EX DETENUTO DENUNCIA LE CONDIZIONI DEL CARCERE DI VIGEVANO: “HO VISTO UN 19ENNE DARSI FUOCO”
QUASI 50 DETENUTI HANNO DENUNCIATO LE CONDIZIONI DEGRADANTI CHE ESISTONO ALL’INTERNO DELL’ISTITUTO
“Chi meglio di me può dire la verità? Ho vissuto dentro quel posto difficilissimo e ce l’ho fatta, ma in quelle condizioni le persone si suicidano e siccome sono prima di tutto esseri umani è giusto che io racconti quello che succede davvero sperando che possa diventare un posto migliore”. A parlare a Fanpage.it è Marco (nome di fantasia), ex detenuto del carcere di Vigevano che ha deciso di denunciare le condizioni disumane che esistono all’interno dell’Istituto.
Già a metà giugno tali condizioni erano state denunciate da 50 detenuti della 5ª sezione della Casa di Reclusione di Vigevano attraverso una lettera di reclamo che, però, “era stata aperta e letta dalla Direzione nonostante fosse indirizzata a me e al Magistrato di Sorveglianza”, aveva spiegato a Fanpage.it Guendalina Chiesi, avvocata e vicepresidente dell’associazione Quei Bravi Ragazzi Family che hanno segnalato la violazione. “In più, a seguito di tale lettera, tutti i firmatari sarebbero stati convocati a uno a uno dalla Comandante di Reparto, in quello che appare come un tentativo intimidatorio e ritorsivo, in violazione dei diritti di libertà d’espressione, riservatezza e tutela contro trattamenti vessatori”, aveva aggiunto l’avvocata a Fanpage.it. “Un fatto gravissimo” che l’Associazione ha denunciato formalmente presso la Procura di Pavia proprio per segnalare “le gravi violazioni dei diritti fondamentali dei 50 detenuti”.
Ma non è finita qui. Perché la questione è finita in Parlamento grazie all’Onorevole Marco Lacarra, Deputato alla Camera del Partito Democratico, che ha confermato a Fanpage.it di aver presentato un’interrogazione parlamentare sulle condizioni dei detenuti della 5° sezione di Vigevano. “Se non si può manifestare senza temere ritorsioni, come si può pensare di
compiere un percorso di reintroduzione sociale?”, ha commentato sul caso l’Onorevole. “Servono condizioni di civiltà e di rispetto dell’umanità”.
Così, per dar seguito e concretezza a tutto questo, Marco ha deciso di denunciare a Fanpage.it le condizioni disumane che ha vissuto e che, come testimonia la lettera, ancora esistono all’interno dell’Istituto. Un luogo che Marco descrive come “un manicomio, un luogo dove la gente muore”.
L’arrivo di Marco al carcere di Vigevano: “Un manicomio”
“La mia carcerazione è partita nel 2016. Da allora ho cambiato vari istituti fino a che nel 2022 mi sono ritrovato nel carcere di Rossano (Cosenza). È allora che ho ricevuto una brutta notizia: un persona a me cara aveva gravi problemi di salute. Ho chiesto un trasferimento al nord per starle vicino e sono arrivato al carcere di Vigevano. Era novembre 2022”, così Marco ha iniziato a raccontare la propria storia a Fanpage.it.
“Non appena sono arrivato, ho subito avuto l’impressione che fosse un posto dove le cose non funzionassero bene. La prima cosa che mi è saltata all’occhio è stata la poca pulizia e il troppo casino. Si capiva subito di star entrando in un manicomio”, ha continuato.
“Sono stato portato nelle mia cella: una stanza vuota. Dentro c’erano soltanto un tavolino, una sedia e due brande. Non c’era neanche il cuscino o la carta igienica. Fortunatamente gli altri detenuti mi hanno dato una mano, mi hanno dato del cibo perché quando sono arrivato il carrello era già passato, altrimenti non avrei neanche mangiato”.
Il primo avvertimento: “Stai attento, dormi con le calze”
“Non appena sono arrivato in carcere alcuni detenuti mi hanno detto: ‘Stai attento alla sera, dormi con le calze’. All’inizio non lo sapevo, poi ho capito: l’Istituto era pieno di zecche. Quando sono andato a dormire, a luci spente, le ho viste che camminavano sui muri, erano tantissime. Non ho dormito, hanno iniziato a pizzicarmi tutto il corpo”, ha raccontato Marco a Fanpage.it. “La mattina dopo sono andato a segnalare la cosa, ma mi hanno risposto: ‘Qua è così’. Lo sapevano e nessuno faceva niente”.
