FONDI UE, GETTONE EXTRA DA 5 MILIARDI ALL’ITALIA, MA RISCHIO TAGLIOLA SUI SOLDI MAI SPESI
ITALIA AL 22° POSTO SU 28 STATI MEMBRI PER CAPACITA’ DI SPENDERE LE RISORSE, AL SECONDO TRA LE NAZIONI CHE NE RICEVONO DI PIU’
Un miliardo e mezzo di euro a rischio tagliola.
L’allarme, fresco di queste ore, arriva da Palazzo Chigi. Soldi su cui l’Italia potrebbe veder calare a breve la scure dell’Europa se queste risorse – stanziate da Bruxelles – non saranno utilizzate per tempo dalle singole Regioni (col meccanismo del cofinanziamento, per cui se non si rendiconta si perde la quota di sostegno europeo) e se i territori che viaggiano in forte ritardo non decideranno di svegliarsi alla svelta.
Di fatto, un disimpegno automatico da parte dell’esecutivo guidato da Jean-Claude Juncker.
Ma sui fondi Ue la partita, pur difficile da giocare, è ancora aperta. Nonostante gli enormi sprechi, l’eccessiva frammentazione dei progetti e in taluni casi l’evidente incapacità amministrativa, l’intesa 2014-2020 sui fondi strutturali (Fesr e Fse assieme) concede all’Italia quasi 5 miliardi in più rispetto al passato per una cifra complessiva pari a 32,8 miliardi di euro.
Un gettone che, soprattutto per il Sud, rappresenta l’ultima chance e su cui anche imprese e privati sono chiamati a fare la loro parte co-investendo, però, finanze proprie.
Il dato sale e arriva a quota 42 miliardi se ai due fondi principali si sommano anche il Feasr (agricoltura) e il Feamp (pesca).
In questo modo l’Italia diventa il secondo Stato membro della Ue per dotazione di bilancio: al primo gradino si trova la Polonia, un Paese che sull’utilizzo dei fondi in questi anni ha fatto scuola e che, quanto ad assorbimento, ha superato il 75 per cento.
Secondo i dati Openpolis per Repubblica.it, la ‘spesa lumaca’ che ha caratterizzato il periodo 2007-2013 (peraltro già prorogato di 2 anni) fa sì che il nostro Paese oggi si piazzi ancora al 22esimo posto – tra i 28 Stati membri del vecchio continente – per capacità di assorbimento dei fondi strutturali: il 59,9 per cento dell’importo totale che era pari a 27,9 miliardi, vale a dire 10 punti percentuali sotto la media europea.
Un dato da sottolineare è che fino allo scorso anno tale punteggio era inferiore al 50% e che dopo cinque anni dallo start del programma, l’Italia aveva assimilato e digerito soltanto il 14,9 per cento degli stanziamenti.
Un raffronto con le altre nazioni: sempre nella parte bassa della classifica si posizionano anche Bulgaria (57,8%) e Repubblica Ceca (55,9%). Di contro, al primo posto svetta il Portogallo (84,7%) seguito da Danimarca (84,2%), Lituania (84,1%) ed Estonia (83,5%).
Un potenziale economico, dunque, che non diventa realtà ma che contribuisce, anzi, al pessimo risultato di saldo del nostro Paese.
La differenza fra dare e avere, fra contributo pagato a Bruxelles dagli Stati membri e pagamenti certificati dall’Unione europea verso i singoli Paesi consegna una mappa in cui l’Italia risulta caratterizzata da un negativo pari a 30 miliardi di euro.
Certo, all’interno di quella cifra vanno inseriti contrappesi che non sono economici ma che incidono per il loro valore politico (il ruolo di lady Pesc a Federica Mogherini, la guida della Bce a Mario Draghi, due vicepresidenze dell’europarlamento a due italiani, il timone del gruppo Pse a Gianni Pittella) e di sicuro Germania, Francia e Regno Unito hanno un ‘buco’ anche maggiore (66 mld la prima, 41 la seconda e 34 il terzo). Vero è che tutti e tre contribuiscono in maniera più sostanziosa a rimpolpare il budget della Ue, e che comunque le forti difficoltà dell’Italia nell’usare al meglio i soldi che le vengono dedicati si ripercuotono su questo risultato.
Neanche a dirlo, il saldo della Polonia appare col segno più per quasi 60 miliardi.
In attesa di capire se la Commissione Ue concederà davvero all’Italia di tenere fuori dal patto di Stabilità la quota legata al cofinanziamento dei fondi (il via libera, però, è già stato accordato per la fetta che andrà a sostanziare i 21 miliardi del piano Juncker), la suddivisione dei quattro fondi (Fesr, Fse, Feasr e Feamp) per obiettivo fino al 2020 evidenzia che il 18,77% del totale è destinato alle Pmi, per una cifra pari a 7,8 miliardi.
