IL RETROSCENA DEL NO ALLE OLIMPIADI: MONTI TEMEVA L’ESPLOSIONE DELLE SPESE FINO A 30 MILIARDI
“CON I GIOCHI SI FA LA FINE DELLA GRECIA”: IL TIMORE PER IL RITORNO DELLA CRICCA E LE POSSIBILI CONSEGUENZE INTERNAZIONALI
Le “cricche” d’affari romane, lo spettro del default greco, la vaghezza del piano, il rischio di una guerra diplomatica al termine dalla quale, alla fine, l’Italia sarebbe finita distrutta come un vaso di coccio.
Sono molte le ragioni che hanno spinto Mario Monti a pronunciare il suo “no” a Roma Olimpica, nonostante la riunione del Consiglio dei ministri abbia visto un inedito e acceso “uno contro tutti”, con la maggioranza dei presenti – in testa Corrado Passera, Corrado Clini, Piero Gnudi e Filippo Patroni Griffi – decisi a pronunciarsi a favore. Niente da fare, per Monti l’Olimpiade di Alemanno restava “un salto nel buio”.
“Io non ho davvero capito perchè devono essere i governi a dare questa garanzia finanziaria illimitata. Me lo spiegate?”, ha chiesto agli affranti Petrucci, Pescante e Letta che erano andati a implorare per l’ultima volta un “sì”.
In realtà erano settimane che, più approfondiva la questione e più Monti si convinceva dei rischi eccessivi legati all’operazione.
Raccontano che persino sull’aereo che da New York lo riportava in Italia il premier abbia studiato il dossier della commissione Fortis su Roma 2020.
Ma più leggeva, appunto, e più i dubbi crescevano.
Lievitazione dei costi, procedure senza garanzie. Con il rischio di finire di nuovo nell’incubo dei mondiali di nuoto 2009, in mano a una filiera tipo quella Anemone-Balducci, con qualche furbo a procacciare affari e lo Stato a pagare conti salatissimi.
Incontrando a Londra il primo ministro David Cameron, Monti a gennaio era stato messo in guardia in maniera sorprendente: “Faccia attenzione – gli aveva detto il collega inglese – e non dia troppo retta agli studi. Con le Olimpiadi di Londra noi avevamo persino creato un’autorità ad hoc per controllare gli appalti, ma alla fine le spese sono raddoppiate”.
La previsione di palazzo Chigi, rispetto a un budget iniziale tra i 9 e gli 11 miliardi, era di un bilancio gonfiato nel 2020 fino a trenta miliardi.
Una cifra mostruosa, da bancarotta. “Proprio come è successo ad Atene – ha spiegato Monti in Consiglio dei ministri – e lì è stato l’inizio della fine”.
Ma il ministro Giulio Terzi, che come un’ombra ha seguito Monti negli Usa, gli ha prospettato anche i risvolti geo-politici di una candidatura italiana gettata aggressivamente sul tavolo.
La Germania infatti sostiene le ambizioni turche su Istanbul 2020.
Scombinare i piani di Merkel, mettere un dito nell’occhio alla Turchia, proprio mentre l’Unione europea e gli Usa stanno cercando di tenere ancorata Istanbul all’Occidente, avrebbe creato frizioni importanti.
Anche la candidatura di Doha è molto forte e il Qatar, finanziariamente potente, è deciso a imporsi a ogni costo.
Così il Giappone, già battuto per l’edizione 2016.
“C’è il pericolo – ha confidato il premier – che possa montare una campagna per screditarci, per mettere in dubbio la solidità del risanamento finanziario. Ci sono importanti interessi in gioco, temo colpi bassi. E i mercati non ci perdonerebbero un passo falso”.
Sarebbe una scelta azzardata in un momento, oltretutto, in cui l’Italia ha bisogno di coltivarsi alleati in Europa più che farsi altri nemici.
Un ragionamento simile andrebbe applicato anche alla debolissima Spagna.
Tanto che Monti, di fronte alla candidatura di Madrid, in privato si è detto “meravigliato” per la scelta di Mariano Rajoy.
La cosa che, invece, ha preoccupato di meno il premier è stata la reazione del mondo politico. Napolitano era stato avvertito il giorno prima per telefono che l’orientamento era negativo.
Il “no” era scontato. Fabrizio Cicchitto ieri pomeriggio ha sussurrato a un amico in Transatlantico: “Lo sapevamo anche noi”.
Non sembra che il Pdl – a parte un drappello di amici del sindaco Alemanno – sia intenzionato a farne un dramma, al di là delle dichiarazioni di circostanza.
Nemmeno Pd e Terzo Polo si sono messi di traverso.
Del resto in Parlamento si sapeva da tempo che Monti fosse contrario.
“La prima volta che Monti si decide a incontrare il comitato organizzatore di Roma 2020 – racconta un ex ministro del Pdl – è stata dopo le feste di Natale: se ne andò a metà riunione e lasciò Catricalà a discutere con Petrucci, Letta e Pescante. Tirava già una brutta aria”.
Francesco Bei
(da “La Repubblica”)
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