“Per difenderci da questa situazione eravamo costretti ad appoggiare i materassi contro il muro, facevamo decine di lavaggi, ma non serviva a niente. Le zecche entravano anche nel cibo, negli armadietti. Eravamo costretti a chiudere i vestiti dentro buste di plastica e sperare che non venissero infestati. Ho ricordi traumatici, non riuscivo a dormire. Era una sofferenza. Sentivo le zecche nelle orecchie, nelle mani, nei piedi. Erano tantissime. E noi eravamo costretti a dormire in lenzuola sporche di sangue”, ha aggiunto Marco. “Il rischio più grande era che poi rischiavamo di attaccarle anche ai nostri familiari durante i colloqui, in case dove c’erano dei bambini. Per questo c’era così tanta rabbia”.
Sono due, in particolare, i “ricordi traumatici” che Marco non dimenticherà mai. “C’era un anziano, malato di cuore, che era talmente esausto delle situazione che ha iniziato a fare lo sciopero della fame. Quella è stata la prima volta che ci hanno dato attenzione e hanno imbiancato la sezione, ma non è servito perché tempo qualche giorno e sono tornate”, ha concluso Marco. “Poi c’era un ragazzo che è stato morso così tante volte che non voleva più dormire nel letto, mi diceva: ‘Sono stanco, sto impazzendo’. E alla fine, per disperazione, è diventato
dipendente dagli psicofarmaci. Questo fa capire la disperazione che c’era là dentro”.
I farmaci? “Vengono distribuiti dentro una calza”
Ormai da anni, viene denunciato l’abuso di psicofarmaci all’interno degli istituti penitenziari italiani. A Fanpage.it, Marco ha raccontato la sua esperienza. “I farmaci venivano distribuiti dal cancello principale della sezione. Era bruttissimo, non c’era privacy: tutti sapevano le terapie di tutti. In più, le medicine non venivano distribuite dentro le confezioni, ma chiuse dentro una calza e, in fin dei conti, non sapevi davvero cosa ti stavano dando”, ha continuato a spiegare Marco a Fanpage.it. “Non solo, distribuivano i farmaci affidandosi alla memoria, senza controllare. Così succedeva che qualcuno prendesse la terapia di un altro e il reale destinatario rimaneva senza”.
“Mi ricordo perfettamente cos’è successo a un ragazzo di soli 19 anni. Era mattina, c’era il cancello principale aperto perché l’infermiere stava distribuendo le terapie in sezione. Questo ragazzo era dipendente dagli psicofarmaci, era distrutto. Quel giorno si è dato fuoco davanti al cancello della sezione. Istintivamente, come fosse mio figlio, gli ho strappato il giubbotto che era in fiamme altrimenti non so come sarebbe finita”, ha ricordato Marco. “Queste immagini le ho fisse in mente e non se ne andranno mai”.
Le condizioni igienico-sanitarie e lo stato di degrado delle celle
“All’interno delle celle c’è muffa e i muri cadono a pezzi. Il bagno è piccolissimo, più piccolo di quello che c’è in aereo. Il lavandino è un buco dove ci si lava, ma serve anche per lavare le pentole. L’acqua calda non esiste. Quindi d’inverno ci si lava con l’acqua fredda”, ha spiegato Marco per descrivere le condizioni
igienico-sanitarie che ha vissuto in cella e, più in generale, nel carcere di Vigevano.
“Vogliamo parlare delle docce? Sono 6 per 50 detenuti. Sono fatiscenti, non esce acqua, o, se lo fa, è troppo calda e ti ustioni per lavarti”, ha continuato. “Le docce vengono utilizzate anche per lavare: c’è chi si lava i vestiti, chi i piatti, chi lava le scope, chi gli stracci. Perché non c’è acqua calda dentro le celle. È uno schifo. Ricordo che c’è stato un periodo durante il quale pioveva delle docce del piano di sopra. Ci pioveva in testa lo scarico delle altre docce”.
“Oltre a questo spesso c’erano i vetri rotti, si trovavano feci in giro”, ha concluso sul tema. “Ancora, le finestre erano arrugginite, piegate, distrutte. Entrava freddo da tutte le parti. C’erano delle stanze dove i detenuti mettevano il cartone per non far entrare l’aria fredda”.
La saletta per la socialità: “Come bestie in un recinto”
“La saletta serve come momento di ricreazione tra noi detenuti”, ha raccontato ancora Marco a Fanpage.it. “Può essere usata in vari modi: per giocare a carte, fare un po’ di palestra, anche per tagliare i capelli perché non c’è un parrucchiere all’interno del carcere. Perciò ovviamente è pieno di peli. C’è anche chi cucina. Il problema è che è uno spazio di 5 metri per 4 per 50 detenuti. Ci sono quattro tavoli, ma non ci sono sedie. Non ci si può muovere. Ci chiudevano lì dentro e ci abbandonavano. Ci sentivamo come delle bestie dentro un recinto. Sei chiuso nel chiuso”.
