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IDENTIKIT DEL PIROMANE: ANZIANO, INCOLTO E AGISCE PER INTERESSE

IL “REAZIONARIO RURALE” CHE INCENDIA L’ITALIA: UOMINI ADULTI CHE CERCANO ERBA PER IL PASCOLO, VERDURE PER LA CUCINA E CACCIANO ANIMALI…. OGNI ESTATE CENTINAIA DI MILIONI DI DANNI, MA SONO POCHI I ROGHI COLPOSI E I PIROMANI “MALATI”

Il reazionario rurale è il protagonista dell’estate del fuoco, la più distruttiva degli ultimi cinque anni, la seconda per numero di incendi degli ultimi quindici anni.
Il reazionario rurale è un format negli archivi del Corpo forestale che racconta di un ultrasessantenne di provincia con una scolarità  che di rado raggiunge la quinta elementare e che dà  fuoco al mondo (rurale) che lo circonda.
È un maschio avanti con l’età , spesso meridionale, che ha interessi immediati: la sopravvivenza della sua vita da sopravvissuto.
L’erba per il pascolo, la verdura selvatica da trovare in fretta, la selvaggina da stanare. Ci costa 300 milioni l’anno il comportamento del “reazionario rurale”.
E quest’anno ha fatto cinque morti e quindici feriti.
Chi è l’uomo che incendia l’Italia d’estate? Chi appicca fuochi sempre più pericolosi per la comunità ?
Spesso è un pastore senza riferimenti, non ha famiglia nè rapporti sociali.
Un campo abbandonato per lui è terra da rapinare, serve l’erba per vacche e capre. Sterpaglie, spine, ortiche si possono portare via in un attimo e quasi gratis: accendino e fiamme in tre, quattro punti.
Un lavoro di un quarto d’ ora.
Poi la fuga in un territorio conosciuto, che può diventare nascondiglio.
Ma dopo il campo abbandonato le fiamme attaccano i boschi, la macchia mediterranea, i frutteti, le vigne, i villaggi turistici, i campeggi, sfiorano i paesi e scendono in città . S
e viene fermato – e dal 2000 a oggi le denunce sono diventate quattrocento l’anno, gli arresti almeno dieci – il reazionario rurale rischia sul serio fino a dieci anni di galera.
Ma non confessa mai e appena gli investigatori della Forestale tornano al comando per verbalizzare la denuncia, lui riparte.
“Dovete bruciare tutti”, urlò un contadino siciliano dopo aver provocato tre morti, distrutto un campeggio.
Negli ultimi otto giorni, Ferragosto compreso, l’Italia è stata attaccata da quasi mille roghi a settimana. In alcune aree protette e colpite ripetutamente si rischia la desertificazione.
Il reazionario rurale, che è una definizione necessaria per costruire un profilo psicologico e da lì tentare di arginare un’emergenza sociale ed economica, in Campania è un uomo di mezza età  che alimentando le fiamme raccoglie in fretta gli asparagi selvatici. In Calabria è un provinciale con un primo lavoro urbano che nel weekend stana le lumache con il fuoco.
In un’estate secca come questa con i boschi carichi di legna a terra, buttata giù dalle nevi di gennaio, il gesto del reazionario rurale può distruggere anche gli asparagi e le lumache.
Al Sud come al Nord i bracconieri e i cacciatori che non rispettano i periodi di ferma bruciano gli alberi per far alzare quaglie impaurite, far uscire dal sottobosco i cinghiali. E impallinarli.
Le gesta seriali del pensionato sardo.
L’ingegner Mauro Capone, dirigente della Divisione lotta agli incendi boschivi della Forestale, spiega: “Mettiamo in fila dati dal 1972, ormai abbiamo capito chi incendia i boschi italiani”. Aderisce all’identikit offerto dagli esperti l’incendiario seriale Celeste Pani, pensionato di 68 anni, venditore di auto usate.
L’hanno avvistato (con i binocoli) nelle campagne di Uras mentre dava fuoco all’ultima collina della provincia di Oristano.
Precedenti per violenza e furti, era sotto controllo da un anno, l’operazione “Fogu Tentu”.
Per ora gli hanno attribuito sei roghi dello scorso luglio, ma sono cento gli episodi su cui si indaga.
La Fiat Punto di Pani è stata vista fra Guspini, Pabillonis e San Gavino nel Medio Campidano, fra San Nicolò Arcidano, Terralba e Uras nell’Oristanese.
Lo scorso 9 luglio il pensionato si è fermato con la sua auto scura ai margini di una strada di penetrazione verso la campagna.
