ERRORI DI VALUTAZIONE, ARROGANZA, MANCATA COMUNICAZIONE: TUTTE LE RAGIONI DEL FLOP DELLA CONTROFFENSIVA UCRAINA
LA SECONDA PARTE DELLA MONUMENTALE INCHIESTA DEL “WASHINGTON POST” SUL FALLIMENTO DELLA RESISTENZA UCRAINA NELL’ULTIMO ANNO… COMPLESSIVAMENTE, L’UCRAINA HA RICONQUISTATO SOLTANTO 518 KM QUADRATI DI TERRITORIO AL PREZZO DI MIGLIAIA DI MORTI E DI DECINE DI MILIARDI DI AIUTI MILITARI OCCIDENTALI
I soldati della 47ma Brigata Meccanizzata attesero – tesi ma fiduciosi – il calar della notte per ammassarsi nei loro mezzi da combattimento Bradley forniti dagli USA. Era il 7 giugno e la tanto attesa controffensiva ucraina stava per iniziare.
Scopo delle prime ventiquattr’ore era quello di avanzare per circa nove miglia, raggiungendo così il villaggio di Robotyne – un’offensiva iniziale a sud in vista del più ampio obiettivo di riprendersi Melitopol, città nelle vicinanze del Mar d’Azov, e d’interrompere le linee di rifornimento russe.
Nulla andò secondo i piani.
Le truppe ucraine si aspettavano i campi minati ma furono colti alla sprovvista dalla densità degli ordigni. Il suolo era tappezzato di esplosivi, così tanti e tali che in alcuni casi erano stati sepolti a cataste. I soldati erano stati addestrati a guidare i Bradley all’interno di una base in Germania, sul terreno spianato. E invece, sul terreno molle della regione di Zaporizhzhia, nell’assordante rumore della battaglia, faticavano a manovrarli tra gli angusti sentieri sminati dai reparti in avanzata.
I russi, appostati più in alto, aprirono istantaneamente il fuoco con i missili anticarro. Alcuni mezzi furono colpiti, obbligando gli altri alle loro spalle a deviare dal percorso, finendo a loro volta per esplodere sulle mine e ostruendo ulteriormente il convoglio. A quel punto gli elicotteri e i droni russi piombarono già dal cielo ad attaccare i mezzi ucraini tamponatisi a catena.
I soldati, che in alcuni casi vivevano per la prima volta il trauma del combattimento, si ritirarono per riorganizzarsi – solo per continuare nei giorni successivi ad attaccare e a battere in ritirata, e così via, con gli stessi esiti sanguinosi.
“Era un inferno” ha dichiarato Oleh Sentsov, comandante di plotone nella 47ma. Il quarto giorno, il generale Valery Zaluzhny al vertice del comando ucraino, aveva visto abbastanza. Il campo di battaglia era disseminato di armamenti occidentali – Bradley americani, carri armati Leopard tedeschi, dragamine. Il numero dei morti e dei feriti fiaccava il morale.
Come ha rivelato un alto ufficiale di Kiev, Zaluzhny disse alle sue truppe d’interrompere gli attacchi prima che fossero distrutti ulteriori armamenti ucraini, già limitati
Anziché provare a sfondare le difese russe con un massiccio attacco automatizzato e il supporto del fuoco di artiglieria, come avevano consigliato i suoi omologhi americani, Zaluzhny decise che i soldati ucraini si sarebbero mossi a piedi in gruppetti di circa dieci persone – un’avanzata che avrebbe salvato equipaggiamenti e vite umane ma che sarebbe stata molto più lenta.
In quel quarto giorno furono scartati mesi e mesi di pianificazione con gli Stati Uniti, e la già prorogata controffensiva, studiata per raggiungere il Mar d’Azov nel giro di sessanta-novanta giorni, rallentò fin quasi a fermarsi.
Anziché effettuare l’exploit di nove miglia il primo giorno, nei quasi sei mesi a partire da giugno gli ucraini erano avanzati di circa dodici miglia liberando una manciata di villaggi. Melitopol era ancora fuori portata, e anche parecchio.
Il seguente resoconto di come si dipanò la controffensiva è la seconda e ultima puntata della disamina e mette in luce i tentativi violenti e spesso futili di sfondare le linee russe, oltre alle sempre più ampie divergenze tra comandanti ucraini e americani riguardo a tattiche e strategie.
