DIPENDENTI DELLA LEGA PAGATI CON I SOLDI PUBBLICI DEI GRUPPI REGIONALI, LE TESTIMONIANZE: “VERTICI SAPEVANO, SISTEMA CONSOLIDATO”
LE DICHIARAZIONI DAVANTI AI GIUDICI: “O ACCETTAVI O TI DOVEVI TROVARE UN ALTRO POSTO DI LAVORO”
Decine di dipendenti della Lega retribuiti per almeno quindici anni con soldi pubblici, invece che con quelli del partito.
Stipendi sborsati dai gruppi regionali per pagare persone che in Regione non mettevano piede.
Un meccanismo che ha fatto risparmiare parecchi milioni di euro alla Lega e di cui avrebbero beneficiato diversi volti noti dell’attuale parlamento italiano. Come Raffaele Volpi, il deputato leghista di recente nominato presidente del Copasir, l’organo parlamentare preposto a controllare l’operato dei servizi segreti italiani.
L’escamotage sarebbe stato introdotto nel 2003, quando in Lombardia c’era l’attuale vice segretario federale Giancarlo Giorgetti e usato in forma diversa, anni dopo, anche dal leader leghista Matteo Salvini.
I gruppi regionali, detti anche gruppi consiliari, esistono in tutte le regioni. La legge prevede che siano finanziati con soldi pubblici, provenienti per lo più dalle imposte pagate dai cittadini.
Di quanto parliamo? La Lega nel quinquennio 2013-2017 ha incassato contributi pubblici per circa mezzo milione di euro.
E questo solo considerando la regione Lombardia; per conoscere il totale andrebbero aggiunti quelli ottenuti dalle altre Regioni dove il Carroccio ha un gruppo. Tutto dipende dal numero di consiglieri regionali eletti: più un partito ne ha, più ha diritto di incassare. La legge pone però dei limiti. Dice che questi soldi possono essere spesi esclusivamente per l’attività del gruppo regionale, non per quella del partito: «I gruppi consiliari non possono utilizzare, neppure parzialmente, i contributi erogati dal Consiglio regionale per finanziare direttamente o indirettamente le spese di funzionamento degli organi centrali e periferici dei partiti».
Ma è proprio questo che avrebbe fatto la Lega a partire dal 2003 e fino almeno alla fine del 2017: usare soldi pubblici per pagare i propri dipendenti.
Il trucco sarebbe stato inaugurato nel 2003, poco dopo l’elezione di Giorgetti a segretario regionale della Lega in Lombardia. «Un giorno», racconta la fonte, «Giorgetti mi disse: “Cerchiamo di scaricare un po’ di costi nostri sul gruppo regionale: facciamo figurare che il gruppo assume del personale che in realtà lavora qui da noi in Lega”». Così il partito più forte d’Italia avrebbe iniziato a far pagare i suoi dipendenti da tutti i cittadini italiani, leghisti e non leghisti. Ai dipendenti andava bene, perchè l’alternativa era quella di fare i collaboratori a progetto della Lega: così invece risultavano dipendenti della Regione, con cinque anni di contratto assicurato.
«Ricordo che Giorgetti chiedeva al presidente del gruppo regionale della Lega in Lombardia, che all’epoca era Stefano Galli, quanti soldi aveva a disposizione per pagare il personale che lavorava in via Bellerio. In funzione di questo c’erano molti dipendenti che venivano pagati dal gruppo regionale, ma che in realtà lavoravano in sede. Gente che stava da mattina a sera in via Bellerio per svolgere compiti che nulla avevano a che fare con l’attività del gruppo regionale. Erano persone che seguivano le attività dei vari sindaci sparsi sul territorio, gli enti locali, organizzavano le feste di Pontida o di Venezia, tutto questo genere di attività . Io ero lì, le vedevo tutti i giorni al lavoro”
Secondo la fonte interna al partito, infatti, «questo metodo veniva usato sicuramente anche in Piemonte: avevo dei contatti lì e so che c’era questa cosa. Non ho certezza che avvenisse anche in altre regioni, so per certo solo di Lombardia e Piemonte».