Seduto al volante, la portiera aperta, dava fuoco alle sterpaglie.
Non è un fumatore, ma a bordo aveva un corredo di accendini. Poggiati i binocoli, gli investigatori sono entrati nello sterrato: il rivenditore d’auto è fuggito seminando i forestali sul filo dei 150 all’ora.
È stato rintracciato e arrestato che era già  in un’altra provincia, in un bar di Guspini, una birra sul tavolo a mitigare l’arsura.
In Sardegna quest’anno di “Pani” ne sono stati denunciati ventinove.
Tra loro due serial teenagers: diciannove e vent’anni, disoccupati, con le loro mountain bike pranzavano insieme per raggiungere poi i sentieri di Mogoro e Pabillonis, sempre Oristano. Dove lanciavano fiammiferi come fossero a un party.
Il Grossetano quest’anno è stato martoriato. Luca Alpini, fiorentino di 42 anni, disoccupato e in passato gestore di un’enoteca, domenica scorsa ha lasciato Follonica dov’era in vacanza con i genitori per addentrarsi zaino in spalla – un vero escursionista – nel bosco maremmano di Cala Violina, l’area naturale protetta delle Costiere di Scarlino che s’affaccia sul mare.
Quattro ciclisti lo hanno notato a metà  pomeriggio, temperatura sui 35 gradi, mentre accovacciato dava fuoco al sottobosco con un accendino fuori misura.
Era ai margini di un sentiero sterrato.
L’incendiario del weekend ha tentato una fuga maldestra: due ciclisti lo hanno inseguito e bloccato, altri due si sono lanciati a spegnere le fiamme, alimentate a quell’ora dalla brezza marina.
Davanti ai carabinieri Luca Alpini ha provato a negare, poi ha scosso la testa: “È vero, ho fatto una cazzata”.
Mucche bruciate, stabilimenti distrutti.
Solo l’incendio della pineta di Marina di Grosseto, tre focolai di partenza accertati, bottiglie incendiarie e stracci inzuppati di benzina ritrovati, è costato alla comunità  un milione e 200 mila euro innescando un turismo della disgrazia che ha ostacolato la bonifica.
Nel Cremonese l’attacco a due cascine ha ucciso venti mucche da latte. A Farneto, Latina, l’appicciatore era un operaio che vive di lavori saltuari. Così lungo le rive del Piave, nella Valbelluna: un operaio di 42 anni ubriaco.
A Dragoncello, periferia squassata di Roma, un vigilante pregiudicato si divertiva a incendiare terreni incolti.
A Bettona, vicino ad Assisi, l’incendiario aveva 80 anni.
A Sterpeto, sempre Grosseto, ne aveva settantasette: ha dato fuoco a un cimitero e annerito un camion dei pompieri.
Una telecamera fra i rami ha fermato il volto di un lavoratore (saltuario) presso un allevamento della provincia di Avellino, un uomo di 43 anni che nel Beneventano voleva rinnovare il pascolo incenerendo il bosco.
Nel Tarantino due amici di 39 e 49 anni, questo a inizio luglio, hanno ingaggiato una sfida con i vigili del fuoco radendo vigneti, uliveti, i boschi delle Cave di Fantiano.
A Scanzano Jonico, costa materana, un ventenne ha contribuito a devastare trenta ettari di pineta e distruggere uno stabilimento balneare in attesa di apertura, il “Priscilla Beach”.
Sulla strada provinciale che congiunge Catanzaro a Magisano un uomo ha usato un cassonetto della spazzatura come catapulta incendiaria per attaccare il bosco.
Esiste ancora la catena del fuoco, il forestale a tempo determinato che brucia per garantirsi un reddito?
Gli investigatori del Corpo non segnalano più casi di “stagionali” o “lavoratori socialmente utili” che bruciano per garantirsi l’anno venturo, magari il rimboschimento.
Le leggi dell’emergenza del Duemila impediscono di piantare nuovi alberi là  dove è passato il fuoco e, da una parte, gli ex “socialmente utili” – in Campania sono seicento – nel tempo sono stati inquadrati in società  partecipate dagli enti locali mentre le ondate di spending review hanno via via tagliato rinnovi di lavoratori stagionali nelle singole Regioni.
Sta emergendo invece, racconta Angelo Marciano, già  capo degli investigatori della Forestale, il profilo del volontario dell’antincendio che, pur non percependo utilità  dirette, sa che la sua struttura viene finanziata dal pubblico per controllare il territorio.
Il direttore del servizio vigilanza della Regione Sardegna definì Walter Susanna, 21 anni, di Capoterra (Cagliari), “un incendiario seriale”.
