IMPRESE, AUTO E CLIMA: L’UE STA DAVVERO SMANTELLANDO IL GREEN DEAL?
COME LA UE LO HA MODIFICATO
Da almeno 30 anni il consenso scientifico è unanime: i cambiamenti climatici sono rapidi,
distruttivi e causati in gran parte dalle attività umane. Le emissioni di CO2 generate dai combustibili fossili restano la causa principale e ridurle è un imperativo. Nel 2023 le perdite economiche globali dovute a eventi estremi hanno raggiunto i 380 miliardi di dollari, più 22% rispetto alla media del XXI secolo. Solo alla Ue quest’estate siccità, ondate di calore ed eventi estremi sono costati 43 miliardi di euro, 12 all’Italia. Per questo nel 2019 l’Unione europea lancia il Green Deal, un pacchetto di misure accompagnato da un piano di investimenti da 1.000 miliardi che impegna tutti i 27 Paesi ad abbattere le emissioni di gas serra per raggiungere la neutralità climatica, primo continente al mondo, entro il 2050. Progetto troppo ambizioso per alcuni, troppo poco per altri, ma di fatto la strategia pensata per favorire la transizione ecologica è sostenuta da quasi tutti gli schieramenti
politici, anche quelli tradizionalmente vicini all’industria. In questi sei anni, come sappiamo, è cambiato il mondo, e nella morsa cresce il consenso per i leader politici che vorrebbero far saltare la riforma. La seconda presidenza von der Leyen prende atto e la Commissione Ue presenta i pacchetti Omnibus che riducono gli oneri amministrativi delle imprese e allentano alcune delle norme principali. Vediamole.
Sostenibilità e obblighi aziendali
La direttiva sulla rendicontazione della sostenibilità aziendale (CSRD) impone alle imprese di rendere pubblici agli investitori i dati su emissioni di CO2, gestione dei rifiuti, sicurezza sul lavoro, parità di genere, condizioni contrattuali, trasparenza fiscale ecc. La proposta della Commissione, modificata dal Commissione Affari giuridica del Parlamento europeo, prevede che i requisiti della CSRD si applichinosolo alle grandi imprese con più di 1.000 dipendenti e un fatturato netto di almeno 450 milioni di euro. Per tutte le altre la rendicontazione resterà facoltativa. Rispetto alla norma originaria, il 90% delle aziende sarà esentato.
La direttiva sulla due diligence aziendale (CSDDD) obbliga le grandi imprese europee e internazionali a controllare il rispetto delle normative ambientali e dei diritti umani su tutta la catena dei fornitori e, se necessario, adottare misure concrete nei confronti dei partner commerciali che non rispettano questi standard. Con le modifiche apportate, la norma si applicherà dal 2028 solo alle società con almeno 5 mila dipendenti e 1,5 miliardi di fatturato. Le aziende saranno obbligate ad attivare la due diligence solo quando esiste un rischio concreto di
violazione delle norme nelle attività dei partner commerciali. Infine, è stata eliminata la responsabilità civile a livello Ue: le imprese inadempienti potranno essere perseguite o sanzionate solo ai sensi delle leggi degli Stati membri, che potranno applicare multe non superiori al 5% del loro fatturato globale. Nei mesi scorsi la direttiva sulla due diligence è stata molto criticata dall’amministrazione Trump per gli «oneri significativi» imposti alle aziende americane, mentre Darren Woods, ceo di Exxon Mobil, ha dichiarato che i cambiamenti decisi dalla Commissione non bastano e ha chiesto la revoca della legge.
Carbon tax e deforestazione
La carbon tax sulle importazioni extra-Ue di beni energivori (CBAM) come acciaio, cemento e fertilizzanti entrerà in vigore nel 2026. In origine imponeva a tutte le imprese importatrici di versare la tassa per evitare di ottenere un vantaggio competitivo comprando dalla Cina a basso costo prodotti ottenuti utilizzando fonti molto inquinanti. Il calcolo della tassa era in proporzione alle emissioni di CO2 nella fase di produzione. Ora, invece, le modifiche proposte della Commissione e approvate da Parlamento e Consiglio Ue, introducono una soglia minima di 50 tonnellate di CO2 all’anno. In questo modo oltre il 90% degli importatori, circa 182.000 piccole e medie imprese, saranno esentati.
Il Regolamento sulla Deforestazione (EUDR) obbliga le aziende a garantire che i prodotti importati come legno, cacao, soia, olio di palma, carne, ecc. non provengano da terreni deforestati dopo il 31 dicembre 2020. Le imprese che non rispettano la normativa potrebbero incorrere in sanzioni fino al 4% del loro fatturato
nella Ue. L’obbligo doveva scattare già lo scorso dicembre, ma è stato rimandato di 2 anni. Proroga chiesta da 18 Paesi, tra i quali l’Italia. Secondo la Commissaria europea per l’ambiente Jessika Roswall lo slittamento sarebbe dovuto a problemi riscontrati sulla piattaforma informatica che deve gestire il monitoraggio e l’applicazione della norma.
