FONDAZIONE GIMBE: “LE REGIONI HANNO SPESO MALE I FONDI PER LA SANITA'”
IL REPORT SUGLI ADEMPIMENTI DAL 2010 AL 2018
La pandemia ha messo in luce una situazione figlia di scelte pregresse che hanno inevitabilmente condizionato la risposta a livello sanitario.
Si è parlato spesso dei tagli alla Sanità perpetrati dai vari governi che si sono susseguiti negli ultimi 15 anni. Tutto vero, ma occorre analizzare anche come le Regioni hanno sperperato i fondi in spese che, fattivamente, non hanno contribuito alla crescita dei livelli essenziali di assistenza in ambito sanitario.
L’analisi della Fondazione Gimbe mostra come gli adempimenti Regioni siano stati, in molti casi, fuori luogo e come alcune spese abbiano prodotto zero risultati per quel che riguarda i riflessi sui cittadini. E ora ne stiamo pagando le conseguenze.
L’Osservatorio GIMBE sul Servizio Sanitario Nazionale — spiega Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione Gimbe — da anni rileva che il monitoraggio tramite la ‘griglia LEA’ (Livelli essenziali di assistenza, ndr) è solo un political agreement tra Governo e Regioni, perchè lo strumento è sempre più inadeguato per valutare la reale erogazione delle prestazioni sanitarie e la loro effettiva esigibilità da parte dei cittadini».
Parole dure che si riassumono in uno schema che mostra come gli adempimenti Regioni siano stati disattesi, in media, per il 25% dei fondi spesi.
Il report si basa sui dati ufficiali pubblicati dal ministero della Salute e che partono dal 2010 e si concludono nel 2018. Insomma, sono lo specchio del ‘cosa eravamo’ e del perchè il sistema sanitario abbia faticato così tanto nella sua reazione alla pandemia. E questo è il risultato.
Nel periodo considerato la percentuale cumulativa media di adempimento delle Regioni è del 75% (range tra Regioni 56,2%-92,8%).
In altri termini, se la griglia LEA è lo strumento ufficiale per monitorare l’erogazione delle prestazioni essenziali, il 25% delle risorse spese dalle Regioni per la sanità nel periodo 2010-2018 non ha prodotto servizi per i cittadini (range tra Regioni 7,2%-43,8%).
La percentuale cumulativa di adempimento annuale è aumentata dal 64,1% del 2010 all’85,1% del 2018, un miglioramento ampiamente sovrastimato in ragione dell’appiattimento della griglia LEA sopra descritto.
Solo 11 Regioni superano la soglia di adempimento cumulativo del 76% e, ad eccezione della Basilicata, sono tutte situate al Centro-Nord, confermando sia la “questione meridionale” in sanità , sia la sostanziale inefficacia di Piani di rientro e commissariamenti nel migliorare l’erogazione dei LEA.
Regioni e Province autonome non sottoposte a verifica degli adempimenti hanno performance molto variegate. Da un lato Friuli-Venezia Giulia e Provincia autonoma di Trento raggiungono percentuali di adempimento cumulative rispettivamente dell’80,4% e 78,3%. Dall’altro Valle D’Aosta, Sardegna e Provincia autonoma di Bolzano si collocano nel quartile con le performance peggiori.
In alcune zone del nostro Paese, la situazione pregressa sembra essere lo specchio della situazione attuale.
«Se dopo anni tagli e definanziamenti — spiega Nino Cartabellotta — la pandemia finalmente ha rimesso il Servizio Sanitario Nazionale al centro dell’agenda politica, dall’altro ha enfatizzato il conflitto istituzionale tra Governo e Regioni, ben lontano da quella ‘leale collaborazione’ a cui l’art. 117 della Costituzione affida la tutela della salute tramite il meccanismo della legislazione concorrente. Senza una nuova stagione di collaborazione politica tra Governo e Regioni e un radicale cambio di rotta per monitorare l’erogazione dei LEA, sarà impossibile ridurre diseguaglianze e mobilità sanitaria e il diritto alla tutela della salute continuerà ad essere legato al CAP di residenza delle persone. E con la pandemia le persone si devono affidare, nel bene e nel male, alla sanità della propria Regione».
(da agenzie)
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