I RAPPORTI DEI SERVIZI EUROPEI: “LA GUARDIA COSTIERA LIBICA E’ UNA ASSOCIAZIONE A DELINQUERE”
MA L’ITALIA GLI REGALA LE MOTOVEDETTE PER FARE IL LAVORO SPORCO… I NOMI DEGLI UFFICIALI CHE TRAFFICANO IN ESSERI UMANI
Ombre fosche e accuse pesanti, come quella di essere corrotti, collusi con i trafficanti di esseri umani. Ma al tempo stesso sono considerati, dalle autorità italiane, come i nuovi “Gendarmi” del Mediterraneo.
Sono gli uomini della Guardia Costiera libica, quella che dipende dal governo senza potere, ma riconosciuto dall’Onu, di Fayez al-Serraj.
Almeno quattro, cinque colpi di pistola. E diverse comunicazioni via radio nelle quali viene chiesto di allontanarsi. La Guardia costiera libica ha aperto il fuoco contro una nave della ong ProActiva Open Arms.
“Siamo in una situazione estrema nel Mediterraneo – denuncia il portavoce della Ong Oscar Camps – Siamo passati dall’immobilismo dell’Unione Europea a una scelta precisa: fermare le organizzazioni non governative”.
“L’Italia ci ha negato l’entrata a Lampedusa”, ha raccontato Camps all’agenzia spagnola Efe, spiegando che la Guardia Costiera italiana aveva autorizzato il salvataggio di una imbarcazione che navigava alla deriva ed è stata localizzata a circa 100 miglia dalle coste libiche e che dopo, “sorprendentemente”, ha “negato l’entrata per lasciare queste persone a Lampedusa”.
Camps ha aggiunto che nemmeno Malta ha offerto una soluzione e che i due paesi, Italia e Malta, si sono di fatto rimpallate le responsabilità : “Un paese ci manda dall’altro – ha aggiunto – e questa è una volta di più la dimostrazione della disorganizzazione dell’Europa. Siamo in acque internazionali in attesa che ci autorizzino di entrare in Sicilia”, ha aggiunto Camps, secondo cui all’alba di oggi saranno state 24 ore di attesa per ottenere una autorizzazione.
Secondo Camps, la Ue sta mettendo in atto una campagna contro le Ong nel Mediterraneo, “usano accuse non provate o investigano coloro che non hanno aderito al codice di condotta” approvato dall’Italia per gestire la crisi migratoria nel Mediterraneo.
“Tutti dicono lo stesso, che sospettano delle nostre attività – conclude Camps – che facciamo traffico di esseri umani, che entriamo nelle acque libiche. Accuse non vere, perchè tutte le Ong che si trovano nel Mediterraneo lavorano in coordinamento con la Guardia Costiera italiana”.
Non sono solo gli spagnoli ha denunciare questo clima di intimidazione.
Il clima è pesantissimo, l’atteggiamento della Guardia costiera libica si sta facendo sempre più aggressivo, confermano all’Huffpost i rappresentanti della Ong tedesca Sea-Watch. E c’è dell’altro, e di altrettanto grave. Una storia esemplare, ad esempio. Quella che ha come protagonista il boss della tratta di migranti nella città libica di Zawiya Abdurahman Al Milad Aka Bija, più conosciuto come Al Bija, 28 anni. Costui è il nuovo comandante della Guardia costiera della città (45 chilometri a Ovest di Tripoli).
Il Comando centrale della Guardia costiera libica di Tripoli non sarebbe neanche riuscito a portare la città sotto il proprio controllo.
Il motivo è che a comandare a Zawiya è la tribù Abu Hamyra, di cui Al Bija è membro. La tribù ha approfittato del vuoto di potere venutosi a creare dopo la caduta di Muammar Gheddafi nel 2011, per controllare stabilmente la città costiera e la locale raffineria.
A rivelarlo è stata una giornalista freelance, Nancy Porci, in una inchiesta pubblicata su TRT World, un network televisivo turco.
L’inchiesta svela anche che l’ente statale petrolifero libico (Noc) non ha accesso ai profitti della principale raffineria di greggio della Libia occidentale situata proprio a Zawiya.
Un abitante di Zawiya ha riferito ad Al Jazeera che il capo dei miliziani “è pagato direttamente dal governo con il compito di monitorare le attività al porto. Dovrebbe lavorare con i funzionari della marina, ma invece è il boss del traffico di esseri umani. Non solo gestisce quello che accade al porto, ma controlla direttamente anche diversi centri di detenzione”.
L’agenzia Askanews riporta che una fonte del ministero dell’Interno libico, contattata da al Jazeera, ha confermato il racconto dell’abitante di Zawiya: “Le guardie costiere corrotte danno i migranti ai miliziani e i miliziani li tengono in centri di detenzione illegali. Qui iniziano a ricattare i migranti. Gli prendono i soldi, i telefoni, i documenti. Con i numeri che trovano sui telefoni, i trafficanti chiamano le famiglie per chiedere un riscatto per lasciarli andare. I miliziani li vendono anche ai caporali della zona che li usano come forza lavoro gratuita. Contrastarli è quasi impossibile, anche per la polizia”.
Un caso isolato, la classica mela marcia? Non è proprio così.