“Non c’era neanche il bagno”, ha aggiunto Marco. “Se avevi bisogno di andarci dovevi bussare e urlare, sperando che qualcuno ti sentisse. A volte aspettavamo a lungo perché non
c’era abbastanza personale. Eravamo completamente abbandonati a noi stessi”.
Mancanza di educatori e di psicologi: “I tentati suicidi sono all’ordine del giorno”
Come spesso denunciato, in Italia esiste una carenza di personale sanitario, di psicologi ed educatori all’interno dei carceri italiani. Questo ovviamente ha gravi ripercussioni sui detenuti e spesso è causa di suicidi o tentati suicidi, come testimoniato anche dal Report dell’Associazione Antigone di maggio 2025 nel quale la Lombardia emerge essere tra le Regioni con la maggiore carenza di personale e più suicidi in carcere. Purtroppo, di tutto questo il carcere di Vigevano non sembra essere esente.
“C’era chi aveva bisogno di supporto psicologico, di un educatore, e non ce n’erano. Questo ha gravi ripercussioni. Personalmente ho assistito a due tentati suicidi. Il ragazzo di 19 anni che si è dato fuoco e un altro ragazzo: lo abbiamo trovato a terra, si era fatto un cappio a terra in bagno”, ha riferito Marco a Fanpage.it. “Ma quasi tutti i giorni si sentiva raccontare di detenuti che tentavano il suicidio. Questa cosa di tagliarsi per morire è impressionante. Ho girato tantissimi carceri, ma solo lì ho visto queste cose, solo a Vigevano. È l’ambiente che c’è lì che porta a fare gesti estremi per avere qualcosa che dovrebbe essere normale. E così vedi tanti ragazzi che si tagliavano per delle “banalità””.
“Questa è una tragedia”, ha detto ancora Marco. “E una delle cause è proprio la mancanza del supporto psicologico. Molte volte in cui l’ho chiesto io, non mi hanno neanche risposto. E da questo punto di vista ero anche un “privilegiato” perché son
arrivato per un ricongiungimento con una persona cara che oggi non c’è più, non per un cattivo comportamento. E mi sentivo in colpa quando mi veniva concessa un’attenzione in più, mi faceva sentire male. Non era giusto”.
Marco ci ha poi raccontato che, prima di entrare in carcere, ha fatto uso di sostanze di stupefacenti e per questo era seguito dal Sert anche durante la sua permanenza nell’istituto penitenziario di Vigevano. Ha spiegato che per un lungo periodo non avrebbe visto la dottoressa: “Dopo mesi che non vedevo la dottoressa sono andato in infermeria dove c’era la sua collega per chiederle il motivo di tale attesa. Lei ha guardato il registro dove c’era scritto che ero stato lì 15 giorni prima, ma non era vero. Segnavo degli incontri che io non avevo mai fatto”, ha detto.
“Chi meglio di me può dire la verità? Lo faccio per gli altri detenuti”
“Se oggi ho deciso di raccontare lo faccio perché ho vissuto la tragedia di quel carcere lì sulla mia pelle. I carceri sono tutti brutti, ma questo lo è in modo particolare. Quindi ho pensato: Chi meglio di me può dire la verità?”, ha concluso Marco a Fanpage.it.
“Sono un essere umano, ho sbagliato, ho pagato, ma l’ho fatto in malo modo. Nonostante questo ce l’ho fatta, ma in quella situazione le persone si suicidano e per questo è giusto che io racconti quello che succede in quel carcere. Quello che vorrei sottolineare è che il problema è sempre alla testa. Quando è arrivata la nuova direttrice pensavamo che la situazione sarebbe migliorata, ma così non è stato, anzi, l’amministrazione è peggiorata, è diventata un manicomio. Io ho avuto la fortuna di avere delle persone vicino che mi volevano bene. E questo mi ha
dato la forza per andare avanti e avere dei sogni, degli obiettivi. Il problema è che in carcere è pieno di persone sole. Esseri umani che si suicidano per le condizioni disumane nelle quali sono abbandonati. Io ho raccontato la verità per loro, sperando che quel posto possa diventare un luogo migliore”.
Già quando aveva pubblicato la lettera scritta dai detenuti, Fanpage.it aveva chiamato più volte la Direzione del carcere e non aveva mai ricevuto risposta. Dopo aver raccolto la testimonianza di Marco, abbiamo provato a chiamare e abbiamo inviato una mail alla direttrice per avere una risposta alle parole rilasciate dal nostro intervistato. Non abbiamo mai avuto modo di parlare al telefono con la direttrice: non ci ha mai risposto per mail e non siamo mai stati ricontattati pur lasciando i nostri riferimenti.
(da Fanpage)
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