Giugno 2012
L’ex comunista padano inizia la sua scalata al vertice ottenendo il posto che fu di Giorgetti: segretario della Lega Lombarda, la sezione più importante del partito. Che succede con il trucco dei dipendenti pagati con soldi pubblici? «Poco dopo l’arrivo di Salvini», racconta la fonte, «una persona face causa di lavoro alla Lega Lombarda denunciando proprio quello: che lui aveva il contratto con la Regione Lombardia ma in realtà lavorava per il partito. Salvini decise perciò di mascherare un po’ la cosa. Mantenne i vari contratti con il gruppo regionale, ma iniziò a fare andare le persone due giorni alla settimana in Regione e gli altri tre in via Bellerio. In questo modo i vari dipendenti facevano presenza in Regione, presso il gruppo Lega, timbravano il cartellino e poi tornavano in via Bellerio».
Secondo la fonte gli stipendi erano in media di 1700-2000 euro netti al mese, e il sistema sarebbe andato avanti dal 2003 ad almeno la fine del 2017. In totale fanno circa 7 milioni di euro, considerando solo i 15-20 dipendenti leghisti pagati dai contribuenti lombardi. In qualche caso parliamo di persone oggi molto influenti. Non solo Giorgetti e Salvini, che il trucco l’avrebbero utilizzato per far risparmiare soldi al partito, ma anche Raffaele Volpi, che il meccanismo l’avrebbe in qualche modo subìto. «Una decina di anni fa era responsabile degli enti locali della Lega, ma era pagato dal gruppo regionale in Lombardia», assicura la fonte. Volpi è oggi uno dei massimi dirigenti della Lega. Siede alla Camera da tre legislature consecutive. È stato scelto da Salvini per portare il suo progetto di Lega al Sud. A inizio ottobre è stato eletto per uno degli incarichi più delicati del parlamento: presidente del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, quello che dovrebbe monitorare l’attività dei nostri servizi segreti. È vero che mentre svolgeva il ruolo di responsabile degli enti locali della Lega veniva pagato dal gruppo regionale in Lombardia? Volpi non ha risposto alle nostre domande di chiarimento. Lo stesso vale per Galli, Giorgetti e Salvini.
C’è un nuovo testimone che conferma quanto abbiano raccontato, e alcuni verbali di interrogatorio che mettono nero su bianco le accuse nei confronti della Lega: per anni, il partito ha pagato con soldi pubblici delle Regioni decine di suoi dipendenti, e l’ha fatto di sicuro sia in Lombardia che Piemonte.
I documenti giudiziari ribadiscono il ruolo di Giancarlo Giorgetti al vertice del sistema, e tirano in ballo un gruppetto di deputati attuali della Lega.
Oggi possiamo svelare nuove accuse che riguardano questo meccanismo usato segretamente per anni dal più popolare partito italiano.
A parlare è Loredana Zola, per anni segretaria amministrativa della sezione piemontese della Lega Nord: «Gestivo la contabilità della segreteria del Piemonte e delle oltre 140 sedi periferiche che c’erano in Regione, all’occorrenza poi venivo chiamata a Milano per dare una mano in segreteria federale».
Zola ha lavorato nel partito dal 1993 fino al licenziamento collettivo, avvenuto nel 2017, quando Salvini ha definitivamente lasciato a casa quasi tutti gli storici dipendenti padani, una settantina in tutto.
L’ex impiegata della Lega spiega «dal 2008 a dicembre 2017 in Piemonte una decina di persone è stata pagata con soldi dei consigli regionali, nonostante lavorassero per il movimento». Lo stesso meccanismo usato in Lombardia fin dal 2003, come abbiamo raccontato.
Sotto la Mole, i responsabili del trucco leghista pagato dai tutti i contribuenti italiani sono stati i massimi responsabili del partito di allora, dice Zola: «Roberto Cota era il segretario politico del Piemonte, poi c’era Elena Maccanti (oggi deputata), Stefano Allasia (attualmente deputato e presidente del consiglio regionale del Piemonte) e Mario Carossa (ha lasciato la politica, allora era il capogruppo regionale)». Maccanti e Allasia non hanno risposto alle nostre richieste di chiarimento. L’ex presidente del Piemonte Cota si è limitato a scriverci: «Non faccio più politica da diversi anni. Anche in precedenza non mi occupavo di personale e di gestione del gruppo regionale». Davanti alla richiesta di commentare le accuse di Loredana Zola, Cota non ci ha risposto.
