GIORGIA BIFRONTE: IN EUROPA S’ATTEGGIA A STATISTA, MA PER NON TRADIRE SE STESSA RIMANE SOVRANISTA
LA PREMIER NON ERA OBBLIGATA A PARLARE DEL ‘DIRITTO DI VETO’. SI È SENTITA PERÒ IN DOVERE DI ESPRIMERE LA SUA CONTRARIETÀ A QUESTA IPOTESI, DENUNCIANDO AL TEMPO STESSO L’IMMOBILISMO DELL’EUROPA. UNA CONTRADDIZIONE IN TERMINI”… “È EVIDENTE IL TENTATIVO DI BARCAMENARSI NELL’AMBITO DEL ‘SOVRANISMO POSSIBILE’, PER NON SMENTIRE SE STESSA E NON INDISPETTIRE L’ALLEATO AMERICANO”
E’ nella parte più “riflessiva” delle sue repliche che c’è la sostanza politica più rilevante. La premier non era obbligata a parlare del “diritto di veto”, quel meccanismo che blocca l’Europa, per cui alcune decisioni nella direzione di una maggiore integrazione non si riescono a prendere se non c’è l’unanimità.
Meccanismo di cui peraltro il ministro degli Esteri del medesimo governo auspica un superamento. Si è sentita però in dovere di esprimere la sua orgogliosa contrarietà a questa ipotesi, denunciando al tempo stesso l’immobilismo dell’Europa. Una
contraddizione in termini.
È il classico segnale politico che certifica la profonda appartenenza a un campo sovranista. A chi quel diritto lo esercita con gioioso impegno (Victor Orban). A chi (Trump) ha in mente un ordine (o meglio: disordine) mondiale in cui l’Europa non è un soggetto politico con cui avere un’interlocuzione, ma un’aggregazione di satelliti nell’orbita americana. A chi, con l’aria che tira, potrebbe arrivare, da Wilders in Olanda a Le Pen in Francia.
Quell’appartenenza cioè può avere varie sfumature, ma non contempla il salto o la discontinuità in nome di un’altra appartenenza europea, dentro cui declinare l’interesse nazionale italiano. Diciamo così, da quando c’è Trump, la storia, per Giorgia Meloni, è quella di un bivio: tra essere una “europea” amica di Trump o “un’americana” amica dell’Europa. Ieri il pendolo ha oscillato più nella seconda direzione.
Un’oscillazione, che non equivale alla trumpizzazione o alla subalternità totale perché sul rilevante punto dell’Ucraina non ha avuto cedimenti sulla linea perseguita fin qui.
Invece, quando il senatore Mario Monti l’ha invitata a usare la sua forza e la sua autorevolezza per spiegare al presidente americano che l’Europa non è un demone, la sua risposta è stata: il tema non è l’Europa, ma l’Occidente.
Ecco: è evidente il tentativo di barcamenarsi nell’ambito del “sovranismo possibile”, per non smentire se stessa – e uno dei
punti qualificanti del suo governo – e non indispettire l’alleato americano (dazi compresi).
Il cortocircuito, però, attiene alla concezione stessa dell’Occidente per come l’abbiamo conosciuto finora: la coscienza di far parte di una comunità di destino e la condivisione di valori che stanno alla base delle nostre democrazie.
L’Occidente senza un’idea di democrazia diventa involucro piegato all’opportunità tattica. Sono proprio quei valori occidentali che dovrebbero spingere l’Europa a invitare gli Stati Uniti a fare la propria parte e invece, nel momento più acuto della sfida, l’europeismo, se possibile, si abbassa di intensità, su questo come su altri temi strategici come il Green Deal.
Legittimo prenderlo a picconate, in nome del “pragmatismo”: se la premier avesse chiesto il blocco, proponendo, al tempo stesso, il piano Draghi e l’emissione di bond, avrebbe avuto un senso. Se ognuno si occupa del processo di neutralità tecnologica a casa sua, si pone un gigantesco problema di politica industriale, per reggere la competizione globale. Si ripresenta cioè, a ogni tornante, il tema della contraddizione tra ideologia e interesse nazionale. Siccome però, in materia, è poco sfidata, il pendolo può continuare ad oscillare.
(da La Stampa)
Leave a Reply