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DALLA VICINANZA ALL’ESTREMA DESTRA ALLA LEGA, DALLA CROCIATA ANTI-EURO A DRAGHI: IL DOPPIO GIOCO DI GIORGETTI

L’INCONTRO CON BOSSI GLI HA CAMBIATO LA VITA

La sera del 7 marzo 1979 al palazzetto dello sport di Varese i tifosi di casa diedero il peggio di sé. Mentre sul parquet si giocava la gara di Coppa Campioni di basket fra Emerson Varese e Maccabi Tel Aviv, sugli spalti le braccia si protesero in saluti romani, furono esposti dei crocifissi in legno e striscioni inneggianti alla Shoah («10, 100, 1.000 Mauthausen») e fu intonato un coro ignominioso: «Adolf Hitler ce l’ha insegnato, uccidere gli ebrei non è reato».
Varese in quegli anni era una delle città più “nere” d’Italia e il tifo organizzato della squadra di basket cittadina pullulava di esponenti del Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano. All’epoca Giancarlo Giorgetti – tutt’oggi appassionato della Pallacanestro Varese – era poco più che un bambino, ma qualche anno più tardi anche lui iniziò a frequentare i giovani dell’estrema destra varesotta
Da ragazzo, il nostro neo-ministro dell’Economia bazzicava (sebbene senza averne la tessera) in ambienti vicini a Fare Fronte, il gruppo studentesco del Fronte della Gioventù.
Nel 1989, quando aveva 23 anni e studiava Economia alla Bocconi (seguendo le lezioni del professor Mario Monti), dava ripetizioni gratuite di matematica nei locali di Comunità Giovanile, uno dei primi esperimenti di centro sociale di destra, a Busto Arsizio.
L’animatore di quel centro era uno dei suoi più cari amici, Giovanni Blini, suo compagno d’università e militante dei giovani missini. Blini morì tragicamente a soli 24 anni in un incidente stradale a Potenza, proprio mentre rientrava dalla Festa nazionale del Fronte della Gioventù: su quell’auto c’era anche il suo futuro cognato, Francesco Lattuada, oggi coordinatore di Fratelli d’Italia a Busto.
«Comunità Giovanile – racconta Lattuada – nacque su input dei dirigenti del Fronte, in particolare Fabio Rampelli (oggi vicepresidente della Camera, ndr). L’idea era quella di superare il neofascismo e i suoi simboli per aprirsi definitivamente al mondo giovanile, il nostro modello era la “nouvelle droite” francese. Giorgetti? Me lo ricordo bene, partecipò alla fondazione di Comunità Giovanile: era una persona seria e pacata, si vedeva già allora che era un cavallo di razza».
C’è anche una foto di quegli anni, svelata un paio d’anni fa dal programma tv Report, che mostra il futuro dirigente della Lega in posa insieme a un gruppo di ragazzi, uno dei quali con una mano tiene una bandiera dell’Italia e con l’altra fa il saluto romano.
Quel giovane oggi è uno dei più conosciuti avvocati civilisti della Lombardia, nonché coordinatore della commissione Arte e Cultura di Fondazione Cariplo ed ex membro del consiglio d’amministrazione di Italgas: si chiama Andrea Mascetti ed è ancora oggi un caro amico di Giorgetti, come riconosciuto dallo stesso ministro e come documentano diversi scatti anche recenti che li ritraggono insieme.
Ex militante del Fronte della Gioventù, Mascetti ha poi fatto parte del consiglio direttivo della Lega Nord, ma soprattutto ha fondato un’associazione culturale, Terra Insubre, che rappresenta un punto di riferimento per l’ala più destrorsa della Lega padana.
L’associazione, come si legge sul suo sito, «svolge attività di ricerca» sui popoli celtici, germanici e alpini che hanno influenzato la storia della Lombardia, ma non è mai stata vista di buon occhio da Umberto Bossi, che anni fa arrivò a bollarla come «un covo di fascisti» in seno al partito.
Il Senatùr è stato il vero mentore politico di Giancarlo Giorgetti. Dopo le frequentazioni missine, il bocconiano varesotto fu conquistato dal “celodurismo” leghista che sulle macerie della prima repubblica gridava contro «Roma ladrona».
