DAGLI ACCORDI CON PUTIN PER IL GAS ALLE SOCIETA’ CON GHEDDAFI: I SOSPETTI USA SU BERLUSCONI
LA CLINTON CHIESE DI SCOPRIRE I POSSIBILI INTERESSI PRIVATI TRA BERLUSCONI E PUTIN….LA MALEDIZIONE DEL GAS RUSSO: UN TEMPO SERVI’ A FINANZIARE IL PCI, ORA TUTTI POSSONO IMPORTARE GAS NEI TUBI DELL’ENI…LA GAZPROM VENDE DIRETTAMENTE TRE MILIARDI DI MC DI GAS ALL’ ITALIA, ATTRAVERSO LA CENTREX CON SEDE A VIENNA…IL RUOLO DI SCARONI E DI NICOLAZZI
Occhio alle date.
Il 16 aprile 2009 David Thorne, appena nominato ambasciatore a Roma, afferma davanti alla Commissione esteri del Senato americano, che deve dare il via libera al suo incarico: “Anche se Usa e Italia cooperano strettamente su numerosi temi, ci sono, comunque, alcune posizioni della politica estera italiana che continuano a preoccuparci”.
Quattro mesi dopo Maurizio Caprara, che lo intervista per il Corriere della
Sera, riferisce: “Tra i suoi obiettivi rientra quello di evitare che il nostro Paese dipenda troppo dalla Russia per la fornitura di gas e petrolio”.
Se dunque il segretario di Stato Hillary Clinton, negli stessi mesi, chiede
alla sua rete diplomatica di capire se tra Silvio Berlusconi e Vladimir
Putin ci siano anche rapporti di affari privati non è certo per interesse
alla moralità pubblica.
E non è una sorpresa la sua curiosità rivelata da Wikileaks: in gioco ci sono interessi corposi, che vanno al di là di Berlusconi.
Il gas russo è un’antica maledizione della politica italiana.
Quando sull’Eni regnava Eugenio Cefis, il gas dell’Unione Societica serviva a
finanziare il Pci, come ha raccontato l’ex dirigente di Botteghe Oscure Gianni Cervetti, nel libro “L’oro di Mosca”.
Nel nuovo secolo sono gli amici di Berlusconi a subire l’attrazione fatale.
Il gas russo arriva in un tubo alla frontiera di Tarvisio ed è l’Eni che lo distribuisce lungo la penisola: rappresenta un terzo delle importazioni
italiane di gas.
Ma con la liberalizzazione altri operatori possono portare gas in Italia nei tubi dell’Eni. E si scatena la corsa.
C’è Massimo Ciancimino che progetta addirittura un nuovo gasdotto, prima
di essere fermato dalle inchieste sul tesoro di suo padre.
C’è Marcello Dell’Utri che va e viene da Mosca, “per occuparsi di gas”, racconta nel 2005 il sottosegretario all’Interno Michele Saponara, subito corretto dall’interessato che precisa di occuparsi come sempre di libri, ancorchè in cirillico.
Ma subito Gianni Pilo, ex sondaggista di fiducia di Dell’Utri, inizia la sua attività di import di gas con la sua Enoi.
Anche la Gazprom, la società russa che ha il gas, vuole venderlo direttamente in Italia, per guadagnare di più.
E’ la vicenda più significativa dell’intreccio affaristico tra l’Italia di Berlusconi e la Russia di Putin.
Nella primavera del 2005 la Gazprom strappa al numero uno dell’Eni, Vittorio Mincato, un vantaggioso contratto per la vendita diretta in Italia di 3 miliardi di metri cubi di gas (su circa 80 del consumo totale nazionale).
Lo farà attraverso la sua società commerciale per l’Europa, situata a Vienna, che si chiama Centrex (oggi guidata dall’italiano Massimo Nicolazzi, figlio dell’ex ministro Franco, quello delle carceri d’oro: com’è piccolo il mondo).
Si scoprì allora che socio della Centrex nell’operazione era Bruno Mentasti, ex proprietario della San Pellegrino, amico per la pelle di Berlusconi. fin da quando inondava le tv Fininvest di spot dell’acqua minerale.
Dissero i maligni che Mincato firmò il contratto per agevolare il rinnovo del suo mandato in scadenza.
Berlusconi invece lo fece fuori e mise al suo posto Paolo Scaroni, manager di antiche ascendenze craxiane. E curiosamente fu proprio Scaroni, appena nominato, a segnalare l’operazione ai sindaci revisori dell’Eni e a farla saltare.
Mancavano pochi mesi alle elezioni politiche del 2006, che videro la
vittoria di Romano Prodi.
Scaroni sembrò ai berlusconiani fedeli mettersi a giocare in proprio. E fu proprio con il governo Prodi, nel 2007, che Scaroni firmò l’accordo con Gazprom per il nuovo gasdotto Southstream, che attraverserà il Mar Nero per giungere direttamente in Europa aggirando l’Ucraina.
Un’ operazione di ampia portata geopolitica, nella quale sta non a caso per entrare anche la Francia di Nicolas Sarkozy.
Southstream è la cosa che piace meno agli Stati Uniti, sponsor del Nabucco,
gasdotto che verrebbe dall’area caucasica, escludendo la Russia.
Non è solo l’amicizia con Putin che agita la diplomazia americana. Sicuramente a Washington sobbalzano quando scoprono che il colonnello
Gheddafi è diventato socio, con la Libyan Investment Authority, della
società televisiva Quinta Communication, costituita da Tarek Ben Ammar e
dalla Fininvest di Berlusconi.
Proprio mentre la statale Finmeccanica, guidata da Pierfrancesco Guarguaglini, oggi nei guai per l’inchiestagiudiziaria su sua moglie Marina Grossi, come lui manager di Finmeccanica, costituisce una società paritetica con Tripoli per inondare di armi Africa e Medio Oriente.
E intanto la Impregilo dell’amico Ligresti aspetta impaziente di costruire con soldi italiani la mitica autostrada verso l’Egitto .
Anche qui la diplomazia americana fatica a distinguere gli affari e le relazioni private di Berlusconi dalle inclinazioni del sistema Italia. Oggi i fondi sovrani libici sono azionisti decisivi di Unicredit, e risultano sempre al centro di voci che li vogliono in procinto di assumere partecipazioni azionarie importanti nei pezzi di maggior pregio dell’industria e della finanza italiane: non esclusi la stessa Fin-meccanica e l’Eni.
Il tema dei rapporti con la Libia attraversa tutti gli schieramenti politici, ed è ¨ per il governo americano un antico busillis: in fondo, non si è sempre ipotizzato, tra le cause della fine politica di Giulio Andreotti, l’eccessivo filo-arabismo messogli in conto, al crepuscolo della Prima Repubblica, dagli analisti di Washington?
Giorgio Meletti
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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