IL PIANO DELLA PREMIER: NEUTRALIZZARE I QUESITI SU AUTONOMIA E IUS SOLI
METTERE LE MANI ANCHE SULLA CONSULTA PER ORIENTARE LE DECISIONI POLITICHE: ORMAI SIAMO SULLA STRADA DI ORBAN
Mettere le mani sulla Consulta. Sovvertirne gli equilibri, spostarli a destra, per orientare le decisioni politicamente più sensibili. Annacquare l’autonomia fin dal pronunciamento sul testo approvato in Parlamento previsto per novembre, senza affossarlo del tutto.
Smontare i quesiti referendari sulla riforma leghista che saranno esaminati invece all’inizio del 2025. Obiettivo finale: blindare il premierato, quando un giorno diventerà legge.
Il piano di Giorgia Meloni suona molto trumpiano, imita le mosse del tycoon sulla Corte suprema
La premier immagina di ricalibrare la composizione della Consulta. Il primo atto di questa strategia passa proprio da un blitz per eleggere il suo consigliere giuridico a Palazzo Chigi. Il secondo, a dicembre, punta ad assicurarsi due dei tre giudici in scadenza.
Ecco perché la fuga di notizie sulla scelta di Francesco Saverio Marini è stata disastrosa per Palazzo Chigi: ha privato l’operazione dell’effetto sorpresa e ha impedito ai grillini di donare voti nel segreto dell’urna. E ha spinto Meloni ad accarezzare l’idea di una resa dei conti.
I cattivi pensieri generano mostri nella corte meloniana. Al mattino, una task force di pretoriani inizia a scandagliare le modalità con cui sono stati memorizzati nomi nella “chat delle talpe”. Quella, per intenderci, degli «infami» (la definizione è della premier) che hanno appunto svelato — e forse rovinato — il colpo a sorpresa su Marini. Screenshot alla mano, i solerti investigatori notano un dettaglio: sono in pochi a potersipermettere il lusso di memorizzare la premier come “Giorgia” (anche rinominandola adesso, la dicitura resta indelebile nelle conversazioni del passato). E ancora: è strano che la sottosegretaria Wanda Ferro sia indicata con la V. E poi i colori dei nomi su WhatsApp, diversi per ciascun iscritto al gruppo: basterebbe confrontarli. I più accaniti si spingono oltre, sognano una prova di fedeltà che suona più o meno così: cellulare sul tavolo e vediamo chi può dirsi innocente. Un po’ tattica, un po’ bluff per compattare le truppe.
Cattivi pensieri, dicevamo. Come quelli in cui è tornata a crogiolarsi Meloni, prendendo atto del possibile fallimento del blitz. Dice, riferiscono, che così non si può andare avanti. Che è stufa (lo sostiene in modo meno diplomatico, ma il senso è quello). Annuncia riflessioni che precedono reazioni drastiche. «Posso portare tutti al voto — è il senso dei suoi ultimi ragionamenti — e dico anche che forse mi conviene ».
È la tentazione del reset che ritorna. C’è tattica e voglia di fuga. E problemi fin troppo concreti: una legge di bilancio amara da approvare, previsioni di crescita riviste al ribasso, enormi incognite internazionali. Con un’aggravante: se fallisce l’operazione Consulta, il governo rischia davvero di traballare.
Sull’autonomia, innanzitutto. Il 12 novembre la Corte si esprimerà sulla legittimità costituzionale della legge. Una bocciatura farebbe saltare i nervi alla Lega, mentre un ridimensionamento della riforma verrebbe vissuto con favore da Palazzo Chigi. Portare a destra gli equlibri aiuterebbe a dissolvere l’incubo di Meloni: il referendum sull’Autonomia.
Se la riforma superasse il primo vaglio sul merito della legge, la Consulta si pronuncerebbe a inizio 2025 sui quesiti. Poco prima, a dicembre, la destra proverà ad eleggere altri due giudici in scadenza, indicati nel 2015 dalla sinistra. Senza dimenticare che dalla Corte passerà anche il referendum sulla cittadinanza, in grado di compattare i nemici della premier
Per Meloni, la battaglia finale si giocherà sul premierato. L’ordine di Palazzo Chigi su questa riforma è stato: non correre. L’eventuale referendum arriverà nel 2026. Qualche giorno fa, incrociando un esponente del centrodestra, la premier si è lasciata andare contro il solitodeep state che mirerebbe ad affossarla. Se bisognerà sfidare il Quirinale, è il ragionamento, andrà fatto quando si avvicinerà la fine della legislatura. Per ridurre gli effetti nefasti di uno scontro col Presidente.
(da La Repubblica)
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