Sotto l’effige di Alberto da Giussano, nel 1995 fu eletto giovane sindaco del suo paesino, Cazzago Brabbia. L’anno seguente fu Bossi in persona a volerlo fortemente candidare e a farlo entrare per la prima volta in parlamento. Ventisei anni dopo, l’allievo è vicesegretario della Lega (che nel frattempo ha perso la desinenza “Nord”) ed è arrivato a guidare il ministero dell’Economia. Niente male, per uno che al raduno di Pontida del 2014 dichiarava ai giornalisti: «Ci vantiamo di essere stati gli unici ad avere votato contro l’ingresso nell’euro».
«Giorgetti non ha mai messo in discussione l’adozione della moneta unica, anzi è un processo che ha sostenuto e difeso», precisano dall’ufficio stampa del ministro. Eppure, ancora nel 2017 il dirigente del Carroccio La7 andava su a sottolineare: «Chi è pensionato o lavoratore dipendente si è accorto subito che, una volta entrati nell’euro, la propria pensione o il proprio stipendio permettevano di comprare esattamente la metà di prima. Già questo, senza bisogno di slide, tabelle o scienziati economisti, basta a spiegare perché l’euro non va bene».
Parole da leghista duro e puro, toni lontani da quelli del fedele e moderato sostenitore di Mario Draghi. Come quando nel 2008, alla vigilia delle elezioni politiche, si presentò ai microfoni di TelePadania a proclamare fiero: «Tutti i popoli della Padania testimoniano per la battaglia comune contro Roma e il federalismo romano. Chi si candida nella Lega deve essere pronto alla battaglia e si lega a un vincolo per la vita. I parlamentari della Lega prima giurano a Pontida. La Costituzione italiana? Vediamo di cambiarla e di dare la possibilità a tutti i popoli del Nord di essere autonomi e liberi per quanto possibile».
Emilio Magni, sindaco di Cazzago Brabbia, iscritto al Pd ma eletto con una lista civica, osserva con grande autoironia: «Se oggi si tenessero delle elezioni comunali e i candidati fossimo io e Giorgetti, vincerebbe di sicuro lui».
Nel minuscolo comune adagiato sulla sponda sud del Lago di Varese – appena 800 abitanti – alle recenti politiche la Lega è stata il partito più votato, raccogliendo il 23% delle preferenze (Fratelli d’Italia si è fermato a 21).
Qui Giorgetti, primo cittadino per nove anni, dal 1995 al 2004, è conosciuto semplicemente come “il Giancarlo”: «È stato un bravo sindaco, apprezzato da tutti», riconosce Magni. «Io sono più vecchio di lui, me lo ricordo quando era un ragazzo: giocava da portiere nella squadra di un paese vicino, la Ternatese. Conoscevo bene suo padre Natale: votava repubblicano, era un ammiratore di La Malfa».
Se i Giorgetti sono forse la famiglia più nota di Cazzago Brabbia, il merito non è solo della brillante carriera politica “del Giancarlo”, ma anche dell’acume imprenditoriale di suo nonno e dei suoi fratelli. Fino a un secolo fa i Giorgetti erano umili pescatori fittavoli che lavoravano per il conte Ettore Ponti, proprietario del Lago di Varese; nel 1922 la loro vita, e quella dei loro discendenti, cambiò quando acquistarono il diritto di pesca e si misero in proprio fondando la Cooperativa Pescatori: grazie a quell’operazione divennero ricchi.
La cooperativa ha recentemente festeggiato il centenario alla presenza del ministro: Natale Giorgetti, scomparso alcuni anni fa, ne è stato uno storico presidente e aveva tramandato la carica al figlio Giancarlo, che però si è dovuto dimettere nel 2018 quando è stato nominato sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, per incompatibilità fra i due ruoli.
Il leghista è il secondo di tre fratelli: il maggiore, Giuseppe, lavora come impiegato in un’azienda di trasporti; il minore, Francesco, è un manager di Leonardo. Con quest’ultimo, più giovane di lui di quindici anni, il ministro condivide la singolare passione – accesasi giocando a Subbuteo – per il Southampton, squadra di calcio inglese che storicamente annaspa in zona retrocessione: i due sono accaniti tifosi per davvero, al punto che più di una volta sono volati oltremanica per assistere alle partite allo stadio e hanno anche fondato un club italiano di supporter, “Italian Saints”.
