DJ FABIO, LA PROCURA DI MILANO CHIEDE L’ASSOLUZIONE PER CAPPATO
“HA RISPETTATO IL DESIDERIO DI MORIRE DI FABIANO, ERA DAVVERO CONVINTO DI METTERE FINE A TUTTO QUEL DOLORE”
Assoluzione, perchè il fatto non sussiste.
Ecco la richiesta della procura di Milano nel processo a Marco Cappato per la morte assistita di dj Fabo.
Ma più che di diritto si parla di umanità nell’aula del tribunale. Non tanto di articoli di legge o di reati ma di dignità , libertà , dolore e desiderio.
Sulla base di questi ragionamenti, la procura chiede che l’esponente radicale non venga condannato. O, in subordine, l’invio degli atti del processo alla Corte Costituzionale per sollevare una questione di illegittimità sull’articolo 580 che prevede il reato di aiuto al suicidio. D’altra parte per Cappato la procura aveva già chiesto l’archiviazione (poi respinta) nel maggio del 2017.
L’intenzione dei magistrati si capisce bene dalle parole in aula dell’aggiunta Tiziana Siciliano. “Sarei davvero stupita – ha detto se qualcuno qui avesse qualche dubbio sul fatto che Fabiano avesse deciso di mettere fine alla sua vita. Sulla questione del dubbio se ci sia stata agevolazione al suicidio, cerchiamo di capire che cosa sia suicidio e come nasce l’articolo 580. Dobbiamo chiederci a quale vita facciamo riferimento. Quanto artificiali siano delle vite che noi siamo chiamati a difendere. Ho visto dei polmoni respirare da soli su un tavolo, macchine che sostituiscono cuori… ma è vita questa?”.
“Noi abbiamo ricostruito la drammatica storia di Fabiano – ha detto ancora Siciliano – che prima dell’incidente conduceva una vita meravigliosa, fatta di possibilità e poi si è ridotta a una serie di gangli di dolore, privato della possibilità di desiderare. Viene da dire, facendo una citazione letteraria, ‘se questo è un uomo’”.
E lo dice, Siciliano, prendendo in prestito la Costituzione, oltre che la letteratura. “La Costituzione repubblicana – chiarisce infatti – ci ha abituati a credere che un uomo è un pieno fruitore di tutti i diritti della personalità . Dignità è poter essere uomo. Ma come può esserci dignità se non c’è la libertà di esercitarla?”.
Chiudendo la requisitoria, la pm ha citato anche Tommaso Moro “che per le sue idee, simili a quelle di Fabiani e di Cappato, venne giustiziato, 500 anni fa, per poi essere beatificato nel 1935. Speriamo che non si voglia far lo stesso per Cappato”.
E ancora, con una punta di amara ironia, Siciliano ha chiuso: “Se verrà condannato Cappato, dovranno esserlo anche tutti gli altri famigliari e anche il portiere del palazzo che quella mattina aprì il portone a Fabiano, salutandolo per l’ultima volta, sapendo che andava a darsi la morte”.
Parla più della questione penale la collega Sara Arduini che dice: “Cappato non ha avuto alcun ruolo nella fase esecutiva del suicidio assistito di Fabiano Antoniani e non ha nemmeno rafforzato la sua volontà di morire”
Il pm dopo avere ripetuto più volte come fosse “forte e granitica la volontà di Fabiano di morire” in quanto dopo l’incidente stradale era rimasto cieco, paralizzato e senza la speranza di un lieve miglioramento, ha sottolineato più volte che Cappato “non ha in alcun modo rafforzato il proposito suicidiario di Fabo ma lo ha solo rispettato. Anzi lo ha addirittura ritardato cercando di coinvolgerlo nella sua lotta politica per tentare di dargli una nuova prospettiva di vita”.
I due pm originariamente avevano chiesto l’archiviazione della indagine a carico del rappresentante dell’associazione Luca Coscioni ma poi il gip Luigi Gargiulo aveva imposto l’imputazione coatta e l’esercizio dell’azione penale sostenendo che Cappato andasse accusato di aiuto al suicidio per avere addirittura rafforzato la volontà del proposito di togliersi la vita.
(da agenzie)
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