Nel primo articolo è stata sviscerata la pianificazione ucraina e statunitense che fu introdotta nell’operazione. Questa seconda parte si basa invece sulle interviste rilasciate da oltre trenta ufficiali ucraini e americani, oltre che da più di due dozzine di ufficiali dell’esercito e soldati al fronte. In alcuni casi, ufficiali e soldati hanno descritto le operazioni militari protetti dall’anonimato.
Dai rapporti sulla campagna apprendiamo, fra le altre cose, che:
– Il settanta per cento dei soldati di una delle brigate che guidavano la controffensiva, equipaggiati con le armi occidentali più all’avanguardia, andarono in battaglia senza alcuna esperienza di combattimento.
– Le battute d’arresto degli ucraini sul campo di battaglia portarono a screzi con gli Stati Uniti riguardo alla più efficace linea di condotta finalizzata ad aprire un varco nelle difese russe.
– Per settimane, nella prima parte della campagna, il comandante delle forze americane in Europa non riuscì a mettersi in contatto con il vertice del comando ucraino, in un clima di tensioni dovute ai ripensamenti americani relativi alle decisioni prese sul campo di battaglia.
– Ciascuna fazione incolpava l’altra per i vari passi falsi o errori di valutazione. I militari americani conclusero che l’Ucraina non era all’altezza nelle tattiche militari essenziali, comprese le perlustrazioni del terreno per determinare la densità dei campi minati. Gli ufficiali ucraini, dal canto loro, sostenevano che gli americani non sembravano comprendere che i droni e tutti gli altri strumenti tecnologici avevano trasformato il campo di battaglia.
– Complessivamente, l’Ucraina ha riconquistato soltanto circa 518 km quadrati di territorio (equivalente a una manciata di quartieri romani, ndt), al prezzo di migliaia di morti e feriti e di miliardi in aiuti militari occidentali nel solo 2023.
Circa sei mesi dopo l’inizio della controffensiva, la campagna era diventata una guerra di “conquiste incrementali”.
L’Ucraina orientale e meridionale sono striate di umide trincee stile Prima Guerra Mondiale mentre i cieli pullulano di droni spia e d’assalto. Mosca lancia missili per colpire bersagli umani nelle città ucraine, mentre Kiev utilizza sia i missili occidentali sia la tecnologia ucraina per colpire dietro le linee del fronte – a Mosca, in Crimea e sul Mar Nero.
E tuttavia, le linee territoriali del giugno 2023 sono cambiate a malapena. E il presidente russo Vladimir Putin – in netto contrasto con il silenzio che ha spesso mantenuto nel primo anno di guerra – approfitta di ogni occasione per strombazzare il fallimento della controffensiva. La quale, come ha dichiarato lo stesso Putin a ottobre, “è in sedicente fase di stallo, ma in realtà fallita su tutta la linea”.
Addestrarsi alla battaglia
Il 16 gennaio, cinque mesi prima dell’inizio della controffensiva ucraina, il generale Mark A. Milley, allora capo di Stato Maggiore congiunto, fece visita ai soldati della 47ma, pochi giorni dopo l’arrivo dell’unità nella base di addestramento di Grafenwoehr in Germania.
Seguito a ruota dagli assistenti e dagli alti ufficiali di stanza in Europa, Milley attraversò a zig zag un poligono di tiro fangoso e gelido, chiacchierando con i soldati ucraini e osservandoli sparare a bersagli immobili con fucili e mitragliatrici M240B.
L’impianto era stato utilizzato per addestrare piccoli gruppi di soldati ucraini fin dal 2014, quando la Russia aveva invaso e annesso illegalmente al proprio territorio la penisola di Crimea. In vista della controffensiva, l’asticella si alzò a uno o più battaglioni di circa seicento soldati ucraini per volta che attraversavano ciclicamente il poligono.
In una tenda da campo bianca, Milley si riunì con i soldati americani che sovrintendevano all’addestramento, e quelli gli dissero che stavano cercando di replicare le tattiche russe e di costruire alcune trincee e altri ostacoli che gli ucraini si sarebbero trovati di fronte in battaglia.
