IL MONDO DEL LAVORO È CAMBIATO, MA L’ITALIA È ANCORA INDIETRO: ALLE IMPRESE SERVONO 686MILA DIPENDENTI CON “COMPETENZE DIGITALI AVANZATE”, MA PIÙ DELLA METÀ DEI PROFILI È DIFFICILE DA REPERIRE
È CACCIA AGLI ESPERTI DI INTELLIGENZA ARTIFICIALE, CLOUD COMPUTING, ANALISTI DEI DATI, REALTÀ VIRTUALE E AUMENTATA E BLOCKCHAIN
«Alle imprese servono 686 mila lavoratori con «elevate competenze digitali avanzate». Ma
più della metà dei profili richiesti è difficile da trovare. In particolare in alcune Regioni: il Trentino-Alto Adige, il Friuli-Venezia Giulia, l’Umbria e la Toscana. Uno scenario che emerge dai risultati della ricerca “I pionieri dell’Ai” condotta dall’Ufficio studi di Confartigianato
che ha analizzato i dati di UnionCamere, Ministero del Lavoro, Sistema Excelsior e Istat.
Il quadro generale è che due imprenditori su tre hanno un’opinione positiva sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale e dei robot nei luoghi di lavoro. Allo stesso tempo, però, in Italia solo l’11,4% delle aziende con dipendenti lo ha fatto. E sono soprattutto in Lombardia (quasi il 18%), in Lazio, in Campania, in Veneto e in Emilia-Romagna. Un po’ diverso per le piccole medie imprese, che usano l’Ai soprattutto nelle Marche, in Veneto, in Sardegna, in Emilia-Romagna e in Toscana.
Ma se le nuove tecnologie interessano così tanto perché vengono impiegate così poco? Sette aziende su 10 non sanno come farlo. Da qui, la necessità di esperti. […] Il 13% delle imprese ha già assunto figure professionali specializzate in Ai, o intende farlo entro la fine dell’anno.
Ma il 53,5% dei profili è difficile da reperire. È caccia agli esperti di intelligenza artificiale, cloud computing, analisti dei dati, realtà virtuale e aumentata e blockchain. Ecco perché entrano in gioco le università. Che si stanno attrezzando con nuovi corsi di laurea ad hoc mentre intanto inseriscono questa materia all’interno degli insegnamenti che esistono già, “contaminando” i corsi di ingegneria meccanica, biomedica, civile o design.
Il Politecnico di Torino ad esempio quest’anno ha aperto un master di II livello in “Ai: tecnologie, modelli e applicazioni” rivolto proprio a neo-laureati e professionisti che vogliono approfondire le tecnologie più avanzate. Che si aggiunge a un
master dedicato alle “innovazioni e strategie per la trasformazione digitale nelle scelte manageriali” e ad altre tre lauree magistrali.
«Si tratta soprattutto di trasferire alla didattica quello che i nostri docenti fanno già nei gruppi di ricerca – spiega il vice rettore del Politecnico Fulvio Corno – Facciamo vedere che queste applicazioni danno dei risultati concreti».
Eppure, questa transizione resta difficile. Secondo le analisi del Politecnico il problema è che «riescono a beneficiare dell’Ai solo le aziende che negli ultimi dieci anni hanno digitalizzato i propri processi». Prendiamo come esempio l’utilizzo dell’Ai per selezionare il personale. «Si può fare solo se l’impresa ha già trasferito a livello digitale tutti i curricula e le necessità di assunzione di cui ha bisogno» spiega Corno.
Ecco perché in un Paese in cui la transizione digitale non è ancora completa è difficile pensare di utilizzare l’intelligenza artificiale in tutti gli ambiti. A oggi le imprese che usano queste tecnologie lo fanno soprattutto per la gestione economica e per il marketing, la promozione digitale, l’e-commerce. Pochissimi invece le sfruttano per organizzare e gestire le risorse umane o nella logistica. Ma gli ambiti di applicazione sono tantissimi.
All’Università di Torino, per esempio, esiste una laurea magistrale sull’Ai applicata agli aspetti medici, mentre l’anno prossimo ne partirà un’altra che punterà sulle tecniche di prossima generazione. Anche qui, però, parte tutto dai dati. «Ecco perché dobbiamo lavorare su dati nuovi creando problemi nuovi, in collaborazione con le aziende del territorio – spiega
Marco Aldinucci, delegato per l’intelligenza artificiale dell’Università – Come ateneo vorremmo aiutare le aziende a pensare a un piano per futuro, per guardare l’Ai per come sarà, e non solo per com’è oggi».
Non semplice, siccome appunto il 70% delle imprese non sa come affrontare questo cambiamento nell’immediato. «Perché l’Ai sta crescendo e diventando un oggetto sempre più complesso e costoso – continua Aldinucci – se usato bene migliora la produttività, se usato male peggiora la qualità dei servizi. Servono grandi investimenti e persone dedicate, con grosse competenze». I giovani questo lo capiscono molto bene. Tant’è che il settore sta raccogliendo sempre un maggiore interesse.
(da agenzie)
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