Molte cose raccontate a Fanpage.it sono state dette dall’ex responsabile amministrativa della Lega in Piemonte anche durante un piccolo processo che si sta svolgendo a Torino, e che il mese prossimo dovrebbe arrivare a sentenza.
Nel 2013 la procura piemontese ha messo sotto inchiesta per truffa lo stesso Carossa e Barbara Lacchia, ex segretaria della Lega. Motivo? Esattamente lo stesso: Lacchia sarebbe stata pagata per anni con soldi del gruppo Lega in Piemonte nonostante lavorasse come segretaria personale di Matteo Brigandì, già parlamentare e avvocato della Lega oltrechè di Umberto Bossi. L’accusa è di truffa.
Carossa, che della truffa sarebbe stato uno degli esecutori, ha deciso di non difendersi ottenendo la messa alla prova e poi l’estinzione del reato. Barbara Lacchia ha scelto invece di farsi processare. Rischia una condanna a 8 mesi per aver indebitamente intascato soldi pubblici, tra il 2011 e il 2012.
Per difendersi dall’accusa, l’ex segretaria ha chiamato a testimoniare due sue ex colleghe: Loredana Zola, appunto, ed Enrica Brambilla, responsabile dell’amministrazione della Lega in Lombardia, una delle prime dipendenti assunte in via Bellerio. È proprio dalle loro testimonianze che trova conferma quanto ci ha raccontato la nostra fonte.
Le due storiche segretarie della Lega hanno infatti spiegato che quanto fatto con Lacchia è avvenuto con molte altre persone. «Era una prassi consolidata addirittura gestita dai vertici», ha messo a verbale Brambilla citando tra i beneficiari di soldi pubblici «Franco Zucca, Marco Citterio, Giampaolo Pradella, Luciano Grammatica, Rita Malegori, Raffaele Volpi, Andrea Robbiani, Lucio Brignoli, Simona Guerrieri: ebbero tutti contratti con enti regionali facendo lavori non per la regione o addirittura ricoprendo ruoli interni alla Lega. Tutto era dato per legittimo e gestito da Giorgetti, il capogruppo e i vari assessori».
Qualcuno in Lega si è mai chiesto se questa prassi fosse legale? «No, il discorso era un po’ diverso», è la risposta a questa domanda data da Brambilla davanti ai giudici di Torino: «O si accettava quello o non c’era niente, quindi o così o così, uno doveva trovarsi un altro posto di lavoro se non accettava».
Ai 15-20 dipendenti lombardi pagati con soldi pubblici se ne aggiunge un’altra decina piemontese. Loredana Zola ha dichiarato infatti che di questo meccanismo hanno beneficiato altre 10 persone della Lega. L’ex segretaria del partito ha messo a verbale una lista di persone che, a detta sua, lavoravano per il partito ma per anni sono stati pagati con fondi della Regione.
C’è Riccardo Molinari, oggi capogruppo della Lega alla Camera oltrechè vice segretario federale; Alessandro Benvenuto, deputato e presidente della commissione Ambiente; Andrea Giaccone, deputato e presidente della Commissione Lavoro; Michele Mosca, consigliere regionale e vicesegretario di Lega Salvini Piemonte; Alessandro Ciro Sciretti, consigliere comunale di Torino fattosi conoscere a livello nazionale per aver invitato la polizia a usare il metodo «scuola Diaz» contro gli organizzatori di una manifestazione avvenuta nel capoluogo piemontese lo scorso febbraio.
I dati sui contratti di collaborazione resi pubblici dalla Regione Lombardia e dalla Regione Piemonte sono pochi e scarni: arrivano al massimo al 2013, in più non permettono di conoscere i dettagli dei contratti, come ad esempio le condizioni di lavoro con cui il collaboratore era assunto.
Di certo le testimonianze di Brambilla e Zola dicono che c’erano almeno 25 persone pagate con soldi pubblici per svolgere un lavoro privato. Se ognuno di loro costava alla Regione circa 2mila euro al mese, come dicono le due ex impiegate, il totale usato a favore della Lega dal 2003 al 2017 arriva a 9 milioni di euro.
E questo se il trucco finanziario si è interrotto nel 2017 e ha coinvolto esclusivamente Lombardia e Piemonte. Altrimenti il conto potrebbe salire. Una possibilità che la testimone Zola non esclude: «Visto ci veniva descritta come prassi», dice, «presumo venisse usato anche in altre regioni con presenza leghista».
(da FanPage)
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