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I GIOVANI DI TUNISI CONTRO IL TERRORISMO: “ESISTIAMO, RESISTIAMO!”

UNA PIAZZA GIOVANE E BELLA DAL PROFUMO DI GELSOMINO

Una Piazza gremita. Una bella Piazza. Popolata di giovani, di donne, senza vessilli di partito ma con tante bandiere nazionali.
Per dire che di fronte all’attacco terroristico il ragazzo in jeans e la ragazza con il capo velato si tengono per mano e lanciano la loro comune sfida di libertà  e pluralismo ai fautori della dittatura della sharia.
Un’unità  di popolo, prim’ancora che di classe dirigente.
Una unità  dal basso, per questo più importante. È la Tunisia che oggi è scesa in piazza per dire “no” al terrorismo e rendere omaggio alle vittime della strage al Museo del Bardo.
Al centro della scena mediatica ci saranno senz’altro i leader del mondo convenuti a Tunisi: Hollande, Renzi, Abu Mazen. Per la Tunisia c’è il presidente Beji Caid Essebsi e il premier Habib Essid; tra i capi di governo sono presenti l’algerino Abdelmalek Sellal, il belga Charles Michel, il libico Abdullah al Thani (espressione della Camera dei rappresentanti di Tobruk) e il vicepresidente del Consiglio del Bahrein, Khalid bin Abdullah al Khalifa.
Ma quello che conta di più è la Piazza. I suoi volti, i suoi slogan.
La sua volontà  di rafforzare la transizione democratica e difendere quei principi di libertà , giustizia, indipendenza, che sono stati alla base della “rivoluzione dei gelsomini”.
La “nuova Tunisia” esiste. E resiste.
La manifestazione era stata annunciata domenica scorsa dal presidente tunisino Essebsi nel corso dell’intervista rilasciata all’interno del Bardo.
Essebsi l’aveva presentata come una marcia del popolo tunisino e poco dopo, intervistata dall’agenzia TAP, la ministra del Turismo Salma Loumi aveva fatto sapere che erano stati invitati i principali leader mondiali.
Insomma un evento per dire no al terrorismo sullo stile della marcia internazionale che si tenne a Parigi l’11 gennaio dopo gli attacchi cominciati con l’assalto a Charlie Hebdo.
La polizia tunisina parla di 70 mila persone. Tante.
Ma la “Piazza” si misura non solo in quantità  ma in qualità . E quella di Tunisi è una qualità  straordinaria.
“No pasaran”. È la determinazione che accomuna i tanti partecipanti al corteo di popolo che ha affiancato quello delle autorità .
“Le monde est Bardo” è lo slogan scelto dagli organizzatori. A fianco della risposta di piazza, c’è quella militare. Continua la stretta delle forze di sicurezza tunisine contro le milizie islamiste dopo la strage del museo del Bardo. Nove terroristi sono stati uccisi in uno scontro a fuoco con gli agenti a Gafsa, nel sud del Paese. “Le nostre forze hanno ucciso nove terroristi in una vasta operazione a Sidi Aich. Hanno anche sequestrato armi ed esplosivi”, ha affermato il portavoce del ministero, Mohamed Ali Aroui.
Tra i terroristi uccisi anche il super ricercato algerino Khaled Chaib, conosciuto come Lokman Abou Sakher, il terzo attentatore. Si tratta del leader della cellula Okba Ibn Nafaa, gruppo terrorista con base nelle montagne Chaambi al confine con l’Algeria, responsabile secondo il governo dell’attacco del 18 marzo.
Siamo cittadini del mondo, e le ragioni che ci uniscono sono forti, salde, e i tagliagole dell’Isis non riusciranno a reciderle.
C’è questo messaggio dietro a quei cartelli tenuti dai manifestanti con i nomi delle vittime, tra cui anche quelli degli italiani: “Je suis Orazio”, “Je suis Giuseppina” in ricordo di Orazio Conte e Giuseppina Biella, due degli italiani feriti mortalmente nella strage di undici giorni fa.
“Siamo qui per dire che la nostra vita non deve essere presa in ostaggio da questi criminali che nulla hanno a che vedere con l’Islam”, dice Ahmed , studente universitario ventenne. “Io voglio guardare al futuro e non essere trascinata nel Medioevo”, incalza Hanan, collega di studi di Ahmed.