“Per vincere con i russi… tutto sta che riescano a sparare e a muoversi” disse Milley, descrivendo in termini essenziali il nocciolo della strategia “pluriarmata” della controffensiva, che richiedeva di manovrare una forza immane di fanti, carri armati, mezzi corazzati, genieri e artiglieri. Se si fosse trattato degli Stati Uniti o della NATO, l’operazione avrebbe previsto anche una potenza area devastante per indebolire il nemico e proteggere le truppe, cosa di cui gli ucraini avrebbero invece dovuto fare, quasi o del tutto, a meno.
La 47ma era stata selezionata per essere una “forza di sfondamento” in punta alla controffensiva e per essere equipaggiata con armi occidentali. Ma mentre Milley continuava il suo giro di conversazioni con i soldati ucraini – che andavano dai giovani sui vent’anni alle reclute di mezz’età – molti gli dissero di aver lasciato solo recentemente la vita civile e di non avere alcuna esperienza di combattimento.
Milley tacque. Ma più tardi, in riunione con gli addestratori USA, egli parve riconoscere la portata della sfida che li attendeva. “Date loro tutto ciò che avete qui” disse.
La 47ma era una neonata unità chiamata ad addestrarsi in Germania. La leadership militare ucraina aveva deciso che le brigate più esperte avrebbero tenuto a bada i russi durante l’inverno, mentre i soldati più freschi avrebbero formato nuove brigate, addestrandosi all’estero per poi condurre la battaglia in primavera e in estate. Oltre un anno di guerra – con fino a 130mila soldati morti o feriti, secondo le stime occidentali – era costato carissimo alle forze armate ucraine. Perfino le brigate più combattive erano ormai largamente composte di sostituti chiamati alle armi.
Secondo un comandante della brigata, circa il 70% dei soldati della 47ma non aveva alcuna esperienza sul campo di battaglia,
La stessa leadership della 47ma era sorprendentemente giovane – il suo comandante, seppur estremamente combattivo, aveva solo 28 anni e il suo vice 25. La loro giovinezza era giudicata un vantaggio; gli ufficiali giovani avrebbero assimilato le tattiche della NATO senza essere influenzati dalla tradizione militare sovietica che ancora in parte permeava l’esercito ucraino
A parere di alcuni soldati ucraini, gli addestratori americani non afferravano la portata del conflitto contro un nemico più potente.
“La presenza massiccia di droni, fortificazioni, campi minati e così via non era presa in considerazione”, ha dichiarato un soldato della 47ma dal nome in codice Joker. I soldati ucraini portarono i loro droni per impratichirsi ulteriormente, ha raccontato Joker, ma all’inizio gli addestratori respinsero con forza l’offerta d’integrare gli apparecchi nel training perché i programmi di addestramento erano già prestabiliti. L’utilizzo dei droni fu aggiunto in seguito seguendo i feedback ucraini, dichiarò un ufficiale USA.
Il programma USA aveva i suoi vantaggi, ha osservato Joker, i soldati erano perfino sottoposti a un addestramento avanzato per i climi freddi e veniva loro insegnato a regolare il fuoco di artiglieria. Ma molto di ciò che avevano appreso fu scartato non appena volarono i proiettili veri. “Fummo costretti a perfezionare le tattiche durante la battaglia stessa” ha ammesso Joker. “Non potevamo metterle in pratica come ci avevano insegnato”.
A detta degli ufficiali USA e ucraini, non si erano mai aspettati che, in due mesi di addestramento, questi soldati si sarebbero trasformati in una forza analoga alla NATO. L’intenzione era invece quella d’istruirli a utilizzare adeguatamente i loro nuovi carri armati e i mezzi da combattimento occidentali e, come ha dichiarato un alto ufficiale americano, “insegnargli le tecniche essenziali per fare fuoco in movimento”.
Nessun ordine di attaccare
Quando, in primavera, I soldati della 47ma tornarono in Ucraina, si aspettavano che la controffensiva iniziasse quasi immediatamente.
Ai primi di maggio, la brigata si trasferì più vicino alla linea del fronte, nascondendo i Bradley e gli altri equipaggiamenti occidentali al limitare dei boschi nelle campagne di Zaporizhzhia. Le mostrine della 47ma sui mezzi furono coperte nel caso in cui gli abitanti filorussi della zona potessero rivelarne la posizione.
