IL NUOVO GOVERNO DI SEBASTIEN LECORNU GIÀ PERDE PEZZI: SIA LA DESTRA CHE LA SINISTRA NON MANDERANNO MINISTRI NEL NUOVO ESECUTIVO E ANCHE TRA I CENTRISTI IL MALUMORE È DIFFUSO
DOMANI IL PREMIER FRANCESE DOVRÀ PRESENTARE LA FINANZIARIA: PER EVITARE LA SFIDUCIA GIÀ ANNUNCIATA DAL RASSEMBLEMENT NATIONAL E LA FRANCE INSOUMISE, LECORNU HA BISOGNO DEL VOTO DEI SOCIALISTI
Il nuovo governo di Sébastien Lecornu non è ancora nato ma perde già pezzi. Dopo la clamorosa riconferma, arrivata pochi giorni dopo le sue dimissioni, sia la destra che la sinistra hanno ufficializzato che non manderanno ministri nel nuovo esecutivo. E anche tra i centristi il malumore è diffuso. Molti vedono nella decisione di Emmanuel Macron l’ennesima forzatura, segno di un potere presidenziale sempre più isolato.
Sulla composizione del futuro governo, Macron avrebbe concesso «carta bianca» al premier redivivo, incoraggiandolo a scegliere profili tecnici per evitare veti incrociati. Lecornu ha
spiegato di volere ministri «senza ambizioni presidenziali», assicurando che lui per primo non si candiderà all’Eliseo nel 2027. Il premier ha invitato le forze politiche a «porre fine allo spettacolo ridicolo» degli ultimi giorni. Ma il divorzio con i Républicains è ormai consumato.
Il partito di destra, che aveva partecipato agli ultimi tre governi, ha deciso di chiamarsi fuori. Bruno Retailleau, presidente dei Républicains, lascerà quindi il ministero dell’Interno. Anche il presidente del Senato, Gérard Larcher, figura di peso della destra, sostiene la linea della non partecipazione al governo Lecornu bis. Diversa la posizione di Laurent Wauquiez, capogruppo dei deputati dei Républicains, che spinge invece per un accordo con il premier, temendo un ritorno alle urne.
La destra si dice pronta comunque a sostenere alcuni provvedimenti essenziali «in modo responsabile», ponendo però una linea rossa invalicabile: la difesa della riforma delle pensioni del 2023, che ha portato l’età pensionabile da 62 a 64 anni. È su questo punto che l’equilibrio diventa quasi impossibile. Per evitare la sfiducia già annunciata dal Rassemblement National e la France Insoumise, Lecornu ha bisogno dell’astensione dei socialisti.
Ma per Olivier Faure, segretario socialista, la sfiducia sarà «immediata» se la riforma non verrà sospesa. All’Eliseo si lascia intendere che Macron sarebbe disposto a riaprire il dibattito parlamentare, prendendo in considerazione l’ipotesi avanzata dal sindacato riformista Cfdt, che propone di rinviare di un anno, al
2028, l’entrata in vigore della legge.
Domani il premier dovrà presentare la finanziaria, termine ultimo previsto dalla Costituzione. Lecornu ha chiesto ai partiti di superare le divisioni e approvare il testo entro fine anno, per riportare sotto controllo il deficit pubblico
Lecornu ha già fissato come obiettivo la riduzione del deficit tra il 4,7% e il 5% del Pil nel 2026, un livello superiore al 4,6% fissato dal predecessore François Bayrou. Ma dopo il via libera del consiglio dei ministri, dovrà affrontare le forche caudine del parlamento. Nei prossimi giorni però la mozione di sfiducia potrebbe arrivare in parlamento
L’esito è appeso a pochi voti, in una Assemblée Nationale dove la base centrista di Macron appare sempre più fragile. L’ex premier Édouard Philippe si è apertamente smarcato dal capo dello Stato, suggerendo che le dimissioni del presidente sarebbero «l’unica soluzione alla crisi politica». Ancora più simbolica è la traiettoria di Gabriel Attal, leader di Renaissance, il partito presidenziale, che ha rotto con Macron, accusandolo di essere «incapace di condividere il potere» e di «rifiutare ogni compromesso politico».
(da La Repubblica)
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