INSIEME NEL MONDO
LE TESTIMONIANZE DEGLI ITALIANI CHE VIVONO L’EMERGENZA CORONAVIRUS NEGLI ALTRI PAESI
Vivere l’emergenza coronavirus è difficile, lo stiamo sperimentando quotidianamente. Viverla da lontano, quando si è residenti in un altro Paese del mondo lo è ancor di più. Perchè si percepisce ancora di più la lontananza dagli affetti e perchè si vive in un contesto che, a livello di misure di sicurezza, sembra essere ancora lontano rispetto ai metodi impiegati in Italia. A ciò si aggiunge la sottovalutazione del problema in molti Paesi del mondo, delle loro autorità e dei loro stessi cittadini.
Va da sè che gli italiani all’estero si sentano ancora più soli e con una maggiore responsabilità sulle spalle: quella di far capire a chi vive insieme a loro la quotidianità che il coronavirus è un’emergenza seria, da non prendere sottogamba. Per questo Insieme in Rete, associazione che promuove l’esercizio consapevole della cittadinanza digitale, ha lanciato l’iniziativa ‘Insieme nel mondo’: una raccolta di video-testimonianze di tanti italiani che vivono e lavorano all’estero e che stanno affrontando l’emergenza coronavirus in un contesto che, spesso, non combacia con la percezione del rischio che c’è in Italia.
Tutti gli italiani all’estero possono inviare la propria testimonianza all’indirizzo insiemeinrete2018@gmail.com e possono così contribuire ad allargare questa community virtuale che ha l’obiettivo di raccontare come gli italiani vivono l’emergenza nelle varie parti del mondo e di fornire indicazioni utili a tutte quelle persone che affrontano l’emergenza coronavirus lontano dal loro Paese. Video che arrivano da Barcellona, da Bruxelles, da Londra, da Edimburgo, da Toronto, da San Francisco, dalla Polonia, da Berlino, da Atene, da Lisbona, da Coimbra, da Blekinge (Svezia): alcuni esempi per dare l’idea dell’ampiezza di questa rete che si sta formando.
«L’Italia è stata tra i primi a dover fronteggiare il coronavirus, una pandemia che viviamo tutti con enorme preoccupazione, in special modo per le zone più colpite dall’emergenza sanitaria — ha sottolineato Flavio Alivernini di Insieme in Rete -. Gli italiani in questi giorni si stanno attenendo a regole molto stringenti, stanno restituendo al mondo una rappresentazione plastica di quanto la nostra comunità nazionale sia determinata e compatta nel contenere il nemico. All’estero vivono sei milioni di italiani e noi vogliamo fare un piccolo sforzo per cercare di portare la loro voce quanto più possibile vicina alle loro famiglie. Ci faremo raccontare le loro storie, le loro paure, le loro speranze. “Insieme in rete” metterà a disposizione i propri canali di comunicazione per lanciare i tantissimi video che stiamo già ricevendo da ogni parte del mondo».
Barcellona
E le prime testimonianze stanno già arrivando. Steven Forti (apri qui per la sua testimonianza video), docente e attivista che vive a Barcellona, ad esempio, ha parlato subito dopo che il presidente spagnolo Pedro Sanchez ha annunciato il lockdown in tutto il Paese, con misure molto simili a quelle che sono entrate in vigore in Italia: «La comunità italiana in Spagna è molto numerosa — ha spiegato Steven Forti -. Gli italiani hanno cercato di far capire sin da subito alla popolazione spagnola che non si poteva continuare a vivere come se nulla fosse successo. E in questo hanno avuto un ruolo molto importante: le sardine di Barcellona, ad esempio, hanno fatto un comunicato invitando tutti a stare in casa. Stupisce questa presa di coscienza così lenta: fino a qualche giorno fa a Valencia si stava celebrando una delle feste più attese dell’anno, le Fallas. Ma dal fine settimana del 15 marzo, la situazione in Spagna è praticamente identica a quella italiana».
Bruxelles
Il funzionario europeo da Bruxelles Francesco Cerasani (apri qui per la sua testimonianza video), invece, traccia un quadro totalmente diverso della situazione: «Nonostante i belgi siano abituati a misure di lockdown, soprattutto in caso di minacce terroristiche, sto vedendo ancora troppa gente per strade. Mi sembra che non si sia compresa la gravità della situazione in questo momento: ho visto persone che continuano a frequentare i parchi, anche con i bambini. Inoltre, nell’ultimo giorno prima della chiusura dei ristoranti e dei locali, c’erano ancora tanti ragazzi che sono andati a cena fuori e si sono assembrati in diversi punti della città . Le comunità italiane a Bruxelles che sono tantissime hanno insistito moltissimo sui social network per chiedere delle misure più stringenti alle autorità locali. Il mio pensiero va soprattutto a quegli italiani che sono qui da meno tempo e che vivono una situazione ancora non ben definita dal punto di vista del contatto con il sistema sanitario belga: in questa situazione è molto importante avere un contatto con il proprio medico curante ed è bene che questa situazione venga prevista soprattutto da quei giovani che vivono a Bruxelles da meno tempo, magari con il supporto delle nostre autorità ».