È nella sua Cazzago Brabbia che Giorgetti ha conosciuto da adolescente la futura moglie, Laura Ferrari, figlia di un agricoltore, amante dei cavalli.
Nel 2008 la donna ha patteggiato una pena di 2 mesi e 10 giorni per truffa ai danni della Regione Lombardia: per ottenere un finanziamento da 400mila euro, aveva gonfiato il numero dei partecipanti ai corsi di equitazione che organizzava. I due hanno una figlia, Marta, che studia all’università.
Il vicesegretario della Lega è poi cugino del banchiere Massimo Ponzellini, allievo di Romano Prodi, poi avvicinatosi a Giulio Tremonti, già amministratore delegato della Zecca dello Stato e presidente della Banca Popolare di Milano e della Impregilo Costruzioni.
«Il Giancarlo lo si vede spesso a Cazzago», riprende il sindaco Magni. «Domenica scorsa (due domeniche fa per chi legge, ndr) era a messa, abbiamo chiacchierato». «La sua famiglia vive ancora qui in paese, sia la moglie sia la madre, a cui è legatissimo. Ogni tanto capita di vederlo andare in barca a pescare nel lago o addirittura a farsi il bagno lontano dalla riva, dove l’acqua è più pulita». «È un uomo molto legato alle sue origini, modesto, riservato. Anche in politica è così: lavora molto, soprattutto dietro le quinte. Non è mai andato alla battaglia in prima linea nel suo partito, neanche adesso che è ai ferri corti con Salvini».
Le tensioni striscianti con “il Capitano” ce le conferma anche un parlamentare leghista vicino al segretario, che per ovvie ragioni ci chiede di restare anonimo: «I rapporti con Matteo – dice – si sono ormai deteriorati. Basti pensare che, sia con il Governo Draghi sia con il Governo Meloni, Giorgetti è stato fatto ministro all’insaputa di Salvini».
Se nella sua terra frequenta solo lumbard purosangue ed è rimasto fedele alle due P leghiste (Padania e Pontida), quando è a Roma il numero due del Carroccio è uomo di mondo: non disdegna la compagnia di avversari politici – dalle famigerate pizzate con Luigi Di Maio all’endorsement per Carlo Calenda al Campidoglio, seguito dalla sua partecipazione come ospite al congresso di Azione – ed è ben accreditato presso figure di potere assai lontane dal mondo Lega.
Non è un mistero la sua vicinanza a Draghi, risalente al periodo in cui Giorgetti era presidente della Commissione Bilancio della Camera e Super Mario direttore generale del Tesoro. Ed è nota pure la vicinanza con ambienti del Vaticano: ad esempio monsignor Liberio Andreatta, ex responsabile dell’Opera romana pellegrinaggi, che gli avrebbe persino trovato un appartamento in pieno centro in un palazzo della Santa Sede.
Poi ci sono le cene con gli imprenditori romani, come quella nel marzo 2018 – mentre correvano le trattative per formare una nuova maggioranza di governo – con il costruttore Luca Parnasi, attualmente a processo per finanziamento illecito (per una vicenda in cui Giorgetti è totalmente estraneo).
«Giancarlo ha rapporti di amicizia con diversi personaggi del sistema di potere italiano, da Draghi a Ugo Zampetti (segretario generale del Quirinale, ndr)», racconta il parlamentare salviniano anonimo. «Al punto che certe volte ho avuto dei dubbi su quale partita stesse effettivamente giocando. Un esempio? Nell’estate del 2019, quando Salvini stava per rompere con il Movimento 5 Stelle, Giancarlo disse: “Tranquilli, ho parlato con Mattarella, se cade il governo si va alle elezioni anticipate”. Poi sappiamo com’è andata… Da lì è iniziato il suo declino nel partito: fino a quel momento era lui a gestire le nomine per conto della Lega, ora se ne occupa l’onorevole Bagnai. Poi Giorgetti è tornato in auge con Draghi e ora con la Meloni».