Ma passavano le settimane e gli ordini di attaccare non arrivavano. In seno all’unità, erano in molti a ritenere che si fosse perduto l’elemento sorpresa. La leadership politica “non avrebbe dovuto annunciare la nostra controffensiva per quasi un anno”, ha commentato il comandante di un’unità della 47ma. “Il nemico sapeva da dove saremmo arrivati”.
Milley e altri alti ufficiali USA coinvolti nella pianificazione dell’offensiva erano dell’idea che le forze ucraine dovessero convergere in un punto chiave di Zaporizhzhia, così da prevalere sulle robuste difese russe e garantirsi il successo nell’incursione verso Melitopol e il Mar d’Azov.
Il piano ucraino, invece, era quello di portare avanti un’offensiva su tre assi – a sud lungo due itinerari distinti verso il Mar d’Azov, nonché nell’Ucraina orientale nei dintorni della città assediata di Bakhmut, caduta nelle mani dei russi in primavera dopo una battaglia durata quasi un anno.
I leader militari ucraini si convinsero che impegnare troppi soldati in un solo punto a sud avrebbe reso vulnerabili le forze a est mettendo così in condizione i russi di conquistare territori in quella zona e, potenzialmente, a Kharkiv a nordest.
Per spaccare le forze russe a Zaporizhzhia, le brigate marine ucraine al margine occidentale della vicina regione del Donetsk avrebbero effettuato un’offensiva a sud verso la città costiera di Berdyansk. Lasciando così alla 47ma e ad altre brigate, parte di quella che l’Ucraina chiama la Nona Armata, il compito di attaccare lungo l’asse principale della controffensiva, verso Melitopol.
Il piano richiedeva alla 47ma e alla Nona Armata di sfondare la prima linea di difesa russa e d’impadronirsi di Robotyne. Dopodiché la Decima Armata, composta di parà ucraini, si sarebbe unita alla battaglia in una seconda ondata facendosi strada verso sud.
“Pensavamo che prendere Robotyne sarebbe stata questione di due giorni soltanto” ha ammesso il comandante di un mezzo da combattimento Bradley dal nome in codice Frenchman, “il francese”
Minare tutti gli accessi
Qualche giorno dopo il lancio della controffensiva, Oleksandr Sak, allora comandante della 47ma, fece visita a una postazione russa conquistata dalle sue truppe. In mezzo ad altro materiale abbandonato, notò dei cannoni anti-drone, dei visori termici e dei piccoli droni da sorveglianza. “Mi resi conto che il nemico si era preparato” ha dichiarato. “Non li avevamo colti alla sprovvista; sapevano che stavamo arrivando.”
Erano inoltre stati lasciati indietro dei manifesti di propaganda russa. Uno recava l’immagine di due uomini che si baciavano in pubblico con sopra una “X” rossa, accanto all’immagine di un uomo e una donna con due bambini. “Combattiamo per le famiglie tradizionali” diceva il manifesto.
Sak trovò anche una mappa utilizzata dai russi per contrassegnare i loro campi minati. Per una sola parte del fronte – lunga circa quattro miglia e profonda altrettanto – erano riportate più di ventimila mine.
“Non direi che non ce l’aspettavamo, ma avevamo sottovalutato quell’aspetto” ha ammesso Sak. “Effettuammo delle perlustrazioni con il genio militare e con ricognizioni aeree, ma molte mine erano camuffate o sepolte. Oltre a quelle in prossimità del fronte, vi erano delle mine nelle profondità delle postazioni nemiche. Oltrepassavamo le postazioni nemiche e c’imbattevamo in ulteriori mine laddove pensavamo che non ve ne fossero più.”
Un sergente maggiore della 47ma, esperto di droni, ha riferito che solo a piedi trovavano le trappole a detonazione remota, descrivendo la loro scoperta come una “sorpresa”.
Gli ufficiali USA ritenevano che l’Ucraina avrebbe potuto effettuare un’avanzata ben più significativa ricorrendo a un più ampio utilizzo di unità di perlustrazione del territorio e affidandosi in misura minore alle immagini trasmesse dai droni, che non erano in grado d’individuare mine sepolte, fili d’inciampo o trappole esplosive.
La regione di Zaporizhzhia è perlopiù caratterizzata da pianure e campi aperti, e i russi avevano scelto ogni altura a disposizione nella zona per costruirvi delle difese chiave. Da quei punti privilegiati, come hanno riferito soldati e ufficiali, le unità russe armate di missili anticarro attendevano i convogli dei mezzi da combattimento Bradley e dei carri armati Leopard tedeschi. Di norma in testa al gruppo c’era un dragamine – ed era il primo a essere bersagliato con l’aiuto dei droni di ricognizione.
