazzata manina di Renzi che ha disegnato il condono per Berlusconi, guarda caso subito dopo che l’ex Cavaliere gli aveva ricordato pubblicamente come nel patto del Nazareno fosse previsto anche l’accordo per il Quirinale.
Fra galantuomini ci s’intende alla svelta.
Si parla molto delle differenze di programma nazionali ed europee fra Syriza, Podemos e i vecchi partiti socialisti, ormai pervasi di cultura liberista.
Ma si dimentica che la prima scintilla di questi nuovi movimenti è stata la rivolta morale di gran parte dell’elettorato tradizionalmente di centrosinistra contro la corruzione dei gruppi dirigenti socialisti greci e spagnoli.
La stessa che in Italia ha portato milioni di voti di sinistra verso il Movimento 5 Stelle.
Seguo la vicenda Cofferati con i sentimenti di un amico di vecchia data, ma anche con lo sguardo del cronista attento ai fatti.
È un fatto che per giorni e settimane, non solo Cofferati, ma molti militanti del Pd ligure, non tutti “dissidenti”, abbiano segnalato il pericolo di primarie inquinate ai dirigenti di Roma, senza ricevere alcuna risposta e tanto meno la promessa l’impegno per maggiori controlli.
Sarebbe bastato davvero poco per fugare ogni dubbio e prevenire le irregolarità .
Erano quantomeno sospetti anche i continui endorsement alla candidata Paita da parte di noti esponenti della destra, a volte estrema, ligure.
Per non parlare dei sospetti adombrati sulla presenza ai seggi di note famiglie mafiose. Ma i dirigenti del Pd nazionale hanno preferito voltare la testa dall’altra parte.
Doveva andare così, con la vittoria di Paita, e così è andata, con i finti elettori in fila per ricevere il premio.
Per molto meno una persona seria, Bersani per esempio, avrebbe annullato il voto.
Ed è vero che il problema delle primarie andava affrontato anche prima del caso Cofferati, creando regole condivise da tutti.
Non può esistere una votazione democratica dove non si conoscono alla vigilia gli aventi diritto, il corpo elettorale.
Il Pd farebbe bene a imitare fino in fondo il modello americano, dove chi vuole votare s’iscrive con anticipo, prima di conoscere i nomi dei candidati.
Ma è questo che vuole il nuovo Pd, una maggior trasparenza?
Oppure preferisce muoversi senza troppi vincoli nella terra di mezzo, cambiando regole interne, sistemi elettorali e perfino struttura delle istituzioni, secondo la convenienza del momento?
Uno come Sergio Cofferati non poteva rimanere in un partito tanto distante ormai dalle proprie radici da finire ormai al centro di quella questione morale evocata tanti anni da Enrico Berlinguer.
La reazione dei dirigenti all’annuncio dell’abbandono di Sergio è stata di inaudita volgarità , a base di insulti, lanciati per giunta a un proprio padre fondatore.
Una vera macchina del fango, segno che oltre ai contenuti è stato adottato a sinistra anche uno stile berlusconiano.
Sarebbe poi quasi comica, se non fosse piuttosto ignobile, la richiesta a Cofferati di lasciare il seggio in Europa da parte di un partito che ha appena festeggiato alla Leopolda il brillante salto sul carro dei vincitori di deputati di tre o quattro partiti diversi, con tanto di chiamata all’applauso rivolta da Matteo Renzi in persona per celebrare le conversioni di Gennaro Migliore di Sel e di Andrea Romano, già comunista, poi ferocemente anti, dalemiano, antidalemiano, montezemoliano, montiano e ora renzista convinto.
Del resto il nuovo corso politico ha già fatto battuto ogni record di trasformismo, e non era facile in Italia.
In meno di due anni, sono già 156 i parlamentari che hanno voltato casacca passando da un partito all’altro. Senza contare i quattrocento che l’hanno rivoltata restando nel Pd.
In attesa di applaudire il notaio del Nazareno che Renzi e l’amico Silvio piazzeranno al Quirinale, i rampanti del Pd liquidano con sprezzante indifferenza l’addio di Cofferati e magari di altri.
I rampanti del Pasok greco anni fa non diedero molto peso all’abbandono dell’ormai anziano Manolis Glezos, simbolo della resistenza greca al nazifascismo, passato nelle file di Syriza per reazione agli scandali del partito.
Syriza aveva il 4 per cento e il Pasok il 42. Ora il Pasok è quasi estinto.
Ma chissà , forse ha ragione Serracchiani e i vecchi che se ne vanno non creano imbarazzo in vista delle prossime elezioni.
L’imbarazzo vero, per gli elettori del Pd, cominciano a essere quelli che rimangono.
Curzio Maltese
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