All’ambiente va il 10,58% (4,4 miliardi), all’occupazione il 10,3% (4,3 miliardi) e all’istruzione il 9,97% (4,2 miliardi).
La percentuale più bassa è destinata alla ‘pubblica amministrazione efficiente’ col 2,39 per cento (poco più di un miliardo).
Ma è nel merito delle singole regioni che si evidenziano gli squilibri più forti.
Perchè se si guarda alla capacità di spesa dei nostri territori e se si considera la somma tra fondi europei e fondi nazionali, emerge che il più virtuoso – il Trentino Alto Adige – su 664 milioni stanziati ad hoc non è riuscito ad assorbirne il 31,13 per cento. Accade anche, però, che la situazione si ribalti.
La medesima percentuale, infatti, corrisponde a ciò che la Sardegna è riuscita a spendere visto che su 4,7 miliardi a disposizione, più del 68% è rimasto inutilizzato. Peggio sono riuscite a fare soltanto la Basilicata (il 28,3% su 2,6 miliardi) e il Molise (il 25,3% su 1,2 miliardi).
Ma anche Campania (33,7% su 17,8 miliardi), Abruzzo (37,3% su 1,1 miliardi), Sicilia (37,8% su 16,9 miliardi), Puglia (43,5% su 15,4 miliardi) e Calabria (43,1% su 9,5 miliardi) si posizionano nella parte bassa del grafico e spiccano per incapacità di spesa.
Il problema è che sino alla fine del 2015 – e dunque c’è tempo un anno – il Mezzogiorno deve necessariamente impiegare ancora 15 miliardi dei fondi 2007-2013.
Questo è il tema da risolvere (anche perchè i ritardi su quest’ultimo scampolo di proroga si ripercuotono inevitabilmente sull’organizzazione degli anni successivi) e il governo a guida Matteo Renzi tira dritto dinanzi a chi bolla come una “punizione” il taglio dal 50 al 25% della quota di cofinanziamento nazionale per il settennato 2014-2020.
Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio (a lui la delega alla Coesione territoriale) replica a chi accusa l’esecutivo di voler costruirsi un “tesoretto” con quelle risorse dimezzate: le Regioni meridionali non perderanno alcunchè, dice, più semplicemente si ritroveranno i soldi in un altro ‘contenitore’ – che si chiama Piano di azione e coesione, con regole meno rigide rispetto ai fondi strutturali – che non sarà toccato per altri scopi.
In prospettiva, stando all’accordo 2020, la ripartizione futura (di Fesr e Fse) è la seguente: la percentuale più alta, il 17,65%, andrà alla Sicilia.
A ruota, il 15,85% alla Campania e il 14,95% alla Puglia. Alla Calabria l’8,05%, mentre lo 0,39% spetterà alla Valle d’Aosta. In un raffronto pro capite, al primo posto c’è la Basilicata, all’ultimo la Lombardia.
Interessante la top ten dei progetti con maggiore finanziamento: nove su dieci sono legati al tema dei trasporti, uno all’innovazione.
Ma è la contrapposizione tra soldi finanziati e percentuale di pagamenti realizzati che salta agli occhi.
A Napoli, il completamento della linea 1 della metropolitana (1,37 miliardi di euro) si è fermato al 35,05% della quota (poco più di 482 milioni).
Sempre in Campania, la variante alla linea Napoli Cancello (per 813 milioni) è al 10,41 per cento (84,5 milioni).
La linea Catania-Palermo, tratta Bicocca-Motta-Catenanuova (che fa parte del corridoio 5 ‘Helsinki-La Valletta’) è bloccata allo 0,69% con 430mila euro di finanziamento e neanche 3 milioni impiegati.
Di certo c’è che, negli anni passati, l’Italia si è distinta per finanziamenti a pioggia che hanno scatenato dibattiti e polemiche: dalle sagre di paese alle piccole maratone passando per scuole di tatoo e centri massaggi.
Contributi impiegati secondo la logica del ‘tutto è meglio che niente’.
L’hanno ribattezzata l’Europa dei soldi spesi male.
Nel dettaglio, riguardo alla capacità di spesa per tema (fondi europei più fondi nazionali 2007-2013), i trasporti risultano al penultimo posto, prima dell’ambiente, con finanziamenti per 22,6 miliardi e pagamenti pari a 4,7 miliardi (il 20,8 per cento). In pole position, infanzia e anziani col 75,81%, seguiti da occupazione, competitività imprese e agenda digitale.
Michela Scacchioli
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