IL CASO GERGIEV: COME DIFENDERE LA SOCIETA’ APERTA DAI SUOI NEMICI INTERNI ED ESTERNI
LA OTTUSA TENDENZA OCCIDENTALE A SORVOLARE SUL PROGETTO IMPERIALISTA DI PUTIN PER SOVVERTIRE LO STATO DI DIRITTO… PER FORTUNA CI SONO GLI UCRAINI A RICORDARCI CHE DEMOCRAZIA E LIBERTA’ NON SONO DIRITTI ACQUISITI
Abbiamo provato a spiegare cento volte quanto e come l’imperialismo russo da secoli si serva della cultura, della Grande Cultura Russa, per annientare l’identità dei popoli colonizzati e per veicolare l’immagine di potenza di Mosca nei Paesi che ancora rispettano lo stato di diritto.
Qualcuno ha capito, ma altri no, anche tra chi non può essere nemmeno lontanamente accusato di essere filo putiniano o anti ucraino (penso innanzitutto al più bravo direttore ed editorialista italiano, Mattia Feltri, e ai suoi due corsivi sull’argomento scritti sulla Stampa).
La questione però non è quella di dover rinunciare ad ammirare, a leggere e ad ascoltare artisti, scrittori, musicisti che al loro tempo inneggiavano a Hitler, a Stalin o a Mao. Non lo è, intanto, perché Hitler, Stalin e Mao sono personaggi storici archiviati da oltre mezzo secolo, e quindi leggere oggi Céline, o ascoltare Furtwängler non è paragonabile a invitare Valery Gergiev
Caserta utilizzando i fondi di coesione europei che in teoria dovrebbero servire a ridurre le disparità economiche e sociali di alcune regioni, non ad offrire un palcoscenico a uno dei principali propagandisti di Putin. Sopratutto, leggere Céline o ascoltare Furtwängler nel 2025 non ha nessun impatto politico sul progetto nazista di conquista dell’Europa e di Soluzione Finale, così come non asseconda la guerra ibrida in pieno svolgimento dichiarata dalla Russia di Vladimir Putin alla società aperta e al sistema liberal democratico.
Una guerra imperialista combattuta con carri armati e missili, ma anche con la propaganda culturale per penetrare con efficacia nel ventre molle della società occidentale, di cui l’Italia per ragioni storiche e politiche e culturali costituisce notoriamente la resistenza più debole.
Per quanto deplorevoli fossero le idee politiche di Céline e Furtwängler, leggerli e ascoltarli oggi non favorisce l’Anschluss né agevola la Shoah. Altra cosa, invece, è consentire a un primario scagnozzo di Putin di mostrare l’aspetto presentabile della Russia al pubblico occidentale, in modo da allentare la tensione nei confronti del regime criminale e da riattivare i rapporti commerciali e politici con Mosca, il modo più diretto per rimuovere l’unica arma di difesa a nostra disposizione.
Del resto Franklin Delano Roosevelt e Wiston Churchill non ospitavano a Washington e a Londra concerti di Furtwängler durante la Seconda Guerra Mondiale né davano ristoro ai propagandisti di Mussolini in nome della grande cultura classica italiana, semmai davano rifugio ai dissidenti del regime, agli ebrei sfuggiti ai pogrom, agli antifascisti
Detto questo, la questione più complessa e pericolosa della vicenda Gergiev e, più in generale, della remissività italiana a considerare quello in corso un attacco esistenziale al nostro modello di vita è la difficoltà di una parte della società occidentale di capire quale sia la posta in gioco e la tendenza a sorvolare sul progetto coloniale del Cremlino volto a ripristinare l’impero russo, manipolare il discorso pubblico del mondo libero e sovvertire il modello politico basato sul rispetto dello stato di diritto e sull’espansione dei diritti civili.
Di nuovo, non è il caso di soffermarsi sugli odiatori professionali della democrazia liberale né sugli utili idioti di Putin, che per complicità o idiozia vanno ormai considerati persi alla causa, ma piuttosto sull’ampio e diffuso atteggiamento di acquiescenza nei confronti di una minaccia considerata remota e improbabile.
Che cosa convince alcuni di noi a non stimare particolarmente urgente la difesa e la protezione della società aperta dalle insidie di chi dall’esterno ma anche dall’interno pianifica apertamente la sua demolizione e sostituzione?
La risposta non può che trovarsi nella distanza temporale e fisica dalla guerra e dall’oppressione che ciascuno di noi fortunatamente può vantare. Sono ottanta gli anni di progresso e di prosperità che ci separano dal grande conflitto degli anni Quaranta che, come oggi, ha visto contrapposte due visioni opposte della convivenza civile, e ne sono passati circa cinquanta da quando comunisti e fascisti sparavano per strada e piazzavano bombe per imporre la loro ideologia.
In questa parte di mondo, da molto tempo siamo convinti dalla
recente esperienza personale che la libera circolazione di idee, persone e beni sia un dato di fatto acquisito e irreversibile, che la storia sia finita con la vittoria della democrazia liberale, e che l’arco dell’universo morale è lungo ma tende inesorabilmente verso la giustizia.
Ma purtroppo non è così, basta guardare a che cosa sta succedendo in America, e alla crescita inaudita di formazioni politiche eversive in tutta Europa.
La malattia occidentale è la mollezza causata dal suo straordinario successo, ma anche l’ottimismo stupido che fa dimenticare la lezione saggia sulla necessità di abbinare il pessimismo della ragione all’ottimismo della volontà.
La controprova della debolezza occidentale tale sta nella forza propulsiva dei movimenti democratici nelle società dell’Europa orientale, quelle più vicine geograficamente, storicamente e personalmente all’incubo illiberale e opprimente della versione sovietica e putiniana del tradizionale imperialismo russo.
In quei Paesi, a cominciare dall’Ucraina, passando per il Baltico, la Georgia e i Paesi dell’ex Patto di Varsavia, vive lo spirito liberale e democratico, europeo e occidentale, più puro e potente, decisamente più energico e vigoroso di quello residuo nell’ovest assuefatto alla libertà.
È questa la più poderosa centrale politica, popolare e ideale dell’Europa democratica e del mondo libero. Malgrado le bombe che cadono sulla testa, la repressione del dissenso e gli intrecci politico-mafiosi degli oligarchi locali con il Cremlino, chi ancora sente sulle spalle il peso coloniale della cosiddetta grande cultura russa non ha la libertà, il privilegio e
l’incoscienza di capitolare, di darsi per vinto, di invitare Gergiev.
(da Linkiesta)
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