A Sabratah, la città a 80 chilometri a Ovest di Tripoli da cui salpano gran parte dei barconi, il capo del Dipartimento locale anti-migrazione irregolare, che opera sotto il ministero degli Interni del governo Serraj, appartiene a una potente tribù.
È l’uomo che decide, in accordo con i trafficanti sotto un adeguato compenso, chi e quando deve partire.
Secondo un rapporto dell’Hna, una delle tre agenzie d’intelligence austriache, in questa città esistono due potenti organizzazioni che gestiscono il business dei migranti: la prima fa capo ad Ahmed Dabbashi, che nel 2011 si contraddistinse nella lotta all’ex regime di Gheddafi.
Grazie alla notorietà acquisita in battaglia Dabbashi ha messo in piedi una delle più potenti milizie locali che depreda e schiavizza i migranti prima di lasciarli partire sempre più spesso in accordo con i delegati libici verso l’Italia.
L’altra organizzazione, specializzata nel business dei barconi, è gestita da Mussab Abu Ghrein, che si occupa prevalentemente di sudanesi e altri migranti subsahariani. Per i propri traffici Ghrein ha sfruttato invece i saldi rapporti di sangue tra la propria tribù d’appartenenza e quelle al confine con il Niger.
Un giro di affari e connivenze, documentato da informative d’intelligence di più Paesi europei, mostra come i controllori (i delegati del governo) e i controllati (i trafficanti) anzichè essere in conflitto, siano riusciti ad alimentare un sistema economico ben strutturato.
Andrebbe peraltro ricordato, quando si fa riferimento alla “Guardia Costiera libica” che solo sotto il governo di Serraj ce ne sono almeno due, una che fa riferimento al ministero della Difesa e una che risponde al ministero dell’Interno.
E che quella di Tripoli – addestrata e finanziata dall’Italia – è una realtà in via di formazione: una galassia di milizie prestate al mare ma soprattutto al miglior offerente, espressioni di potentati locali che dalla caduta di Gheddafi sono in lotta tra di loro per il controllo di traffici illegali, quello dei migranti in primis.
Ad allarmare di più sono i racconti dei migranti salvati. “La stragrande maggioranza ci dice che in Libia la guardia costiera coincide spesso con i trafficanti, che il livello di corruzione in quel Paese è a livelli incredibili – afferma Riccardo Gatti, direttore di ProActiva Open Arms -. E in tal senso mi chiedo come mai in Italia in questo caso non si sia alzato un polverone sul fatto che il governo ha deciso di finanziare le attività poco trasparenti delle autorità libiche”.
Un passo, neanche troppo lungo, indietro nel tempo.
Durante un soccorso nel Mediterraneo, martedì 23 maggio, la guardia costiera libica si è avvicinata a dei barconi in difficoltà , ha minacciato le persone a bordo e ha sparato dei colpi in aria, mettendo in pericolo la vita delle persone e scatenando il panico.
È la denuncia di MSF e SOS Mediterranee, che hanno assistito al violento incidente. Le equipe di MSF e SOS Mediterranee erano state avvertite della posizione dei barconi in difficoltà e avevano distribuito giubbotti di salvataggio per iniziare il soccorso.
Oltre 20 persone erano state portate a bordo della Aquarius, la nave di ricerca e soccorso gestita in collaborazione dalle due organizzazioni.
Gli altri passeggeri erano rimasti sul barcone, mentre le equipe di soccorso erano andate ad assistere un’altra imbarcazione che era in una situazione più critica.
Nel frattempo si è avvicinata un’imbarcazione armata della guardia costiera libica. “Due guardiacoste libici, in uniforme e armati, sono saliti su uno dei gommoni. Hanno preso i telefoni, i soldi e altri oggetti che le persone portavano con sè” racconta Annemarie Loof di MSF.
“Le persone a bordo si sono sentite minacciate e sono entrate nel panico, erano terrorizzate dal comportamento aggressivo dei libici”.
La guardia costiera libica ha mostrato scarso riguardo per le persone sui barconi” continua Loof. “Il loro comportamento verso di loro è stato avventato se non addirittura minaccioso.”
“Sapere che la guardia costiera libica ha ricevuto formazione e supporto dall’Unione Europea rende questo incidente ancora più detestabile” conclude Loof di MSF. “Crediamo che le autorità italiane ed europee non dovrebbero fornire supporto alla guardia costiera libica, nè direttamente nè indirettamente. Questo supporto sta mettendo ancora più in pericolo la vita delle persone”.
“Sta venendo fuori – le fa eco Fulvio Vassallo Paleologo, docente di Diritto di asilo e statuto costituzionale dello straniero presso l’Università di Palermo – che quella Guardia Costiera con cui l’Italia ha trattato l’avvio di attività coordinate di contrasto dell’immigrazione potrebbe essere coinvolta nella vasta rete di organizzazioni criminali che gestiscono il traffico dei migranti in Libia. Una ipotesi sulla quale sta indagando il Tribunale penale internazionale”.
“Di certo – aggiunge il professore – non si riesce circoscrivere e ad arrestare la rete di trafficanti di diverse nazionalità da tempo insediati in Libia, con rapporti sempre mutevoli con le tribù e le milizie armate, con propaggini in Niger ed in Sudan, che le indagini, condotte con metodi assai approssimativi, non riescono a smantellare”.
(da “Huffingtonpost”)
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