I MANAGER SONO INUTILI?
PERFINO LA RIVISTA DI HARVARD SOLLEVA IL DUBBIO: FORSE E’ MEGLIO CHE I LAVORATORI FACCIANO DA SOLI
E se i supermanager facessero solo danni?
Il dubbio è venuto prima al movimento di Occupy Wall Street, poi alla Harvard Business Review, la rivista più autorevole di management, dell’omonima università .
“Primo, licenziare tutti i manager”, si intitola l’articolo Gary Hamel, un professore della London Business School che osa scrivere: “Il management è la meno efficiente attività dell’attività meno efficiente della tua organizzazione”.
Poi usa argomenti che, ai ragazzi che in Zucotti Park rivendicano di essere il 99 per cento, suonano familiari: più barocca la gerarchia, maggiore il rischio che l’azienda prenda decisioni disastrose “perchè i manager più potenti sono quelli più distanti dalla prima linea della realtà ”. Nel 2010 tra stipendi e premi i top manager delle 25 principali imprese finanziarie di Wall Street hanno incassato 135 miliardi di dollari, secondo il Wall Street Journal.
Quest’anno si prevede un crollo del 30 per cento dei bonus, ma l’impressione generale è che sia un po’ poco, visto come sta andando il settore finanziario globale e quante centinaia di miliardi di dollari ha pagato il contribuente americano per salvare Wall Street.
Di solito si pensa che il problema sia che gli stipendi non sono allineati alle performance, cioè in molti guadagnano troppo anche quando non lo meritano.
Generazioni di consulenti hanno fatto le proprie fortune proponendo schemi di retribuzione innovativi, che facessero coincidere gli interessi del manager con quelli dell’azionista.
“Com’è possibile che tanta gente che sa così poco faccia così tanti soldi dicendo ad altra gente come fare il lavoro che è pagata per saper fare”, si chiede Matthew Stewart in Twilight manager (Fazi).
E infatti non ha funzionato.
Stefano D’Addona e Axel Kind, due economisti, hanno studiato 2.376 cambi di allenatore negli ultimi 50 anni di calcio inglese e sono giunti alla conclusione che più aumenta la competizione e l’importanza economica dello sport, più frequenti diventano i cambi di panchina.
Come dire: quando le cose si fanno serie, si deve licenziare più spesso.
Cosa che ai top manager non sportivi succede assai di rado.
Sulla Harvard Business Review Gary Hamel propone quindi di imitare il modello della Morning Star, una società leader della lavorazione del pomodoro dove non ci sono manager: in ogni reparto i lavoratori si organizzano da soli, niente gerarchie, gli stipendi sono diversi soltanto in base ai diversi risultati ottenuti.
Così la competizione è per essere più bravi, non per compiacere il capo.
Nelle etichette da business school si chiama “self management”: ogni anno ciascun dipendente spiega in un documento quali colleghi sono toccati dal suo lavoro, così si definiscono gruppi spontanei.
Che, pare, funzionino: Morning Star ha avuto un fatturato di 700 milioni nel 2010.
Utopia o incubo? Chissà .
Viste le performance dei manager italiani raccontate qui , però, forse una lattina di pomodoro Morning Star potrebbe essere il regalo di Natale giusto per molti di loro.
La tempesta finanziaria che stiamo vivendo può essere raccontata anche attraverso una galleria di volti.
Sono le facce da flop.
Peggio, “Capitani di sventura”, per citare il titolo di un saggio (autore il compianto Marco Borsa) di ormai 20 anni fa.
Manager che negli anni del boom sono stati osannati e spesso coperti d’oro, ma che alla prova della recessione non si sono dimostrati all’altezza della situazione.
Fausto Marchionni: l’uomo del tracollo di Fondiaria
Fausto Marchionni ha messo la faccia sul tracollo di Fondiaria-Sai, una delle più gravi crisi societarie degli ultimi anni.
La crisi del secondo gruppo assicurativo nazionale è la storia triste di una compagnia a lungo sfruttata dal suo azionista di controllo, la famiglia Ligresti, per farsi gli affari propri. Marchionni, per oltre un decennio al timone dell’azienda, non ha mai avuto niente da ridire sulle operazioni
in conflitto di interessi imposte dai Ligresti. Fino a quando, a gennaio, non ha dato le dimissioni premiato da una liquidazione multimilionaria.
Massimo Ponzellini: lascia la Bpm nel caos
È approdato alla Popolare di Milano nel 2009 con il sostegno dei sindacati interni. Poco più di due anni dopo, Massimo Ponzellini si è lasciato alle spalle una banca nel caos e con seri problemi di bilancio.
Gli ispettori di Bankitalia hanno bocciato la gestione del banchiere sponsorizzato dalla Lega, che è anche indagato per i prestiti della Bpm al gruppo Atlantis BPlus di Francesco Corallo.
Nel frattempo le azioni della Popolare sono andate a picco: gentile cadeau ai soci del presidente Ponzellini, che a fine ottobre ha fatto le valigie.
Sergio Marchionne: Fiat, vendite al palo
Una delle ultime copertine del settimanale americano “Time” definisce Sergio Marchionne addirittura il salvatore dell’auto.
Viste da questa parte dell’Atlantico le cose stanno un po’ diversamente. La Fiat di Marchionne ha perso nel giro di due anni il 30% della sua quota di mercato in Europa, ormai ridotta a uno striminzito 6,3 per cento.
“Tutto secondo le previsioni”, replica il manager con invidiabile faccia tosta, ma il titolo Fiat quota meno della metà rispetto all’inizio del 2011.
Giuseppe Mussari: i guai dell’uomo del Monte
Impegnato nel doppio ruolo di presidente del Monte dei Paschi e anche dell’Abi, la Confindustria delle banche, Giuseppe Mussari è stato travolto dagli avvenimenti.
L’Abi ha subìto l’offensiva dei concorrenti francesi e tedeschi che hanno imposto regole penalizzanti agli istituti italiani.
E il Monte Paschi, nonostante l’aumento di capitale varato in estate, potrebbe essere costretto a fare il bis tra pochi mesi. E adesso c’è il rischio concreto che dopo oltre cinque secoli Siena perda il controllo della sua banca.
Alessandro Profumo: Unicredit rosso a sorpresa
Alessandro Profumo ha lasciato Unicredit nel settembre del 2010, ma per tirare le somme del suo lungo regno è stato necessario più di un anno.
A novembre, la banca ora guidata da Federico Ghizzoni, ha annunciato perdite per oltre 9 miliardi.
È questa la pesante eredità dell’espansione a tappe forzate gestita da Profumo negli anni del boom.
Sgonfiata la bolla, ecco le perdite, ma l’ex numero uno si sta godendo la buonuscita da 40 milioni di euro.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
Leave a Reply