IL CAVALIERE PRONTO A OGNI EVENIENZA: “MI RIMANE SEMPRE LA VILLA AD ANTIGUA”
LE VOCI SUI CONTI INTESTATI AI FIGLI E IL PASSAPORTO DI PUTIN
La ritirata ad Arcore, nella sera gelida, è gonfia di angoscia. E paura.
Gli slogan, l’inno, gli echi della piazza sembrano già lontani e l’atmosfera ora è cupa, sul breve volo – in aereo privato col Biscione in coda – che lo riporta dai figli.
Ha rinunciato al salotto di Vespa. Archiviata la propaganda, Silvio Berlusconi è un ex parlamentare che si prepara a «ogni evenienza», come ripete a familiari e consiglieri. Fedele Confalonieri, raccontano, continua a fargli pesare lo strappo compiuto: «Ora siamo senza ombrello, senza protezione, e lo sei anche tu»
Sullo sfondo, lo spettro dell’arresto imminente si fa sempre più ingombrante, alberga ormai nella sua mente a prescindere dagli avvertimenti dei legali Ghedini e Longo.
Il Cavaliere non ha ancora deciso cosa fare nelle prossime settimane, promette al suo popolo che lui resta qui, continua la battaglia, ma non si lascia preclusa alcuna possibilità .
La politica, il partito, le future elezioni, al di là dei proclami, passano in secondo piano. Le prime mosse sono finalizzate alla gestione nella continuità dell’immenso patrimonio finanziario.
A cominciare dalla procura conferita nelle ultime settimane ai primi due figli Marina e Piersilvio affinchè possano operare in autonomia sui conti correnti e sui fondi di cui il magnate è titolare in cinque diverse banche.
Solo a loro due e non ai tre figli di seconde nozze, spiazzando Barbara, Eleonora e Luigi.
Perchè quella sorta di delega proprio ora, a ridosso della decadenza e della perdita di immunità ?
A quali evenienze l’ex premier pensa di dover far fronte, a che genere di assenze?
La notizia viaggia parallela all’indiscrezione secondo la quale, nel lungo incontro di lunedì notte a Palazzo Grazioli, Vladimir Putin abbia davvero lasciato al padrone di casa e amico di vecchia data un passaporto diplomatico che gli consentirebbe di allontanarsi dall’Italia.
Sebbene il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov due giorni fa abbia bollato come «fesserie» le voci circolate a riguardo.
«Avessi ancora il passaporto me ne andrei ad Antigua, ho sempre casa lì» confidava del resto non più tardi di due settimane fa un Cavaliere sconfortato a pochi intimi. Con loro, da giorni, si abbandona sul divano di Arcore ed elenca quel che si porterebbe in esilio. Sorriso amaro.
«Bene, io vado, vi chiamerò da Mosca» ha scherzato ieri con deputati e senatori venuti a salutarlo dopo il comizio nel “parlamentino” di Palazzo Grazioli.
L’umore era più tetro istanti prima, quando dal Senato è arrivata la notizia della decadenza, il voto finale sul nono ordine del giorno.
Lì sembra abbia accusato il colpo, davanti a Fitto e Gelmini, Verdini e Santanchè, Rossi e Galan, Prestigiacomo e Ronzulli, oltre al medico Zangrillo e alla fidanzata Francesca Pascale ancora con foulard di Forza Italia al collo.
«Vedrete, ci sono dei pm che non vedono l’ora di farsi pubblicità sulla mia pelle per diventare idoli della sinistra» è il primo pensiero nero che esterna ai presenti.
Poi torna a sorridere, «dovrete fare una colletta per portarmi le arance in carcere».
C’è paura, in realtà , e una rabbia che solo in privato sfoga nei confronti del Quirinale. «Allora che dite? Sono stato bravo » chiede il capo rivolto ai deputati dopo il comizio. «No» gli rispondono i più falchi che attendevano l’affondo contro il Colle e contro i «traditori».
«Su Napolitano mi sono imposto di non dire nulla, ma ho fatto uno sforzo» si lascia andare Berlusconi.
Salvo dare mandato loro, prima di imbarcarsi per Arcore, di «far casino » col Quirinale.
I forzisti si riuniscono nella sede di San Lorenzo in Lucina. Ci ragionano su fino a sera inoltrata, qualcuno vorrebbe presidiare il Colle simbolicamente, altri pensano a una fiaccolata.
Alla fine i due capigruppo Romani e Brunetta chiedono di essere ricevuti con una delegazione.
Su “Angelino” invece il Cavaliere glissa.
A chi lo va a trovare in giornata confessa la «delusione: ha chiesto il simbolo a Bocchino, io non lo cito nemmeno, scompariranno come Fini, saranno gli elettori a giudicarli per quel che mi hanno fatto».
Poco dopo, è dalla piazza che lascia salire l’urlo «traditori, traditori», fermandosi ad annuire.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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