DIECI DI MENO CONTRO RENZI SULLA LEGGE ELETTORALE
LA SOSTITUZIONE DEI DIECI COMMISSARI PD NON HA PRECEDENTI IN PARLAMENTO
Stazza robusta e spalle coperte, i guardiani dell’Italicum — Emanuele Fiano e Gennaro Migliore — cercano un po’ di adrenalina in un caffè alla buvette di Montecitorio.
Sono appena usciti dall’ennesima seduta della commissione Affari Costituzionali, ma lì dentro, ammettono “non si è avvertita nessuna tensione”.
La truppa dei dieci dissidenti che ha annunciato il no alla riforma elettorale ha già posato le armi. E ieri, a poche ore dalla loro defenestrazione d’ufficio, hanno pensato bene di portarsi avanti, sparendo in anticipo.
Solo Alfredo d’Attorre si è presentato nell’auletta: ha illustrato i suoi emendamenti, ultima fiammata prima di finire nel congelatore.
Ieri sera, come previsto, l’ufficio di presidenza del gruppo (alla guida Ettore Rosato, reggente dopo le dimissioni di Roberto Speranza) ha messo nero su bianco la “sostituzione ad rem ” di dieci esponenti democratici fuori sincrono con il cronoprogramma di Matteo Renzi.
Pier Luigi Bersani, Gianni Cuperlo (la frattura con la “ditta” è tale, che nessuno dei due parteciperà alla Festa nazionale dell’Unità che si inaugura oggi a Bologna), Rosy Bindi, Andrea Giorgis, Enzo Lattuca, Alfredo D’Attorre, Barbara Pollastrini, Marilena Fabbri, Roberta Agostini, Marco Meloni: tutti chiedevano modifiche che avrebbero inevitabilmente rallentato la corsa dell’Italicum.
Tanto nel calendario di quella commissione, di cose importanti non ce ne sono più.
La sostituzione di dieci commissari non ha precedenti nella storia recente del Parlamento. In passato, accadde per la valutazione di questioni regionali, in cui si era ritenuto utile affidarsi a deputati territorialmente competenti (e il presidente Pertini bollò pure quell’uso come rischioso, perchè foriero di “visioni parziali”).
Ma un “utilizzo politico” dell’istituto della sostituzione, ricorda il presidente del gruppo Misto Pino Pisicchio, “non c’è mai stato”.
E perfino alcuni sopravvissuti in commissione osano definire la scelta della dirigenza Pd come“antiestetica”.
La tesi della maggioranza democratica è che in commissione il parlamentare rappresenta il gruppo, dunque non può appellarsi all’articolo 67 della Costituzione che lo libera dal vincolo di mandato.
Crinale avventuroso, che ieri ha già provocato una serie di reazioni a catena.
Scelta Civica e Cinque Stelle (che, per la verità , dell’autonomia del parlamentare non hanno mai fatto una bandiera) minacciano di abbandonare i lavori della commissione, Sel e Forza Italia criticano la decisione di Renzi ma ricordano che l’esame
dell’Italicum proseguirebbe anche se rimanesse in Affari Costituzionali anche solo un quarto dei suoi componenti.
Ma ormai, quella della commissione, è acqua passata. E in aula, non potendo sostituire il centinaio di allergici all’Italicum, si fa strada l’ipotesi della fiducia.
Gianni Cuperlo ieri è partito in quarta dicendo che sarebbe “uno strappo” che “metterebbe seriamente a rischio il proseguimento della legislatura”.
Ma, tranquilli: stamattina ci sarà una riunione tra Sinistra dem e Area riformista per ricucire anche questo.
Paola Zanca
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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