“Affrontavamo costantemente il fuoco anticarro e distruggevamo fino a dieci sistemi missilistici guidati anticarro al giorno” ha dichiarato Sak. Ma, aggiunse, “di giorno in giorno ne tiravano fuori altri”.
Secondo un alto ufficiale della Difesa di Kiev, circa il 60% dell’attrezzatura di sminamento ucraina rimase danneggiata o distrutta nei primi giorni. “La fiducia che i nostri alleati riponevano nelle manovre con i mezzi corazzati e in una svolta significativa non dava i suoi frutti” ha riferito l’ufficiale. “Dovevamo cambiare tattica.”
Entro una settimana dall’inizio della controffensiva, le squadre di sminatori lavoravano al crepuscolo, quando avevano a disposizione luce sufficiente per riuscire a sminare ma non eccessiva da poter essere individuati dai russi. Una volta messo in sicurezza un piccolo sentiero, seguiva la fanteria – una lenta ed estenuante avanzata.
Spesso, quando i soldati ucraini raggiungevano un avamposto russo, scoprivano che anche quello era stato tappezzato di mine o di trappole esplosive. E anziché ritirarsi, le forze russe mantenevano le proprie postazioni anche sotto un pesante bombardamento di artiglieria, costringendo così gli ucraini a ingaggiare un combattimento ravvicinato con armi leggere per poter avanzare
In tutta la regione di Zaporizhzhia, i russi avevano dislocato nuove unità chiamate “Storm Z”, composte da combattenti reclutati dalle prigioni. Gli ex detenuti attaccavano a ondate umane chiamate “carne da macello” e venivano utilizzati per preservare le forze più elitarie. Nei dintorni di Robotyne – il villaggio che si supponeva dovesse essere raggiunto dalla 47ma il primo giorno della controffensiva – erano mischiati con la 810ma Brigata di Fanteria Marina russa e con altre formazioni militari regolari.
“Robotyne fu una delle nostre missioni più difficili” ha raccontato un geniere della 810ma unità in un’intervista rilasciata a un blogger russo favorevole alla guerra. “Dovemmo impegnarci al massimo per impedire al nemico di fare breccia. Da sminatori e genieri quali eravamo, fummo costretti a minare tutti gli accessi sia per la fanteria sia per i loro mezzi.
“I famosi Leopard stanno bruciando, e abbiamo fatto del nostro meglio perché brucino a dovere.”
Flotte di droni
Nei primi momenti dell’attacco a Robotyne, un covo di mitragliatrici russe ricavato in un edificio impedì l’avanzata della fanteria ucraina. Una compagnia della 47ma fece partire due droni da corsa modificati e imbottiti di esplosivi. Uno dei due entrò da una finestra ed esplose. Il secondo, guidato da un pilota dal nome in codice Sapsan, penetrò in un’altra stanza e, come ha raccontato l’uomo, fece detonare le munizioni all’interno uccidendo anche diversi soldati nemici.
Quello fu il primo momento clou nell’utilizzo di piccoli droni come artiglieria ad altissima precisione. Gli operatori – provvisti di visori che ricevevano immagini in tempo reale trasmesse dall’apparecchio – andavano a caccia di mezzi corazzati usando i droni con visuale in prima persona, noti come FPV. A detta degli operatori, gli FPV sono così precisi e veloci da poter bersagliare le parti deboli dei veicoli, come il vano motore e i cingoli.
E tuttavia, anche la Russia sta impiegando flotte di quegli stessi droni d’assalto realizzati a mano, che costano meno di mille dollari ciascuno e che sono in grado di mettere fuori uso un carro armato da molti milioni di dollari. A differenza delle munizioni di artiglieria che rappresentano una risorsa preziosa sia per la Russia sia per l’Ucraina, gli economici FPV usa e getta possono essere impiegati per colpire piccole formazioni di fanteria – pilotandoli direttamente nelle trincee o fra i soldati in movimento.
Anche l’evacuazione dei feriti o il trasporto di nuovi rifornimenti al fronte divennero compiti strazianti e potenzialmente letali, spesso riservati alle ore notturne a causa della minaccia dei droni.
