IN DECINE DI MIGLIAIA CERCANO IL VIDEO DELLO STUPRO DI PALERMO SU TELEGRAM: CHI ENTRA NELLE CHAT E LO CONDIVIDE RISCHIA DA UNO A SEI ANNI DI CARCERE
DECINE DI GRUPPI DI MALATI MENTALI SFIGATI ALLA CACCIA MORBOSA DEL FILMATO DELLA VIOLENZA… ASPETTIAMO DI VEDERLI ELENCATI CON FOTO, NOMI E COGNOMI SUI GIORNALI, IN MODO CHE MOGLI, MADRI, FIDANZATE E COLLEGHI DI LAVORO POSSANO RENDERSI CONTO DELLA MERDA UMANA CON CUI HANNO A CHE FARE
“Per alcune delle attività che dobbiamo svolgere sulle piattaforme, abbiamo la necessità della loro collaborazione perché sono loro a detenere i dati dei loro utenti. La collaborazione si è sviluppata nel corso del tempo, ed è strutturata, con alcune di queste piattaforme, mentre è più recente, con altre. Mi chiede di Telegram, una piattaforma che fino a poco tempo fa non condivideva informazioni con le forze dell’ordine mentre recentemente ha modificato tale policy, quando si procede per reati molto gravi, come terrorismo o pedopornografia. Ricordiamo comunque come tutte le piattaforme, in regime di autotutela, nel momento in cui rilevano autonomamente contenuti illeciti, ne dispongono l’immediata rimozione.
A spiegarlo è Barbara Strappato, direttrice della Prima divisione della Polizia postale – che interviene sulla caccia al video sullo stupro di Palermo diffuso nelle chat di Telegram – e aggiunge: «Ma non sempre l’immediata rimozione del video rappresenta un’urgenza (come per esempio nelle immagini che riguardano le immagini con minori), altre volte lasciare il video in rete è strategico perché ci può aiutare nelle attività di approfondimento investigativo che svolgiamo. Insomma, la polizia postale potrebbe avere altri obiettivi, pur continuando a effettuare il monitoraggio al fine di «capire cosa succede in un gruppo», Insomma, anche se i gruppi non vengono chiusi immediatamente è possibile che la vigilanza della polizia sia già attiva. Anche perché, se mai dei video o delle immagini della violenza dovessero essere diffuse davvero, scatterebbe il reato.
Quand’è che si delinea un reato on line
«Chi condivide un materiale illecito, a prescindere dalla piattaforma, commette un reato. Non solo per chi pubblica per primo, ma anche per chi condivide e inoltra, insomma lo fa circolare, che sia sulla stessa piattaforma o altrove». E l’anonimato, non è mai garantito. Soprattutto quando si parla di fatti particolarmente gravi».
La procedura, spiegano alla polizia postale può essere lunga e laboriosa, ma alla fine si arriva a individuare chi l’ha postato per primo e chi l’ha condiviso
Pene uguali anche per chi «condivide»
Un altro errore comune è ritenere che chi ha postato per primo il contenuto sia punibile con pene più severe rispetto a chi in un secondo tempo condivide a ruota il contenuto. La gravità del reato è considerata la stessa.
In ogni caso, la sola partecipazione ai gruppi in cui vengono condivise informazioni personali altrui senza il consenso dei protagonisti – in termini tecnici si tratta di «doxxing» – può comportare gravi problemi.
Il consiglio? «Da una parte – dice Barbara Strappato – dovremmo limitare il più possibile le informazioni personali che ci rendono soggetti vulnerabili online. Dall’altra, per proteggere la privacy noi possiamo intervenire. Per qualunque informazione che non sia facilmente reperibile con una rapida ricerca online, può integrare la fattispecie di reato. E comunque, si può sempre richiedere la rimozione del dato sensibile, perché il Garante della privacy ha anche queste competenze».
Lo «stupro di gruppo a Palermo» e quell’attenzione morbosa
Sono nate chat specifiche, con decine di migliaia di iscritti, nate proprio per diffondere il video dello stupro di Palermo: una violenza sessuale ai danni di una ragazza di 19 anni, per il quale sono stati già stati interrogati davanti al giudice sette ragazzi. In questi giorni su Telegram si sono moltiplicati i gruppi con nomi espliciti.
L’allarme del Garante
Il Garante per la privacy mette in guardia sulle conseguenze, anche di natura penale, della diffusione e condivisione dei dati personali della vittima dello stupro di Palermo e dell’eventuale video realizzato. L’Autorità – con due provvedimenti d’urgenza – ha rivolto un avvertimento a Telegram e alla generalità degli utenti della piattaforma, affinché venga garantita la necessaria riservatezza della vittima, evitando alla stessa un ulteriore pregiudizio connesso alla possibile diffusione di dati idonei a identificarla, anche indirettamente, in contrasto, peraltro, con le esigenze di tutela della dignità della ragazza. Il Garante ricorda che la diffusione e la condivisione del video costituiscono una violazione della normativa privacy, con conseguenze anche di carattere sanzionatorio, ed evidenzia i risvolti penali della diffusione dei dati personali delle persone vittime di reati sessuali (art. 734 bis del codice penale).
(da agenzie)
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