Emissioni auto, greenwashing e legge sul clima
Il Regolamento sulla riduzione delle emissioni auto (2019/631) stabilisce che per i veicoli immatricolati dal 2025 il limite medio di emissioni è di 93,6 grammi a chilometro rispetto ai 115,1 del periodo 2020-2024. Le sanzioni previste: 95 euro per ogni g/km in eccesso. A causa della crisi che ha colpito il settore europeo, la Commissione ha concesso alle case automobilistiche una proroga fino alla fine del 2027 per adeguarsi agli obiettivi di riduzione. Non è invece ancora chiaro quale sarà il destino dello stop all’immatricolazione, a partire dal 2035, delle auto con motore alimentato a benzina o diesel. Il 10 settembre, nel discorso sullo stato dell’Unione, la presidente Ursula von der Leyen ha ribadito che il futuro dell’automotive è elettrico. Pochi giorni dopo, però, alla Conferenza organizzata proprio dalla Commissione europea, Mario Draghi ha evidenziato come gli obiettivi fissati si fondino su ipotesi che non sono più valide, perché «il mercato dei veicoli elettrici è cresciuto più lentamente del previsto e l’innovazione europea è rimasta indietro».
La direttiva Green Claims (2024/825) punisce il greenwashing, ovvero le aziende che si spacciano per sostenibili quando non lo sono. La norma è stata sospesa dalla Commissione europea lo scorso giugno dopo che una serie di Stati, Italia inclusa, avevano
sottolineato come i requisiti fossero troppo onerosi per le piccole e medie imprese.
La legge sul clima (Regolamento 2021/1119) presentata dalla Commissione a luglio vincola gli Stati a ridurre del 90% le emissioni nette di gas serra entro il 2040. Poiché questo obiettivo è considerato eccessivo da numerosi Paesi sono stati aggiunti elementi di flessibilità: fino a 3 punti percentuali della riduzione di CO2 possono essere raggiunti con i crediti di carbonio derivanti da progetti ambientali certificati in Paesi terzi. In pratica si può raggiungere il target finanziando progetti di riforestazione, parchi eolici o centrali fotovoltaiche fuori dalla Ue. Alcuni Paesi, come Italia, Francia e Polonia, considerano l’obiettivo del 90% ancora troppo ambizioso e al prossimo Consiglio Ue del 23 ottobre i leader si confronteranno per trovare un compromesso.
Agricoltura, i passi indietro
Passi indietro sul Green Deal erano stati fatti già durante il primo mandato von der Leyen all’indomani della rivolta degli agricoltori. A febbraio 2024 la Commissione aveva ritirato il Regolamento che puntava a dimezzare l’uso dei pesticidi entro il 2030, annacquato la legge sul Ripristino della natura ed escluso dalla direttiva sulle emissioni industriali gli allevamenti intensivi dei bovini (QUI, DATAROOM 12 FEBBRAIO 2024). In aggiunta lo scorso maggio, con il terzo pacchetto Omnibus, la Commissione ha presentato una serie di misure che, oltre a ridurre il carico amministrativo per le piccole e medie imprese del settore, dovrebbero far risparmiare agli agricoltori fino a 1,6 miliardi di euro l’anno.
30 anni di politiche ambientali: i risultati
«In pochi mesi von der Leyen ha smantellato il Green Deal», questa è stata la reazione agli aggiustamenti al ribasso. Reazione sdegnata da parte di chi pensa che stiamo facendo troppo poco, ed entusiasta per quelli che considerano il modello sostenibile insostenibile. Per la Commissione invece era più semplicemente necessaria una «semplificazione» per scongiurare il declino dell’industria europea. E per rilanciare la competitività a febbraio è stato presentato il Clean Industrial Deal: 100 miliardi di incentivi alle imprese che nei processi produttivi adottano energie rinnovabili. La scommessa è dimostrare che l’industria verde possa anche risollevare le sorti delle aziende europee riducendo i costi energetici.
Tirando le somme: il Green Deal è stato effettivamente diluito, ma l’impianto originale resta. Almeno per ora. Certo non aiutano le dichiarazioni di Trump all’Onu: «Il riscaldamento climatico è un imbroglio inventato da persone malvagie». Le persone secondo lui malvagie sono i 644 scienziati indicati da 111 Paesi del Gruppo intergovernativo (IPCC) fondato nel 1988 dall’Organizzazione meteorologica mondiale e dal programma Onu per l’ambiente, con l’obiettivo di fornire ai governi valutazioni scientifiche.
E per chi si ostina a dire che sporcare meno serve a poco e fa crollare l’economia, val la pena ricordare due dati: le politiche ambientali che noi europei abbiamo avviato per primi a partire dagli Anni ’90 hanno portato nella Ue una riduzione delle emissioni di CO2 del 37%. Nello stesso arco di tempo, si legge dai dati di Banca mondiale, il Pil è cresciuto del 68%.
Milena Gabanelli e Francesco Tortora
(da corriere.it)
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