IL FOLLETTO CHE UCCIDE
L’OMICIDA DELLA TABACCAIA DIMOSTRA CHE IL BENE E IL MALE CONVIVONO NELLO STESSO AMBIENTE
L’assassino della tabaccaia di Asti ha confessato.
L’uomo che alle prime luci del 4 luglio infilò per quarantacinque volte un coltellaccio nelle carni di una donna inerme non era un drogato, un balordo, un extracomunitario senza fissa dimora, un sicario mafioso, un amante mosso da moventi passionali.
Tutte le caselle in cui siamo abituati a racchiudere «i soliti sospetti» di un delitto efferato per spaventarci, ma un po’ anche per rassicurarci, stavolta rimarranno vuote. L’omicida della signora Fassi è un Folletto di nome e di fatto.
Folletto Pasqualino. Un magazziniere incensurato di mezza età , con la fedina penale immacolata e tre figli da mandare in vacanza non si sa come, visto che l’unico mare in cui la famiglia Folletto tende a sguazzare è quello dei debiti.
Non un delinquente professionista, dunque, e neanche un pazzo.
Un debole.
Non si tratta di un’attenuante, ma di una constatazione.
Magari la società assomigliasse alla mela di Biancaneve, mezza sana e mezza avvelenata, dove basta buttare la parte malata perchè tutto vada a posto.
Il bene e il male convivono nello stesso ambiente, talvolta nella stessa persona. Folletto era entrato dalla tabaccaia senza probabilmente sapere se stava andando a chiedere un prestito o a fare una rapina.
Poi chissà : una parola, il senso di panico, o semplicemente il passaggio dall’idea all’atto, troppo forte per lui.
Nella sua testa si è spenta la luce e il mostro accucciato dentro ogni uomo è uscito dai gangheri per produrre sconquassi.
Avremmo preferito fosse uno dei «soliti sospetti».
E invece la vita si conferma più imprevedibile dei film e dei nostri tentativi di incasellarla in uno schema.
Massimo Gramellini
(da “la Stampa“)
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