DAZI, SOS DEI RISTORATORI USA: “L’80% DEI NOSTRI PRODOTTI VIENE DALL’ITALIA, RISCHIAMO DI CHIUDERE”
“LE PRIME A PAGARE SARANNO LE ATTIVITA’ ECONOMICHE STATUNITENSI”… “LA PIZZA E’ UN PASTO SOCIALE, NON POSSIAMO AUMENTARE TROPPO I PREZZI”
La scure dei dazi paventata da Donald Trump incombe sul comparto enogastronomico italiano, per cui gli Stati Uniti sono un mercato fondamentale. Il presidente americano ha minacciato di imporre tariffe doganali del 200% su vini e champagne dall’Unione Europea, alimentando i timori di una guerra commerciale a tutto campo sulle due sponde dell’Atlantico che possa estendersi anche ad altri prodotti. E la mancanza di certezze su come il tycoon intende procedere fa aumentare la preoccupazione tra i ristoratori italiani negli Usa per il rischio concreto di aumenti consistenti dei costi delle materie prime, e di conseguenza dei prezzi, anche per il consumatore finale.
Il Gusto ha interpellato alcuni esponenti del settore per capire i rischi e le strategie con cui si preparano ad affrontare eventuali nuove tariffe doganali.
“L’80% delle nostre materie prime viene dall’Italia. Siamo preoccupati se questo succede, non solo per il cibo, ma anche per i vini e le birre, che da noi sono tutti italiani”, spiega Roberto Caporuscio, noto pizzaiolo di New York, proprietario di Kesté Pizza e Vino. “E’ un salto nel buio perché non sappiamo se la farina o il pomodoro saranno soggetti ai dazi, o i vini, come sembra, ma dobbiamo essere pronti – continua – C’è chi mi ha chiesto se andrò in un’altra direzione usando prodotti locali, e io rispondo assolutamente no, una cosa che non faremo mai è scendere a compromessi sulla qualità. Cercheremo di tagliare i costi in altre maniere per incidere il meno possibile sul prodotto finale, ma senza alterare l’eccellenza dei nostri prodotti”. Caporuscio sottolinea che “la pizza nella mentalità delle persone è un pasto ‘sociale’ a cui tutti possono avvicinarsi”, quindi l’obiettivo sarebbe nel caso di applicare un aumento contenuto, “magari del 10%, ma non del 25%, in questa maniera penso che i clienti capiranno, garantendo loro la stessa qualità e la stessa esperienza autentica a cui sono abituati”.
Nicola Fedeli, chef del ristorante Fasano su Park Avenue, dice di “credere e sperare che i rapporti tra Usa e Italia non danneggino l’importazione dei prodotti aumentando i dazi”. D’altra parte, a suo parere, “la clientela americana vede il prodotto italiano come di alta qualità, e anche se un domani dovessero costare qualche dollaro in più non credo ci siano problemi da parte del pubblico a pagare un prezzo leggermente più alto”. “Ovviamente in tal caso le aziende produttrici dovrebbero far capire alle persone che il prodotto italiano è sempre più naturale, salutare, senza conservanti: c’è il trend il cibo è medicina – prosegue – per noi è ovvio, ma per gli americani non lo è”.
Molta preoccupazione c’è anche per Roberto Paris, wine director de Il Buco: “Nel nostro gruppo il vino da solo è il 30% dell’indotto, ma l’80% del profitto – racconta – Già se ci saranno dazi del 25%, che sarebbe a questo punto l’ipotesi più rosea, sarà un problema, ma se poi si arriva al 50%, o al 75%, o addirittura al 200%, sarebbe una follia. E questo è solo per quanto riguarda i vini, ma sicuramente i dazi saranno anche sul cibo”. Secondo Paris è probabile che “diversi ristoranti dovranno addirittura chiudere, e poi ci sono importatori che operano solo con vini europei e probabilmente smetteranno di comprare, venderanno tutto quello che hanno in inventario sperando che si torni alla normalità. E’ vero quindi che i produttori italiani subiranno un danno, ma in realtà le prime a pagare saranno le attività economiche statunitensi”.
E inoltre, anche se si pensasse di acquistare solo vino americano, per esempio, “non sarebbero in grado di soddisfare nemmeno il 5-10% del fabbisogno nazionale, oltre al fatto che ci sono tariffe doganali sui materiali per la produzione che vengono dall’Europa come le botti e i silos, quindi soffriranno anche i produttori nazionali”. Da Los Angeles invece, Tommaso Iorio, private chef di Tuscany at Home, sottolinea che “i nostri prezzi hanno già subito un rialzo a causa dell’aumento delle materie prime. Un’ulteriore impennata dovuta ai dazi rischierebbe di mettere in ginocchio noi operatori del settore. Non si tratta solo dei vini, ma anche di prodotti fondamentali del made in Italy come farine, pasta e pomodori”. A suo parere, “fortunatamente il cliente americano apprezza sempre di più l’Italia e sta acquisendo una crescente consapevolezza della qualità dei nostri prodotti. Tuttavia, di fronte a un ulteriore aumento dei prezzi, potrebbe passare dal consumare cibo italiano tre volte a settimana a una sola, con gravi conseguenze per l’intero settore”.
(da agenzie)
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