IL GRANDE INGANNO
L’ILVA NON RISPONDE SUI SOLDI CHE INVESTIRA’ PER LA BONIFICA DELLO STABILIMENTO DI TARANTO
Basta una domanda, e una risposta che non arriva, che la Taranto avvelenata a morte da fumi, diossine e polveri sottili aspetta da anni, per mettere in difficoltà il colosso dell’acciaio, l’Ilva.
Dottor Bruno Ferrante, ci dice quanti soldi investiranno l’Ilva spa e la famiglia Riva per le bonifiche e il risanamento dello stabilimento?
“La domanda è precisa, ma non può avere una risposta altrettanto precisa. Perchè non è ancora chiaro quali misure bisogna adottare e soprattutto chi le deve prendere”. Fine.
Questo sa dire il presidente dell’Ilva (ex vicecapo della Polizia, ex prefetto ed ex candidato del Pd alla carica di sindaco di Milano) a una città in ginocchio.
Nessun riferimento neppure a quei 7 milioni e 200 mila euro che il ministro Clini e il governo indicano come parte dei 336 milioni di investimenti del protocollo per Taranto, messi a disposizione da fantomatici “privati”.
La città era isolata dal resto d’Italia. Sconvolta dai blocchi stradali che fino a notte fonda hanno impedito l’accesso e l’uscita dalle mura, con i nervi a fior di pelle e con migliaia di operai in sciopero.
Certo, l’uomo scelto dalla famiglia Riva per rifare l’immagine all’Ilva, assicura che l’azienda non abbandonerà Taranto, che penserà ai lavoratori, ma manda anche una serie di messaggi alla magistratura e ai giudici del Tribunale del riesame che il prossimo 3 agosto dovranno riconsiderare arresti di manager e vertici dell’azienda e sequestro di parte dello stabilimento. “In questi anni noi abbiamo applicato le norme a nostra conoscenza, la magistratura va oltre le attuali disposizioni legislative. L’Ilva chiede un quadro normativo chiaro”.
Nessuna risposta alle raccapriccianti accuse lanciate in mattinata dal procuratore generale di Lecce Giuseppe Vignola: “L’Ilva mentre di giorno rispettava le prescrizioni, di notte le violava. E ora l’azienda non può limitarsi a fare una imbiancata o interventi di facciata”.
Povera Taranto uccisa da 60 anni di veleni.
Leggete i dati del professor Francesco Forastiere, perito della procura, sulle morti negli ultimi 13 anni per le emissioni dello stabilimento.
Sono 386,30 ogni 12 mesi, il 4% dei decessi.
Numeri, uomini e donne, famiglie in lutto.
E tarantini che di notte guardano terrorizzati i fuochi sprigionati dal mostro.
“Durante le ore notturne si ha l’impressione di assistere a esplosioni che liberano fumo e fiamme in grado di illuminare l’area e i manufatti circostanti”.
Non è un passo tratto da Blade Runner, ma è lo scenario che emerge dalla relazione dei carabinieri del Noe sui veleni dell’Ilva.
E poveri operai. Gli invisibili, li chiamavano. Vittime certe del mondo Ilva, oggi additati come untori.
Si sono ripresi la parola e hanno rivelato verità scomode.
Irrompono nella sede della Fondazione Ilva, zeppa di telecamere e giornalisti, dove Ferrante tiene la sua conferenza stampa e parlano.
“Il 30 marzo (quando gli operai manifestarono contro i magistrati, ndr) ci avete pagato la giornata e i pullman per andare alla manifestazione. Oggi abbiamo scioperato, ma voi avete continuato a produrre, avete fatto 23 colate di acciaio al posto delle solite 18. Che gioco state facendo?”.
Silenzio imbarazzato e fine della conferenza stampa.
Eppure in mattinata gli operai avevano chiesto risposte nette e chiare.
Ottomila di loro alle 7 del mattino erano già nel piazzale dello stabilimento. Sul palco i tre segretari generali di Fiom, Uilm, e Fim. “Governo, istituzioni e Ilva devono prendere decisioni chiare e mandare messaggi netti”, è l’esordio di un Maurizio Landini più volte interrotto dagli applausi. “Noi siamo interessati a continuare a lavorare, ma in condizioni di sicurezza. Noi siamo in prima fila nella lotta per il risanamento ambientale. Cara Ilva, il tempo delle furbizie è finito, diteci quanti soldi volete investire per bonifiche e risanamento”.
Sul piazzale volti di operai giovani di una fabbrica dove il tasso di sindacalizzazione è molto basso.
Solo 5mila iscritti, 3500 della Uilm, 1.300 della Fim-Cisl, 1.100 della Fiom.
E tanta rabbia. Quando parla Rocco Palombelli, sindacalista di queste parti che ha fatto carriera nella Uilm, lo sommergono di fischi.
“Mi ritengono un traditore — ci dice —perchè sono andato a Roma”
. “La nostra rabbia è sacrosanta, qui il rischio è di fare la fine dell’Italsider di Bagnoli, a Napoli: diventare un deserto di disoccupati”, si sfoga un operaio.
“L’Ilva è un corpo senza testa”, ci dice Giovanni Lippolis. “Se fallisce questa fabbrica, in Italia rimane solo Marchionne”, profetizza Mauro Liuzzi.
Mentre parlano con noi le loro parole vengono coperte dagli ordini di un delegato di fabbrica. Si occupa Taranto. “Compagni blocchiamo tutto. Gli operai dei tubifici vanno a Statte. Agglomerati, rivestimenti e appalti, sulla Statale 106…”.
Gli operai sanno cosa fare e dove andare e Taranto si ferma. Lo sciopero è finito alle 7 del mattino, gli “invisibili” dell’Ilva torneranno in piazza il 2 agosto.
Il giorno dopo il Tribunale del Riesame dovrà dire una parola definitiva sugli arresti di Riva padre e figlio, dei manager e soprattutto del sequestro di parte della fabbrica.
Enrico Fierro
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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