Era socio dell’ associazione di vigilanza ambientale “Nova”, gli sono stati attribuiti quattro inneschi.
La criminalità  rurale.
Se è vero che il 51 per cento dei roghi boschivi sono nelle quattro regioni ad alta densità  mafiosa, gli esperti invitano a non enfatizzare la presenza della criminalità  organizzata nella questione incendi.
Grazie alle leggi anti-edilizia (non si costruisce per dieci anni sulle aree colpite) l’appetito dei clan è sceso.
Ci sono comunque singoli attacchi di chiara matrice camorristica o mafiosa e riguardano aree che si vogliono impoverire per far saltare le protezioni ambientali.
L’ultimo è stato quello al Parco del Circeo, nel Lazio meridionale. “Bisogna cercare piccoli fratelli, non grandi fratelli”, ama dire il capo della Forestale, l’ingegner Cesare Patrone.
C’è infatti una criminalità  rurale che prova a deprezzare terreni e lotti boschivi o che usa l’incendio come ricatto, intimidazione. Sempre più spesso questa criminalità  a bassa intensità  usa manovalanza straniera.
Bastano 50 euro per commissionare un incendio, un Nokia usato. A volte è sufficiente vitto e alloggio.
L’infinito incendio di Monte Mario, a ridosso di Roma, era frutto di una lotta fra bande di accampati rumeni. Il problema è che le investigazioni crescono di qualità  – gps posizionati sotto le auto dei sospetti, appostamenti stremanti tra frasche e roveti -, ma solo in otto casi su cento si rintracciano le menti e le mani di un rogo.
Gli zampironi modificati, le sigarette fasciate dai fiammiferi, lo sterco di vacca che lega sulfanelli, i lumini di cimitero, tutti inneschi sequestrati nel tempo, quasi sempre restano reperti da magazzino giudiziario senza autore.
Certo, c’è il piromane neroniano. A lui, che è un malato di fuoco, che non brucia per interesse ma per trovare un piacere nelle fiamme dardeggianti, va attribuito un incendio ogni cento.
Tre morti dei cinque registrati quest’anno sono figli invece di incendi colposi, di giardini da pulire nella stagione vietata.
Negli scorsi giorni la Forestale di Avellino ha fermato un camionista di 56 anni che in un castagneto di proprietà , a Lauto, aveva acceso un fuoco non autorizzato per bruciare felci e ricci.
Su una collina ripidissima gli sono sfuggite le fiamme e ora è in carcere ad Avellino.
Quel fuoco, domato solo dopo trentasei ore, con una folata improvvisa ha bruciato e soffocato l’ex lavoratore socialmente utile Michele Ciglione, ha ustionato mani e piedi del forestale Alberto Campanella. Una sigaretta caduta, invece, ha fatto evacuare tre campeggi a Marina di Grosseto.
Un falò acceso per scacciare le zanzare ha minacciato decine di automobilisti e sfiorato alcune villette a Gela.
Un ettaro in fiamme costa 5 mila euro a tutti noi, un Canadair in volo 10 mila euro l’ora.
Ma la mala-amministrazione italiana ci mette del suo.
Metà  dei comuni calabresi non ha aggiornato il catasto degli incendi, obbligatorio dal 2007, undici sindaci del Cilento sono stati denunciati (e assolti per mancanza di una pena prevista). Coldiretti ricorda come la falcidie di aziende agricole ha lasciato 300 mila ettari di bosco italiano alla mercè degli incendiari.
Oggi l’Italia è il primo importatore al mondo di legna da ardere nonostante 10,4 milioni di ettari di verde a nostra disposizione e un eccesso di legno combustibile sul terreno.
Ecco, il Corpo forestale sta sperimentando in Piemonte, Sardegna e Campania una novità : il fuoco controllato.
I “reazionari rurali” dediti alla pastorizia (la necessità  di erba per gli animali da pascolo) vanno avvicinati affinchè i loro bisogni non diventino indifferenza distruttiva.
Il compromesso, che in Spagna e Portogallo ha dato risultati, è appunto “l’incendio di Stato”. Un rogo nella stagione invernale, con il controllo da parte delle università  di temperatura, umidità , qualità  del terreno.
Un fuoco prescritto che porti via roveti e ortiche risparmiando macchia mediterranea e alto fusto.
“Bisogna provarci”, dice l’esperto Marciano, “se il pastore sparisce è un guaio per tutti, se vince usando il fuoco, e purtroppo sta vincendo, è un guaio per tutti”.

(da “La Repubblica“)

This entry was posted on sabato, Agosto 25th, 2012 at 05:10 and is filed under Ambiente. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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