Londra
La giornalista e scrittrice Cristina Marconi (apri qui per la testimonianza video), invece, vive il paradosso di una Gran Bretagna intimorita dalle parole di Boris Johnson, ma allo stesso tempo ancora stoica in una resistenza all’emergenza. «È vero che i supermercati si stanno svuotando, che mancano alcuni generi come la cartaigienica, ma è anche vero che nel week-end si sono viste scene di pub ancora pieni. La strategia di Boris Johnson ha generato panico, ma dopo che la stampa e gli esperti hanno criticato il premier, il governo ha lasciato trapelare quelle che saranno le prossime misure di contenimento del virus. Si parla di una quarantena di quattro mesi per gli anziani al di sopra dei 70 anni e l’adozione di misure speciali per le persone che violano la quarantena. L’opinione pubblica non è ancora del tutto consapevole di quanto sia pericoloso questo virus. Ma si sta ragionando sulla lunga prospettiva: sia per quanto riguarda l’economia nazionale, sia per quanto riguarda eventuali tensioni sociali»
Toronto
Il ricercatore e analista di economia politica a Toronto Nicola Melloni (apri qui per la testimonianza video) racconta di una comunità italiana in Canada in apprensione per quanto sta accadendo: «La situazione del coronavirus in Canada è in continua evoluzione. Le risposte del governo sono state abbastanza timide, lasciando al settore privato se e come continuare le attività lavorative. Le scuole resteranno chiuse approfittando anche di un periodo di vacanza previsto ogni anno in questo periodo. I segnali della politica sono contrastanti: le autorità locali dell’Ontario, ad esempio, hanno invitato i cittadini a uscire e ad approfittare di questo periodo di break. Ovviamente, sappiamo tutti in Italia quanto questi consigli contraddittori rispetto alla situazione attuale possano essere dannosi. Nelle prossime ore si potrà confermare lo stop alle attività commerciali. Il Canada risente della vicinanza con gli Stati Uniti, che è una bomba a orologeria: il confine è molto lungo ed è difficile da controllare nel caso dello scoppio di una epidemia. Come italiani in Canada, si risente molto dell’effetto dei collegamenti con il nostro Paese che saranno completamente tagliati. Non riusciremo a tornare in Italia, se ce ne fosse la necessità e questo per noi è motivo di grande apprensione»
San Francisco
Isabella Weiss, da Valbranca — San Francisco, racconta così l’emergenza coronavirus negli Stati Uniti (apri qui per la testimonianza video), una delle grandi potenze accusata di aver sottovalutato la portata della malattia: «Finalmente Trump ha ammesso che c’è un problema, mentre lo aveva negato fino a qualche giorno fa. Dopo la dichiarazione d’emergenza, siamo molto preoccupati: sono stati fatti pochissimi test e non sappiamo quale sia la situazione dei positivi. In California siamo 40 milioni di persone e i test ricevuti sono stati meno di 8000. Non siamo tranquilli per niente, nonostante il fatto di aver dato più poteri agli stati e di aver dato libertà agli ospedali di assumere più personale».
Polonia
Paola Floris è una studentessa Erasmus che sta completando i suoi studi all’università Niccolò Copernico di Torun, il capoluogo della Pomerania, in Polonia (apri qui per la testimonianza video). «Anche qui sono stati sospesi i voli con l’estero, mentre sono consentiti gli spostamenti all’interno del Paese. Sono state sospese anche le attività commerciali non essenziali nel Paese. Pochi studenti Erasmus hanno deciso di lasciare la Polonia: non possiamo fare altro che rispettare le norme e uscire soltanto per fare la spesa».