Ma, a ennesima conferma della spaccatura con Salvini, alle ultime politiche alcuni dei fedelissimi del vicesegretario non sono stati ricandidati o sono rimasti esclusi dagli eletti, come il deputato uscente Matteo Bianchi, ex sindaco di Morazzone, in provincia di Varese.
Peraltro, Giorgetti nella Lega non era solo l’uomo delle nomine: per anni ha gestito anche i conti del partito.
A raccontarlo a TPI è Daniela Cantamessa, storica ex segretaria di Bossi: «Nel 2012 Maroni, appena eletto segretario, incaricò Giorgetti di studiare una spending review per il partito. Una mattina, chiacchierando nell’attesa che Bossi arrivasse in ufficio, Giancarlo mi disse: “Bisognerà pensare di mettere da parte un milione di euro per incentivare i dipendenti a dimettersi”. La cosa mi colpì – ricorda l’ex segretaria del Senatùr – perché avevamo in cassa circa 30 milioni di euro e nella Lega mai avremmo pensato di fare la fine che abbiamo fatto». Ossia il licenziamento di tutti i dipendenti del partito.
«L’idea che mi sono fatta a posteriori – prosegue Cantamessa – è che ci fosse la volontà di svuotare il partito. Di lì a poco Maroni iniziò a non utilizzare più la struttura della Lega e a ingaggiare delle società esterne, pagandole l’ira di Dio. E Giorgetti? Si è allineato, come sempre. È stato prima bossiano, poi maroniano, poi salviniano e adesso è draghiano… È un bravo politico, ma come persona mi ha deluso».
Agli inizi degli anni Duemila, Giorgetti era stato nominato da Bossi nel consiglio d’amministrazione di Credieuronord, la «banca padana e dei padani», pensata per custodire i risparmi e finanziare le attività dei militanti leghisti. Fu un disastro: la raccolta del capitale andò malissimo e l’istituto palesò presto pesanti incapacità gestionali.
Il presidente della banca era Francesco Arcucci, all’epoca nel consiglio di Banca Intesa, mentre come vicepresidente fu designato il leghista Gianmaria Galimberti: «Come tutte le operazioni bancarie – dice Galimberti a TPI – Credieuronord avrebbe avuto bisogno di partire con una grande base di risparmio. E invece la maggior parte dei leghisti non aderì: lasciò i soldi nella banca in cui già li aveva. Del resto, avevamo poche sedi sul territorio e non potevamo pretendere, ad esempio, che un triestino venisse ogni volta a Milano per versare o prelevare». Inoltre furono concessi finanziamenti senza le adeguate garanzie, il più noto dei quali all’ex calciatore del Milan Franco Baresi.
Nel giro di quattro anni Credieuronord era praticamente fallita. A salvarla fu la Banca Popolare di Lodi guidata da Gianpiero Fiorani, poi passato alle cronache come uno dei «furbetti del quartierino», che, per altre vicende, sarà condannato per falso in bilancio e patteggerà per aggiotaggio, truffa e associazione a delinquere.
Nel 2006, interrogato dai magistrati di Milano, Fiorani rivelò che due anni prima, un giorno d’estate, si era presentato nell’ufficio di Giorgetti a Montecitorio con 100mila euro in contanti inseriti all’interno di una copia piegata del quotidiano La Repubblica: i soldi erano un modo per ringraziare la Lega di aver smussato le ostilità rispetto alla conferma a Bankitalia del governatore Antonio Fazio (vicino allo stesso Fiorani). Quel giorno, tuttavia, Giorgetti non era in ufficio.
Fiorani lasciò la busta con il denaro sulla sua scrivania e se ne andò. Qualche ora più tardi ricevette una telefonata: era Giorgetti. «Disse – parola di Fiorani – che non voleva assolutamente ricevere denaro perché lui era contrario, volendo moralizzare le prassi del partito». E lo restituì. Sempre secondo Fiorani, il leghista aggiunse che, volendo, c’era la squadra di calcio Varese che aveva bisogno di soldi. Ma, ritenendo che non ce ne fossero gli estremi, non denunciò l’episodio: comportamento considerato peraltro irrilevante dal punto di vista penale dai magistrati.
