GIÀ LITIGANO SULL’ILVA
PER LA LEGA LA CHIUSURA DEL SITO E’ INACCETTABILE, PER IL M5S E’ UNA OPZIONE POSSIBILE
Tra i temi al centro delle trattative tra Lega e M5S nei palazzi romani c’è una grande incognita: l’Ilva di Taranto.
Tecnici e parlamentari al lavoro sul contratto di governo non hanno lesinato annunci roboanti su Flat tax e reddito di cittadinanza, ma sembra abbiano inizialmente sottovalutato la prima grossa grana che arriverà sui tavoli di Palazzo Chigi e del Mise appena il nuovo governo avrà ottenuto la fiducia delle due Camere.
Perchè l’ultimo disperato tentativo del ministro uscente Calenda di far digerire ai sindacati una buona dose di esuberi nell’accordo con l’acquirente Arcelor Mittal è naufragato: “La palla passa al nuovo esecutivo”, ha detto appigliandosi all’accusa del sindacato Usb di non essere più legittimato a trattare per conto del Governo.
Secondo quanto riporta l’AdnKronos, è proprio sul dossier Ilva che si sarebbero registrate le maggiori frizioni tra Di Maio e Salvini; secondo fonti M5S sentite dall’Ansa il nodo ancora non è emerso nelle trattative ma le posizioni “sono da conciliare”.
Breve passo indietro.
L’ultimo vertice tra Governo e sindacati è fallito sulla proposta Mittal, in buona parte rimasta immutata negli ultimi mesi sul nervo scoperto degli esuberi: l’azienda ha assicurato assunzioni di 10mila dipendenti su 14mila.
I restanti sarebbero così ripartiti: 2300 da destinare all’amministrazione straordinaria per le bonifiche del sito di Taranto mentre gli altri 1500 sarebbero andati a rotazione in cassa integrazione nell’organico di una newco, “La Società per Taranto”, nata dalla vecchia Ilva e da Invitalia, società di investimenti del ministero dell’Economia a cui sarebbero state assegnate da Mittal le attività da esternalizzare fino a giugno 2021 con l’impegno, però, del Mise a garantire l’occupazione a tempo indeterminato entro il 2023.
Proposta bocciata dai sindacati che chiedono la tutela occupazionale di tutto l’organico Ilva e non si fidano delle garanzie su pezzi di carta, per giunta in una fase di avvicendamento governativo. Tra populismi sindacali e populismi ministeriali, in pratica, la trattativa si è nuovamente arenata.
Calenda, dopo la fumata nera, si è chiamato fuori passando la palla al nuovo governo. E la grana ora è tutta nelle mani del Movimento 5 Stelle e della Lega che sulla riqualificazione di un asset industriale fondamentale per l’Italia, la più grande acciaieria d’Europa, hanno posizioni discordanti.
E dovranno trovare una quadra a breve, entro giugno quando scadranno i termini per l’intesa con Mittal o comunque entro metà luglio, quando finiranno le risorse in dote all’amministrazione straordinaria per tenere in piedi la produzione d’acciaio, come ha ricordato Calenda.
“Sostenere che l’Ilva va chiusa è inaccettabile”, hanno fatto sapere gli esponenti locali della Lega. “Ci vuole buon senso – ha sottolineato il parlamentare del Carroccio Rossano Sasso – nessun posto di lavoro deve andare perso, così come non si può perdere o far scappare l’acquirente. Sostenere che l’Ilva va chiusa è inaccettabile, come lo è sostenere che le cose debbano restare così. Occorre mettersi subito al lavoro”.
Ecco, la chiusura è inaccettabile per i leghisti.
Per i grillini è invece nel ventaglio delle possibili opzioni. Per Ilva “quello che vogliamo fare è tenere tutte le opzioni aperte, inclusa la chiusura graduale e la riconversione economica”, ha detto il “ministro” M5S allo Sviluppo Fioramonti solo qualche giorno fa.
Spingendosi oltre: “Valuteremo nel complesso il costo della chiusura. Se eccessivo non lo faremo – ha proseguito Fioramonti -. Noi abbiamo paura che si sia dato per scontato che Ilva debba proseguire comunque a prescindere da tutto, che si sia fatto un accordo al ribasso, che pagheranno i tarantini che continueranno a morire, i lavoratori e i contribuenti”.
Va poi ricordato l’emendamento presentato in commissione Petizioni del Parlamento europeo dall’eurodeputata grillina Rosa D’Amato per l’immediata riconversione industriale incentrato sulla produzione e l’uso delle energie rinnovabili del sito siderurgico.
Proposta che venne bocciata: una interruzione delle attività di Ilva significa condannarla alla chiusura.
Non a caso anche tra i grillini è andato in scena, a febbraio scorso, un indiretto botta e risposta tra Di Maio e gli esponenti locali.
Nel corso della sua visita a Taranto, il leader M5S aveva detto che “l’Ilva è una realtà che deve continuare a dare posti di lavoro e ne deve dare più di quelli che sta dando. È per questo che noi crediamo in un piano di riconversione industriale e di bonifiche”, da attuare con un cronoprogramma, anche se servono “5-10 anni”, aveva detto Di Maio.
Parole che lasciavano spazio a dubbi sulle modalità da attuare per la riconversione: chiusura parziale o totale dei forni?
Il giorno dopo il Movimento 5 Stelle uscì con una nota: “La nostra posizione è chiara: una riconversione economica passa ovviamente dalla chiusura delle fonti inquinanti, senza le quali le bonifiche sarebbero inutili. Il Movimento garantirà ai cittadini di Taranto e a tutti i lavoratori impiegati un passaggio che non sarà traumatico ma garante sia della salute che del reddito per i lavoratori”.
Come debbano essere sostenuti i “redditi” dei lavoratori Ilva però non è chiaro.
Certo, l’interruzione delle attività dell’acciaieria per cinque o dieci anni è ipotesi impraticabile sotto il profilo industriale e non può che far gioire i diretti concorrenti stranieri, tra cui c’è anche il più grande produttore mondiale d’acciaio, l’indiano Arcelor Mittal che ha vinto la gara per Taranto contro l’alleanza Jindal – Cassa depositi e prestiti.
(da “Huffingtonpost”)
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