Berlino
Anche Federico Quadrelli (apri qui per la testimonianza video) è uno studente che vive a Berlino e che sta sperimentando le difficoltà del contagio, con le università chiuse e il forte senso civico che lo porta a restare in Germania. «La percezione è molto diversa dall’Italia: le persone, anche in virtù di alcuni dati rassicuranti, continuano a vivere una vita normale, andando nei locali e a fare la spesa. Le scuole sono chiuse a macchia di leopardo, perchè l’istruzione — essendo la Germania una Repubblica Federale — è una materia di competenza dei vari Land tedeschi. Tuttavia, non è vero che non si sta muovendo nulla, dal momento che le università sono chiuse e sono state sospese anche le sessioni di laurea e, inoltre, sono state sospese tutte le manifestazioni pubbliche. Qui si vive abbastanza tranquillamente, io resto qui in Germania, resto a casa e ne approfitto per leggere i tanti libri che ho acquistato»
Atene
Michele Sergi, invece, pubblica un video da Atene (apri qui per il contenuto integrale): «Riguardo al coronavirus, la situazione è ancora abbastanza tranquilla. Non ci sono numeri rilevanti, ma il governo greco aveva già preso alcune misure precauzionali, come la chiusura delle scuole e la cancellazione degli eventi di massa, compresi gli eventi sportivi. I ristoranti sono chiusi da questo week-end, tranne quegli esercizi che preparano pasti d’asporto. Per il resto, non ci sono grosse limitazioni: non è vietato uscire, non è vietato circolare per le strade. Le passeggiate con amici sono permesse. Il governo ha comunque diramato un’allerta e ha invitato la popolazione a restare a casa il più possibile, incentivando le aziende a operare in regime di smartworking».
Edimburgo
C’è anche chi, come Sara Badilini, è arrivata a Edimburgo nel corso dell’emergenza coronavirus, quando questa non era ancora nella sua fase acuta (apri qui per il video completo). Non ha avuto alcun problema a lavorare per il suo ente di volontariato in questi giorni, mentre all’aeroporto le hanno chiesto solamente la provenienza: l’unico ostacolo sarebbe stato rappresentato da un suo arrivo da una delle zone rosse. «Quattro giorni fa mi hanno chiesto di mettermi in isolamento per due giorni, cioè quando sarebbero scaduti i 14 giorni dal mio arrivo nel Regno Unito dall’Italia. Ma io, nei 12 giorni precedenti ho girato in maniera indisturbata per la Scozia, avendo contatti stretti con persone che viaggiano sui mezzi pubblici, con le persone al lavoro, con il mio coinquilino. L’emergenza non è affatto avvertita come in Italia»
Coimbra
Andrea Zaniboni è in Erasmus a Coimbra: «La situazione in Portogallo è molto diversa dall’Italia, qui c’è un solo caso. La gente è ancora molto tranquilla, ma da questo fine settimana anche i portoghesi hanno iniziato a capire che l’unico modo per bloccare la diffusione del virus è quello di restare a casa. Le scuole e le università sono chiuse, ma non sono ancora state prese misure drastiche. Anche io, da oggi, ho deciso di non uscire più, anche sulla base di quello che è successo in Italia e di quello che mi raccontano i miei familiari e i miei amici».
Lisbona
Marcello Sacco da Lisbona offre un ulteriore punto di vista sul Portogallo nel corso di questa emergenza coronavirus (apri qui per il video completo): «La sensazione è che anche qui si sia sottovalutata l’emergenza. Non è mancato chi, anche tra voci autorevoli, ha dato la colpa a quanto successo in Italia alla scarsa organizzazione nel nostro Paese. Tuttavia, occorre ricordare che uno dei casi più famosi di coronavirus al mondo, quello dello scrittore cileno Luis Sepulveda, è partito proprio dal Portogallo. Qui l’autore aveva partecipato a un festival letterario. Dopo questa prima fase di negazione, tuttavia, il Paese ha dovuto fare i conti con il virus, che è arrivato anche qui. Ora, si stanno prendendo misure più serie, legate soprattutto alla chiusura di scuole e università ».
Svezia
Il coronavirus è emergenza anche in Svezia, dove abbiamo raccolto la testimonianza di Paola Canu-Kullman, che ha inviato il suo video da Blekinge: «La situazione è abbastanza tranquilla: il governo cerca di mantenere la calma o almeno di dare una parvenza di calma. La comunicazione avviene spesso, in modo tale da tenere la nazione informata e da dimostrare che il governo è forte. Le misure precazionali sono quelle consigliate dall’Oms e che vengono seguite anche in tutta Europa. In Svezia sono stati cancellati tutti i concerti e i grandi eventi, così come gli assembramenti di persone. La maggior parte delle popolazione in Svezia è concentrata nelle grandi città ed è proprio qui che si concentra il contagio».
Andalusia
Le parole di Claudio Pizzo, Jaà«n, Andalusia (apri qui per il video completo): «Siamo preoccupati, speriamo che finisca tutto al più presto. Non siamo ancora ai livelli dell’Italia, ma le previsioni sono che ci arriveremo anche qui. Confido nel buonsenso delle persone, che resteranno a casa. Tuttavia, il lavoro continua: e questa la vedo come una contraddizione. Mi auguro che la situazione migliori anche da voi in Italia. In Andalusia fa molto caldo, potrebbe essere questo il motivo di un contagio diverso del virus».
(da Giornaletttismo)
Leave a Reply