IL GOVERNO TIRAPACCHI CHE VUOLE RICORRERE ALLE PRIVATIZZAZIONI: NON MALE PER UN GOVERNO SOVRANISTA E STATALISTA
IL PENOSO TENTATIVO DI TIRARE UN BIDONE ALL’EUROPA, PROMETTENDO DI RIDURRE IL DEBITO CON 18 MILIARDI DI PRIVATIZZAZIONI INESISTENTI
Sono i titoli di coda di un film la cui scena iniziale è stata girata su un balcone.
Era quello di Palazzo Chigi, e la pellicola racconta la storia delle truppe gialloverdi che travolgono la ridotta dell’1,6%, dilagano nella scrittura del Def prima e della legge di bilancio poi, e riempiono di belle promesse e di ti amo per sempre Bruxelles come fosse una fidanzata da tenere buona mentre si va a cena con l’amante.
Che il mood della giornata fosse questo si era capito dalla sprezzante serenità con la quale Matteo Salvini ha approcciato al vertice decisivo.
Jogging e un aperitivo con nebbiolo prima di recarsi al tavolo dove lo aspettavano Giuseppe Conte, Luigi Di Maio e Giovanni Tria. A tema la lettera di risposta all’Europa sulla sonora bocciatura della manovra.
A tema il pressing dei giorni passati del ministro dell’Economia e, sia pur in misura minore, del presidente del Consiglio per dare un segnale concreto agli alleati europei. Sul deficit, fissato al 2,4% ma destinato a salire per previsioni di crescita disallineate a quelle di tutte le principali istituzioni nazionali e internazionali.
O sul saldo strutturale, previsto in netta discesa contrariamente agli impegni assunti dal precedente governo.
Lo svolgimento è stato quello di mandare la trattativa a sbattere contro un muro. Perchè il Consiglio dei ministri seguito al vertice ha prodotto due pannicelli che di caldo hanno ben poco. Il primo è il più classico dei pagherò.
Il governo si è impegnato infatti ad alzare all’1% nell’arco dei prossimi tre anni il già previsto piano di dismissioni.
Che significa? È presto detto: privatizzazioni per un valore totale di 18 miliardi. Come a dire: cara Europa, ora spendiamo tanto, ma state tranquilli, che poi un po’ di soldi li recuperiamo.
Un rientro monstre, futuribile e privo di garanzie, in una modalità che tra l’altro fa a cazzotti con due pilastri costitutivi del governo: il sovranismo della Lega e l’anima pubblicistica del Movimento 5 stelle.
L’uno perchè è nelle cose che in una grande operazione di dismissioni a farla da padrone siano capitali esteri. L’altro perchè l’anima a forte tutela del pubblico del M5s delle origini – e non solo – viene spazzata via con un colpo di spugna dettato da contingenza e opportunismo. Insomma, parole scritte sulle acque di un ruscello, fino a prova contraria. Ruscello che però esonderebbe a travolgere gli argini delle politiche storiche degli alleati di governo.
Il secondo dei due pannicelli di cui si parlava poc’anzi è lo spostamento di circa tre dei 5 miliardi destinati agli investimenti sulle emergenze.
Da un lato è sì vero che l’esecutivo rinuncia a spendere altri soldi in deficit per i disastri ambientali che hanno spazzato l’Italia, non avanzando una richiesta di ulteriore flessibilità .
Ma dall’altro sposta il denaro da un fondo di spesa gradito a Bruxelles per metterlo su un altro su cui nulla avrà comunque da ridire. Senza considerare il fatto che le spese per le zone in emergenza di per sè potrebbero essere conteggiati alla voce investimenti.
Insomma, tutto pur di non toccare il gigantesco fondo da 17 miliardi che assicura reddito di cittadinanza e riforma della Fornero. E la salvaguardia del capitale politico di Di Maio e Salvini.
Il finale di una storia che era iniziata con l’esplosione di gioia un po’ sguaiata dello stato maggiore 5 stelle sul balcone a festeggiare la capitolazione di Tria sull’altare dell’extra deficit.
E che si chiude cupamente, con il portone di Palazzo Chigi che si serra dietro il capo politico sceso per dichiarare a favore di telecamere. Un tonfo dietro l’ultimo maggiorente accorso da Di Maio per un vertice tutto stellato.
Per parlare dei senatori De Falco e Nugnes, che hanno contribuito (mentre il Cdm era in corso) a far andare sotto per la prima volta il governo sul condono di Ischia. E per discutere delle prime espulsioni della XVIII legislatura.
(da “NextQuotidiano”)
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