“All’inizio il nostro problema erano le mine. Adesso sono i droni FPV” ha osservato Sentsov, comandante di plotone della 47ma. “Colpiscono il bersaglio con precisione causando gravi danni. Sono in grado di mettere fuori uso un Bradley e, potenzialmente, anche di farlo saltare in aria. Non si tratta di un’esplosione diretta, ma riescono a colpirlo in modo da fargli prendere fuoco – non fermano soltanto il mezzo, ma lo distruggono.”
Gli ufficiali USA, attingendo alla loro dottrina, richiesero che l’artiglieria fosse impiegata per sopprimere il fuoco nemico mentre le forze automatizzate di terra avanzavano verso il proprio obiettivo.
“Bisogna muoversi mentre l’artiglieria spara” ha osservato un alto ufficiale americano. “Detta così, sembra una cosa basilare, e lo è, ma è così che si deve combattere. Altrimenti non si può sostenere la quantità di artiglieria e di munizioni necessarie.”
Ma, a parere degli ufficiali ucraini, il fattore più determinante che ha impedito per mesi agli ucraini o ai russi di guadagnare territori significativi sono state l’ubiquità e la letalità delle diverse tipologie di droni da ambedue le parti del fronte.
“A causa dello sviluppo tecnologico, è tutto finito a un punto morto”, ha commentato un altissimo ufficiale ucraino. “Gli equipaggiamenti che compaiono sul campo di battaglia hanno perlopiù un minuto di vita.”
Caos sul campo di battaglia
La 47ma rivendicò la liberazione di Robotyne il 28 agosto. A quel punto, in seno ala Decima Armata ucraina, subentrarono delle unità d’assalto aereo, che però non sono state in grado di liberare altri villaggi
Anche il fronte è divenuto sempre più statico lungo la linea d’incursione parallela a sud, dove i marines ucraini hanno guidato l’avanzata verso la città di Berdyansk sul Mar d’Azov. Dopo aver riacquisito i villaggi di Staromaiorske e Urozhaine a luglio e agosto, non vi sono state ulteriori conquiste, e le forze ucraine sono rimaste distanti sia da Berdyansk sia da Melitopol.
Per tutta l’estate, entro le poche miglia quadrate al di fuori della città orientale di Bakhmut, lungo il terzo asse della controffensiva, hanno avuto luogo alcuni fra gli scontri più feroci. Secondo gli ucraini, riconquistare il controllo del minuscolo villaggio di Klishchiivka era la chiave per conseguire la superiorità di fuoco nei dintorni dei margini meridionali della città e interrompere così le vie di rifornimento russe.
A luglio, nella zona sono stati dislocati gli agenti di polizia appartenenti alla neonata Brigata Lyut, o “Furia” – una delle brigate create lo scorso inverno in anticipo sulla controffensiva. Alla suddetta brigata, composta da un miscuglio di poliziotti esperti e di reclute, fu assegnato il compito di prendere d’assalto le postazioni russe a Klishchiivka, facendo largo uso di armi da fuoco e granate.
Un video che documenta le operazioni della Brigata Lyut pervenuto al Washington Post, e le interviste agli ufficiali che presero parte allo scontro, rivelano la violenza e le condizioni a tratti caotiche del campo di battaglia.
In un video di settembre realizzato con la bodycam, i soldati entrano ed escono dalle case distrutte mentre tutt’attorno a loro infuriano i bombardamenti. Spostandosi da una casa bombardata all’altra, le forze ucraine setacciano le rovine in cerca di eventuali soldati russi rimasti – urlando loro di arrendersi, per poi lanciare granate negli scantinati.
Qualche giorno più tardi, il 17 settembre, l’Ucraina annunciò di aver riconquistato Klishchiivka. Ma da allora la sua riconquista non ha cambiato significativamente la situazione al fronte nei dintorni di Bakhmut.
“Al momento, Klishchiivka è di fatto un cimitero di armamenti e soldati russi” ha dichiarato il comandante della Brigata Lyut, il colonnello della polizia Oleksandr Netrebko. Ma ha anche ammesso: “Ogni metro quadro di terra liberata è bagnato del sangue dei nostri uomini”.
