INCHIESTA SULLE ONG E GIORNALISTI INTERCETTATI, ORA LA PROCURA PROMETTE DI DISTRUGGERE QUELLE IRRILEVANTI, MA ORMAI SONO STATE DIFFUSE
IN SPREGIO ALLA LEGGE SULLE INTERCETTAZIONI IL MATERIALE ERA STATO DEPOSITATO E RESO ACCESSIBILE… IL MAGISTRATO CHE LE HA AUTORIZZATE ORA E’ IN PERU’
In Italia, dal primo settembre del 2020, è in vigore una legge molto severa sulle intercettazioni. Quella messa a punto dall’ex Guardasigilli Andrea Orlando e alla fine varata dal suo successore Alfonso Bonafede. È una legge che impone ai pm di trascrivere solo le intercettazioni effettivamente rilevanti.
Le altre invece devono finire in un armadio blindato le cui chiavi sono in mano al procuratore. Nessuno può conoscerle, né tantomeno pubblicarle. Sono stati i procuratori a chiedere che questa legge fosse applicata solo alle nuove inchieste partite dopo settembre 2020, e non a quelle già in corso.
Ma lo spirito della nuova legge – di cui si è discusso per tre anni – dovrebbe obbligare ugualmente i magistrati a un uso attento e mirato delle intercettazioni, soprattutto in vista di una possibile diffusione.
Stupisce, proprio per lo spirito di questa legge, quanto è avvenuto a Trapani. Dove non solo la procura – e vedremo quando e per quanto tempo – ha intercettato direttamente la giornalista Nancy Porsia, freelance e collaboratrice di Repubblica e dell’Espresso, perfino quando parlava con Alessandra Ballerini, l’avvocata della famiglia Regeni.
Ma indirettamente, perché erano intercettati i loro referenti, ha ascoltato anche altri sei giornalisti: Nello Scavo, Sergio Scandura, Francesca Mannocchi, Antonio Massari, Claudia Di Pasquale e Fausto Biloslavo.
In spregio allo spirito della legge sulle intercettazioni, tutto questo materiale è stato integralmente depositato con la chiusura dell’indagine. Provocando la collera della Federazione nazionale della stampa e dell’Ordine dei giornalisti. Nonché di molti parlamentari che si sono rivolti alla Guardasigilli Marta Cartabia. La quale, a questo punto, ha incaricato i suoi uffici di capire cos’è successo alla procura di Trapani mentre dal 2016 indagava sulla nave Juventa, proprietà di una Ong tedesca, posta sotto sequestro nel porto di Trapani perché accusata di concordare i soccorsi con i trafficanti.
Perché i giornalisti sono stati intercettati? Per quanto tempo? Era necessario farlo? Perché, nel depositare tutto, si è passati sopra la regola dell’effettiva rilevanza degli ascolti? Chi ha sbagliato? È stata la procura a sbagliare prima nell’autorizzare gli ascolti chiesti dalla polizia giudiziaria, addirittura per sei mesi nel caso di Nancy Porsia? E poi a commettere un altro errore nel depositare tutto il materiale senza distinguere tra conversazioni rilevanti e irrilevanti? Sono questi gli interrogativi a cui dovrà rispondere l’inchiesta aperta dalla Guardasigilli Cartabia. Che presto vedrà entrare in scena gli ispettori
Che cosa è successo alla procura di Trapani
Ma proviamo a capire cos’è successo alla procura di Trapani, ufficio di frontiera da sempre associato alla ricerca del latitante di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro. Lì, da maggio dell’anno scorso, è procuratore facente funzioni Maurizio Agnello, ex pubblico ministero a Palermo, dov’era considerato un “dimatteiano”.
Appena qualche giorno fa proprio Agnello ha illustrato alla stampa l’inchiesta sui dati Covid sottodimensionati che ha provocato le dimissioni dell’assessore alla Salute della regione Sicilia Ruggero Razza.
Tant’è che più d’uno nota la singolare coincidenza tra quest’ultima inchiesta e la notizia delle intercettazioni che sono state depositate da più di un mese, ma spuntano fuori proprio adesso di fatto mettendo sul banco degli imputati la procura che ha chiesto gli ascolti.
Agnello è arrivato a Trapani come procuratore aggiunto il 4 febbraio 2019. E da maggio 2020 è anche il procuratore facente funzioni perché lascia l’ufficio il procuratore Alfredo Morvillo, il cognato di Giovanni Falcone. Ovviamente è singolare che il Csm, per un ufficio di frontiera che indaga sul latitante Matteo Messina Denaro, non abbia ancora proceduto alla scelta del capo della procura. Ma tant’è. Agnello è lì. E dovrà rendere conto a via Arenula sull’accaduto.
Un fatto, dalla sua ricostruzione, emerge però già con chiarezza: le tre forze di polizia che indagano sulla Iumenta (squadra mobile di Trapani, il Servizio centrale operativo della polizia di Stato, il suo centro d’eccellenza, e la Capitaneria di porto) hanno chiuso un’informativa finale di 600 pagine e l’hanno consegnata alla Procura di Trapani a giugno del 2020.
In queste carte – secondo quanto sostiene il procuratore – non vi sarebbe stata alcuna traccia di intercettazioni né di Porsia, né di altri colleghi. Tant’è che lo stesso Agnello ne scopre l’esistenza solo adesso.
Per rispettare la chiusura delle indagini a novembre la procura notifica il prossimo deposito delle carte e procede con le traduzioni che richiedono tre mesi. A febbraio il deposito è operativo. Non succede nulla fino alla settimana scorsa quando, subito dopo il caso Covid-Regione, scoppia quello delle intercettazioni dei giornalisti.
A questo punto però bisogna capire chi ha consentito le intercettazioni
Fino all’aprile del 2019, quindi per oltre due anni, sull’inchiesta ha lavorato il pubblico ministero Andrea Tarondo che da quel momento però lascia tutto e parte per il Perù dove lavora a un progetto patrocinato dall’Unione europea.
È stato lui quindi che ha consentito l’intercettazione di Nancy Porsia, nonché la sua proroga per ben sei mesi. Come pm ha chiesto l’ascolto, che un gip ha autorizzato per molto tempo, nonostante Porsia non fosse indagata. Ma oggi la procura dice che nell’udienza stralcio chiederà al gip di distruggere tutte le intercettazioni che non sono rilevanti. Testi che però ormai sono nelle mani degli avvocati.
Non solo. Il problema non è solo la diffusione delle intercettazioni, ma il fatto stesso che i giornalisti direttamente o indirettamente siano stati ascoltati. Questo ha sollevato il caso in Parlamento dove fioccano le interrogazioni e ha spinto Marta Cartabia agli accertamenti. Per capire come sia stato possibile intercettare Porsia per ben sei mesi. E, seppure indirettamente, ascoltare altri sei cronisti.
(da “La Repubblica”)
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