Nel 2011 il nome di Giorgetti saltò fuori in uno dei 251mila cablogrammi segreti pubblicati da Wikileaks, l’organizzazione di Julian Assange. Nel documento – un rapporto del Consolato statunitense di Milano diretto a Washington, datato agosto 2009 – il leghista veniva indicato come successore naturale di Bossi alla guida del Carroccio: «Laureato alla Bocconi, proveniente dalla provincia chiave di Varese, l’unico che conosce sia la macchina del partito che gli apparati romani. In pubblico dice di non ambire alla successione, ma in privato tende a non negarlo», scrivevano gli americani.
Quattro mesi prima, Giorgetti, insieme all’allora ministro della Semplificazione Roberto Calderoli, era stato a pranzo con Daniel Weygandt, console Usa a Milano: «Berlusconi – confidò al diplomatico statunitense – sta cercando di creare attriti per spingere la Lega verso posizioni estremistiche e aumentare così il sostegno al Pdl. Ma non ci cadremo». Tre anni dopo quella conversazione, Bossi fu travolto dallo “scandalo Belsito” sui rimborsi elettorali e la guida del partito passò prima a Maroni, poi a Salvini.
Da leghista ben introdotto nelle stanze del potere, nel marzo 2013 Giorgetti fu nominato dal presidente della Repubblica Napolitano nel gruppo dei “dieci saggi”, team di esperti del mondo politico e accademico incaricati di elaborare un programma di riforme istituzionali ed economico attorno a cui imperniare una nuova maggioranza parlamentare (dalle elezioni di poche settimane prima non era emerso alcun vincitore).
Giorgetti fece parte del gruppo di lavoro impegnato sulle riforme istituzionali: fra le proposte di riforma che ne uscirono, l’eliminazione del bicameralismo perfetto. Poco dopo si formò una maggioranza di larghe intese che diede vita al governo di Enrico Letta, ma la Lega si schierò all’opposizione.
Nel corso della sua carriera parlamentare, Giorgetti è stato autore di alcune controverse leggi, come la numero 40 del 2004, che ha posto una serie di limiti alla procreazione medicalmente assistita: norma che è stata oggetto di un referendum abrogativo (non si raggiunse il quorum) e di diverse pronunce di incostituzionalità da parte delle Consulta. Oppure la legge – sollecitata dalla Commissione europea – che nel 2012, sotto il Governo Monti, diede attuazione al principio del pareggio di bilancio in Costituzione (la Lega votò favorevole alla Camera e si astenne al Senato).
«Il principio del pareggio di bilancio – disse Giorgetti, anni dopo, davanti ai militanti del Carroccio – è un principio che applichiamo in tutte le famiglie, almeno quelle della Padania, e funziona». «Il problema – aggiunse puntando il dito contro l’euro – è che, se c’è la globalizzazione, e quindi la difficoltà di competere sui mercati, e tu ti dai una moneta forte, è inevitabile che condanni la tua economia al suicidio».
Questo è Giorgetti: tribuno del popolo nella sua Varese, uomo del “deep state” nella Roma che ha saputo pazientemente conquistare. Leghista, ma anche un bel po’ democristiano. Più amico di certi avversari che di certi compagni di partito. Più nemico di certi alleati che di certi avversari.
Il ministro che nei prossimi mesi e anni dovrà fare i salti mortali per far quadrare i conti dello Stato, tra annunciate sforbiciate fiscali e riforma delle pensioni, è una figura complessa: figlio di un pescatore e laurea alla Bocconi, le frequentazioni nell’estrema destra nazionalista e la mitologia della Padania, le contestazioni alla moneta unica e l’asse di ferro con Mario Draghi. Tutto sintetizzato in un paio di frasi pronunciate alcune settimane fa, all’ultimo raduno del Carroccio: «La sovranità del popolo noi la concepiamo come la sovranità del popolo di Pontida. Governare è un atto di equilibrio fra quello che si vorrebbe e quello che si può. Equilibrio è un atto di coraggio e ci vuole coraggio per avere equilibrio». La Lega di Bossi non c’è più, ma “il Giancarlo” è sempre lì.
(da TPI)

This entry was posted on sabato, Novembre 19th, 2022 at 21:51 and is filed under Politica. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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