Cresce lo sconforto
In assenza di svolte significative, durante l’estate, gli ufficiali USA erano sempre più preoccupati che l’Ucraina non stesse impegnando un numero sufficiente di forze in uno degli assi meridionali, malgrado il valore strategico che esso aveva secondo gli americani.
A nord e a est, il generale Oleksandr Syrsky controllava metà delle brigate ucraine, da Kharkiv a tutta Bakhmut e giù fino a Donetsk. Mentre, nel frattempo, l’altra metà delle brigate attive che combattevano lungo I due assi principali a sud era controllata dal generale Oleksandr Tarnavsky.
Per i militari USA era un errore dividere quasi a metà le forze ucraine, e volevano che ne fosse trasferito un numero superiore a sud. “Naturalmente il nemico proverà a distruggere i nostri dragamine” ha dichiarato l’alto ufficiale americano, aggiungendo che esistevano dei metodi per camuffarle, fra cui l’utilizzo del fumo
Ma valutare la linea di condotta di Kiev e sollecitare dei cambiamenti era un’impresa delicata. A farlo fu il generale Christopher Cavoli, che – da capo del Comando Europeo USA qual era – sovrintendeva a gran parte dell’impegno del Pentagono per addestrare ed equipaggiare l’esercito ucraino. Milley, al contrario, usava spesso un tono più ottimistico e incoraggiante.
Tuttavia come hanno dichiarato tre persone al corrente dei fatti, per parte dell’estate, una fase critica della controffensiva, Cavoli non riuscì a mettersi in contatto con Zaluzhny. Cavoli evitò di commentare in merito. Un alto ufficiale ucraino ha fatto notare che, per tutta la campagna, Zaluzhny parlò con Milley, la sua diretta controparte.
Ad agosto, però, anche Milley aveva incominciato a manifestare un certo sconforto. Come ha riferito un alto ufficiale dell’amministrazione Biden, Milley “iniziò a dire a Zaluzhny: ‘Che cosa state facendo?’”.
Gli ucraini, dal canto loro, insistevano che l’Occidente non stesse garantendo loro la potenza aerea e le altre armi necessarie alla riuscita di una strategia pluriarmata. “Volete che procediamo con la controffensiva, volete che mostriamo brillanti avanzate sul fronte” disse Olha Stefanishyna, vice primo ministro per l’integrazione europea ed euro-atlantica dell’Ucraina. “Ma noi non abbiamo gli aerei da caccia, e quindi voi volete che mandiamo i nostri soldati allo sbaraglio accettando il fatto di non poterli proteggere.”
Quando gli alleati risposero picche, la donna osservò: “Fu come se ci avessero detto: “A noi va benissimo che i vostri soldati muoiano senza supporto aereo””.
In una videoconferenza di agosto, presto seguita da un meeting di persona nei pressi del confine tra Polonia e Ucraina, gli ufficiali USA ribadirono la propria posizione. Dissero di comprendere la logica di tenere impegnate le forze russe in differenti punti del fronte, ma obiettarono che non vi sarebbero stati significativi passi avanti a meno che gli ucraini non avessero ammassato ulteriori forze in un singolo punto per muoversi in fretta e in maniera decisiva.
Zaluzhny, a tutta risposta, illustrò le problematiche con brutale sincerità: nessuna copertura aerea, un numero maggiore di mine rispetto a quanto si pensasse, e una forza russa sbalorditivamente trincerata e in grado di spostare le sue riserve in maniera efficace per colmare gli spazi spresidiati.
A luglio, mentre l’Ucraina si trovava sempre più a corto di munizioni di artiglieria e la controffensiva vacillava, l’amministrazione Biden cambiò la sua posizione in merito alla fornitura di munizioni a grappolo all’Ucraina. Il presidente, di fatto, respingeva al mittente i timori del Dipartimento di Stato che i rischi per il buon nome dell’amministrazione fossero troppo alti visti i tanti civili uccisi e feriti in passato da quell’arma. La decisione chiave e definitiva sul trasferimento delle armi giunse a settembre, quando l’amministrazione accettò di fornire una variante dell’Army Tactical Missile System, meglio noto come ATACMS. I missili non erano la potentissima variante richiesta da Kiev, perché gli Stati Uniti optarono per un’arma a raggio più corto che rilasciasse submunizioni a grappolo.
Benché utili, come dissero gli ufficiali ucraini, né i lanciamissili ATACMS né le armi a grappolo hanno spezzato lo stallo sul campo di battaglia.
