FORZA ITALIA DILANIATA E IN BALIA DI RENZI
MALUMORI PER L’INTESA SULLA RIFORMA DEL SENATO
«Siamo come una squadra abituata a giocare per lo scudetto che ora si ritrova a lottare per la salvezza. Siamo disorientati, non sappiamo come comportarci, non riusciamo a organizzare un’opposizione seria». È lo sfogo amaro di un deputato di Forza Italia.
Non l’unico che, in questi giorni di travolgente epopea renziana, proprio non riesce a rassegnarsi a consegnare al presidente del Consiglio la significativa vittoria sulla riforma del Senato.
Per il partito di Berlusconi il momento è tra i più complicati.
C’è chi individua «l’inizio della fine» nell’uscita dal governo Letta e nello strappo con Alfano. «Ha fatto male a entrambi – attacca una parlamentare azzurra -. A noi perchè non abbiamo più avuto l’arma del ricatto nei confronti del governo. A loro perchè alle Europee sono praticamente morti».
Fatto sta che da quel momento l’unica arma che Forza Italia ha avuto per continuare a influire sul dibattito politico è stato l’accordo sulle riforme.
Accordo che, però, da tempo mostra le conseguenze negative. Se si molla tutto si rischia l’accusa di «sabotatori del cambiamento».
Se invece il patto tiene, si consegna a Renzi la patente del riformatore. Con il rischio concreto che per l’ex sindaco di Firenze si apra una lunga stagione di governo. Addirittura oltre la scandenza della legislatura nel 2018.
E così i mal di pancia si moltiplicano e filtrano all’esterno.
«L’annunciato accordo sulla riforma del Senato – afferma l’ex tesoriere del Pdl Maurizio Bianconi – riveste il peso di pietra miliare, sulla legittimazione all’esistenza di Forza Italia come partito di opposizione».
«Forza Italia – continua – purtroppo ha commesso l’errore più grande, autoevirandosi, regalando nei secoli ai nostri storici avversari uno strumento micidiale (il senato «rosso», ndr), passando per alleati di fatto di Renzi e dei suoi, regalandogli un successo politico che non merita». «Io non ci sto, e spero di essere in buona compagnia» conclude Bianconi.
Che siano in tanti quelli pronti a non votare la riforma è in realtà tutto da vedere.
L’impressione è che alla fine, pur turandosi il naso, il partito sosterrà compatto l’accordo tra Berlusconi e Renzi. «Al massimo con Bianconi ci sarà Minzolini» spiega un senatore azzurro. Eppure il malcontento è molto più esteso. E nessuno prova a nasconderlo.
Per il capogruppo al Senato Paolo Romani «non c’è ancora nessun accordo sulle riforme, siamo solo alla proposta dei relatori, ci sono molti nodi da sciogliere».
Più o meno la stessa posizione espressa dall’omologo alla Camera Renato Brunetta.
E c’è chi critica nel dettaglio la bozza messa appunto da Boschi, Finocchiaro e Calderoli: «Le cose pessime non ci sono più ma è difficile fare i salti di gioia» spiega il senatore Lucio Malan, «nella mia Costituzione ideale, i senatori dovrebbero sempre essere elettivi».
Per il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri, «la necessità di un accordo ampio porta logicamente a compromessi. Ma si sta definendo una soluzione davvero asfittica. Sarebbe meglio fare un salto nel futuro con uno scambio di alto livello. Aboliamo del tutto il Senato e approviamo il presidenzialismo».
Peccato che da quell’orecchio Matteo Renzi non voglia sentirci. E Silvio Berlusconi non abbia posto l’elezione diretta del Capo dello Stato come condizione «sine qua non» per il sì forzista alle riforme.
Si va avanti così, a rimorchio del premier. Certo, c’è chi si sforza di vedere il bicchiere mezzo pieno: «I dettagli non sono cosi dirimenti e non sono tali per bloccare o per mandare su un binario morto una riforma epocale che Berlusconi e tutta Forza Italia hanno sempre voluto» spiega Daniela Santanchè.
E Mario Mantovani rincara la dose: «Si tratta di un passo avanti importante – dice l’esponente lombardo – così da avere istituzioni capaci di assumere decisioni in tempi più rapidi e dando voce alle istanze territoriali. Speriamo ora di poter concretamente avviare quel processo di riforma in senso federale del nostro Paese da sempre richiesto da Forza Italia e dal presidente Silvio Berlusconi».
Ma la linea dominante resta critica nei confronti della nuova formulazione del Senato.
«C’è ancora la pesante sovrapposizione con gli enti locali – denuncia un senatore – e da quel punto di vista i Democratici sono molto più radicati di noi. Senza contare i cinque senatori di nomina presidenziale. Sarà un caso, ma da vent’anni al Quirinale c’è sempre gente di sinistra. Rischiamo di ritrovarci monchi anche il giorno in cui torneremo a vincere le Politiche».
Di questo passo, rischia di essere un giorno molto lontano.
Carlantonio Solimene
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