“Ci siamo liberati dalla paura”: era questo lo slogan coniato, 5 anni fa, dai ragazzi della “rivoluzione jasmine”.
Una liberazione di chi sa che il futuro è dalla propria parte ma, per appropriarsene, occorre rompere un presente stagnante, ibernato.
È quanto hanno fatto quei giovani. Ed è quello che continueranno a fare.
“Non ci piegheranno, perchè in gioco è la nostra libertà , è poterci muovere liberamente, e per noi donne sapere di avere gli stessi diritti e le stesse opportunità  degli uomini. La nuova Costituzione sancisce questo principio ma ancora c’è tanto da fare per realizzarlo nella vita pubblica”, sottolinea Kalida, 23 anni, attivista di una delle associazioni di donne che arricchisce la società  civile tunisina.
Così come i sindacati, soggetto fondamentale nella transizione democratica in atto.
Una bella Piazza. Una Piazza giovane. In continuità  con quella che dette l’avvio alla rivolta che spazzo via il regime di Ben Ali.
Una generazione, ricorda Oliver Roy, tra i più affermati studiosi europei del mondo arabo e islamico, “che non è interessata all’ideologia: scandisce slogan pragmatici e concreti (erhal, “subito”) ed evita richiami all’Islam, come succedeva invece in Algeria alla fine degli anni Ottanta. Rifiuta la dittatura, quella dei militari come quella degli islamisti, e continua a chiedere a gran voce democrazia”.
Questi giovani vanno ascoltati, e sostenuti.
“Io mi sono diplomato tre anni fa ma ancora oggi non riesco a trovare un lavoro. E lavoro significa non solo mantenere i miei tre bambini, lavoro è anche dignità ”, dice Faisal, che viene da uno dei sobborghi più poveri di Tunisi.
“I jihadisti — racconta — arruolano promettendo una paga e una famiglia. Conosco alcuni ragazzi che sono stati attratti da queste promesse e ora stanno combattendo in Siria”.
Faisal parte dalla sua esperienza personale e quella di alcuni suoi amici per affermare una verità  fondamentale: la sconfitta del terrorismo jihadista non può venire solo da una incisiva azione di polizia e di intelligence.
Perchè è dentro una drammatica crisi sociale ed economica che le filiere tunisine dello Stato islamico e di al-Qaeda fanno proseliti.
La disoccupazione giovanile nel Paese ha raggiunto livelli drammatici, e secondo un recente rapporto OCSE almeno 2 giovani tunisini su 5 sono senza lavoro, situazione che disegna i contorni di “un vero e proprio dramma sociale che ha urgente bisogno di essere affrontato”.
E se così non sarà , il rischio è che si propaghi e rinvigorisca una tensione che già  è di per sè alta nel Paese, il quale potrebbe cadere definitivamente vittima della violenza jihadista in uno scenario ancora peggiore.
Per Mourad, disoccupato di 28 anni con un master in tecnologia, l’Is è l’unica speranza di ”giustizia sociale”, ”l’unico modo per ridare al popolo diritti veri” e sostenerlo ”è un dovere per ogni musulmano”.
Molti raccontano di amici che, entrati nell’Is, ”vivono meglio di noi” con stipendio, casa e moglie, racconta Walid, 24 anni.
Nei bar della zona di Ettadhamen, nell’agglomerato urbano di Tunisi, decine di giovani disoccupati e appartenenti alla classe operaia hanno espresso la loro simpatia per le posizioni dell’IS: alcuni accusano gli stati europei di avere diviso gli Stati arabi alla fine della Prima guerra mondiale, impedendo la nascita di un califfato; altri parlano di “giustizia sociale”, dicendo che una volta che il califfato avrà  assorbito le monarchie del Golfo Persico, ricche di petrolio, ci sarà  una ridistribuzione generale della ricchezza.
Questi giovani non sfilavano oggi. Ma esistono, ed anche loro fanno parte della “nuova Tunisia”.

(da “Huffingtonpost”)

This entry was posted on domenica, Marzo 29th, 2015 at 21:05 and is filed under Esteri. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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