IN ITALIA IL 57% DEI DIPENDENTI PUBBLICI E PRIVATI SI RITROVA CON IL CONTRATTO SCADUTO, SPESSO DA ANNI (QUELLI DEL COMMERCIO ASPETTANO IL RINNOVO DAL 2019). IL CHE VUOL DIRE UN CROLLO DEL POTERE D’ACQUISTO
LA CRESCITA DELLE RETRIBUZIONI AIUTEREBBE I CONSUMI, CHE AL MOMENTO SONO L’UNICO MOTORE DELL’ECONOMIA. MA LE AZIENDE RESISTONO… L’APPELLO DEL GOVERNATORE DI BANKITALIA PANETTA: “È IL MOMENTO DI AUMENTARE GLI STIPENDI”
Il contratto del commercio, che definisce le buste paga di oltre 3 milioni di lavoratori italiani, è scaduto da quattro anni, 31 dicembre 2019. Viene dal mondo di prima: prima della pandemia, dei lockdown, della riapertura, dell’Ucraina, dell’inflazione senza precedenti che ha eroso il potere d’acquisto dei salari.
L’anno scorso, aspettando il rinnovo Godot, i dipendenti di negozi e supermercati hanno ricevuto 350 euro di una tantum e un mini aumento in busta paga di 30 euro lordi. Un pannicello caldo, rispetto a quanto il caro prezzi si è mangiato.
Il commercio è l’esempio più eclatante di come i ritardi nei rinnovi dei contratti frenino la ripresa dei salari in Italia, rispetto agli altri Paesi europei. Ma non l’unico. A dicembre secondo l’Istat – che monitora 73 tra gli accordi più rappresentativi – ben 29 erano in attesa di rinnovo, lasciando scoperto il 52,4% dei dipendenti pubblici e privati. Valore che sale al 57% nei calcoli del Cnel, che raccoglie l’intero universo dei contratti e lo scorso luglio ne contava 553 scaduti su 976 per il solo settore privato, quasi 8 milioni di lavoratori.
Il tempo medio tra scadenza e rinnovo, per tutti, è di 32 mesi, più di due anni e mezzo. In questa media sconfortante, le differenze tra i settori ci sono e rendono evidente il legame tra rinnovi e tenuta delle retribuzioni. Nel pubblico tutti i contratti sono scaduti. A metà del 2022 – paradosso emblematico – è stato firmato l’accordo per il periodo 2019-2021. Un rinnovo “ex post”, ma che ha comunque portato i salari degli statali a crescere più di quelli del privato, dopo anni piatti. E un’ulteriore spinta alle buste paga, a dicembre, l’ha data l’erogazione anticipata dell’indennità di vacanza, 70 euro lordi al mese.
Nel privato invece c’è un enorme divario tra industria e i servizi. Nella prima a dicembre risultavano in attesa di rinnovo solo il 7,5% dei contratti, nei secondi il 63%. Una delle ragioni per cui i salari della manifattura hanno retto meglio: 4,5% l’aumento a dicembre rispetto allo stesso mese del 2022 – non lontano dal valore generale europeo – , contro il 2,4% dei servizi, nonostante nella loro media entri il generoso rinnovo dei bancari.
n soldoni, significa che mentre per i colletti blu una parziale ripresa del potere d’acquisto è iniziata, non così nel terziario. Questo non vuol dire che i prossimi rinnovi dell’industria saranno facili, considerato che dopo la ripresa dorata ora la produzione flette.
Sabato il governatore di Bankitalia Panetta ha detto che è “fisiologico” che i salari salgano e che un «qualche» recupero del potere d’acquisto perso sosterrebbe anche la crescita italiana. Il legame è evidente. Tra i vari “motori” del Pil i consumi hanno recuperato con più difficoltà i livelli pre pandemia.
Ma ora che gli investimenti sono in discesa e l’export non tira, restano l’unico traino della magra crescita prevista quest’anno, sette decimi nelle stime di Bankitalia. Salari più alti, quindi più consumi, è un circolo che in teoria dovrebbe convenire anche alle imprese, che devono pur sempre vendere agli italiani.
E sempre in teoria i buoni profitti degli ultimi mesi danno loro spazio per assorbire qualche aumento, “redistribuendo” così ai dipendenti i costi di un’inflazione da cui loro si sono difese alle grande. In pratica, in questa congiuntura debole, le resistenze saranno tante. E visto che per le imprese anche rinviare va bene, la ripresa dei salari rischia di restare lontana da un pieno recupero.
(da La Repubblica)
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