Né l’hanno fatto altre strategie. Per tutta la controffensiva, l’Ucraina ha continuato a colpire nelle lontane retrovie delle linee nemiche con l’intento d’indebolire le forze russe e di seminare il panico nella società civile russa. A Kiev non è consentito l’utilizzo delle armi occidentali per colpire la Russia, quindi è stata invece impiegata una flotta di droni. Alcuni di essi sono riusciti a raggiungere dei bersagli a Mosca, mentre altri hanno danneggiato depositi petroliferi russi sul Mar Nero. Droni marini sono riusciti anche a colpire delle navi appartenenti alla Flotta del Mar Nero russa.
Poco tempo fa l’Ucraina ha guadagnato terreno nella regione meridionale del Kherson, stabilendo postazioni militari sulla sponda orientale del fiume Dnepr, ma non è chiaro quali e quanti armamenti – in particolar modo l’artiglieria – siano stati trasferiti dall’altra parte del fiume per minacciare le linee di rifornimento russe provenienti dalla Crimea.
L’Ucraina ha smesso di chiedere ulteriori carri armati e mezzi da combattimento, malgrado per tutto il primo anno di guerra abbia fortemente insistito per averli.
“Gran parte delle armi” ha dichiarato un altissimo ufficiale ucraino, “erano importanti lo scorso anno.”
Fronte bloccato
A settembre inoltrato, durante un meeting con il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg, al presidente ucraino Volodymyr Zelensky fu chiesto come mai il suo esercito continuasse a impegnare così tante forze a est anziché a sud. Zelensky, secondo una persona informata della conversazione, rispose che, se i russi avessero perduto la parte orientale, avrebbero perso la guerra.
Sempre secondo la stessa persona, Zelensky riconosceva una disparità di vedute tra alcuni suoi comandanti. Ma la gran parte degli alti ufficiali ucraini continuava a ritenere che lo schieramento di ulteriori soldati in una parte del fronte non avrebbe portato a una svolta significativa.
Poi, a metà ottobre, i russi tentarono di fare esattamente questo in un attacco feroce alla città orientale ucraina di Avdiivka, sita in una posizione geograficamente strategica nelle vicinanze della città di Donetsk occupata dai russi. Adesso erano i russi a scatenare l’offensiva, con quattro brigate che si spostavano con colonne di carri armati e veicoli da trasporto truppe, discendendo su una stretta striscia del fronte.
A guidare l’assalto erano i mezzi del genio con i dragamine. Proprio come gli ucraini avevano iniziato la loro controffensiva. E in maniera simile, i russi subirono gravi perdite – gli ufficiali ucraini hanno asserito che, nelle prime tre settimane dell’attacco, rimasero uccisi più di quattromila soldati – prima di passare, esattamente come avevano fatto gli ucraini, ad attaccare a piedi.
Ai primi di ottobre, dopo una breve tregua dal combattimento, fu di nuovo il turno della 47ma Brigata di prender parte alla controffensiva. Zelensky aveva giurato pubblicamente che l’Ucraina avrebbe continuato la sua avanzata durante l’inverno, quando le condizioni climatiche avrebbero reso ancor più difficile ogni progresso.
A fine ottobre, tuttavia, le truppe della 47ma furono all’improvviso spostate a est, per difendere il fianco settentrionale di Avdiivka. Le armi occidentali della brigata – carri armati Leopard tedeschi e mezzi da combattimento Bradley americani— andarono con loro.
Il trasferimento ad Avdiivka fu una sorpresa per la brigata, ma fu anche il segnale che l’operazione a Zaporizhzhia si era bloccata lungo linee ampiamente fissate. E dietro le proprie linee, secondo le immagini satellitari, i russi avevano continuato in estate e in autunno a costruire fortificazioni difensive. Nei dintorni del villaggio di Romanivske, a sud est di Robotyne, triple file di fossati e di piramidi di cemento anticarro smorzavano ogni ulteriore tentativo di avanzare da parte degli ucraini.
Il primo novembre, in un’intervista all’Economist, Zaluzhny ammise quel che fino a poco prima era indicibile – la guerra aveva raggiunto “una fase di stallo”.
“È alquanto plausibile” disse, “che non potrà esservi una svolta significativa né positiva.”
(da La Repubblica)
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