INTERVISTA A DAVIGO: “PER METTERE FINE AL CONFLITTO TRA POLITICA E GIUSTIZIA BASTEREBBE CHE I POLITICI NON RUBASSERO”
IL NEO PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE MAGISTRATI: “LA LEGGE PER REGOLARE LE INTERCETTAZIONI C’E’ GIA’, RENZI SU DI NOI HA DETTO BUGIE”
«Far intendere che i magistrati lavorano poco, e da questo dipende il disastro della giustizia è una bugia».
La replica di Piercamillo Davigo, neopresidente dell’Associazione magistrati, al premier Matteo Renzi arriva dritta e immediata.
Per il passato, quando il capo del governo intervenne sulle ferie troppo lunghe dei giudici, e forse per il presente, visto che ripete a ogni piè sospinto che le sentenze tardano troppo ad arrivare.
«Noi lavoriamo tanto, e lavoriamo bene», insiste Davigo, riscuotendo l’applauso delle toghe che hanno deciso di eleggerlo a loro rappresentante anche per fronteggiare meglio la nuova tensione che s’è creata con il potere esecutivo.
E riferendosi al «Brrrr… che paura» con cui il presidente del Consiglio ribattè alla protesta dell’Anm sul taglio unilaterale delle vacanze, un anno e mezzo fa, dice: «Non mi è piaciuto per niente».
Poi spiega: «Noi rivendichiamo meriti e invochiamo rispetto da parte di tutti. Prima di fare il magistrato ho lavorato in Confindustria e mi occupavo di relazioni sindacali; non ho mai visto un datore di lavoro che decide la riduzione delle ferie senza consultare la controparte».
Ma da allora le questioni sul tavolo sono aumentate, con nuove emergenze. Dopo l’inchiesta di Potenza si ricomincia a parlare di riforma delle intercettazioni: «Siamo alle solite, si pensa di curare la malattia cambiando il termometro. Non mi pare un buon sistema…».
Stavolta, però, il mirino non pare puntato sull’uso delle microspie da parte della magistratura, bensì sulla pubblicazione delle colloqui registrati sui giornali.
Risposta del nuovo leader dell’Anm: «Se nelle intercettazioni pubblicate non c’è attinenza con i reati, o i fatti riportati non sono veri, c’è già la legge sulla diffamazione che si può applicare, quindi non vedo dove sia il problema. Certo però che se i fatti sono attinenti e di interesse pubblico, come i personaggi coinvolti, allora è un altro discorso. Come si può pretendere che non se ne parli?».
L’indagine di Potenza ha portato alla ribalta il reato di «traffico d’influenze», varato nel 2012, e c’è già chi lo contesta.
Ma per Davigo quella riforma è stata fatta tardi e male: «Sarebbe bastato aggiungere al millantato credito, punito con una pena fino a 5 anni di carcere, il “vantato credito”, seguendo le indicazioni della giurisprudenza. Invece che hanno fatto? Hanno introdotto il nuovo reato per chi non millanta ma favorisce realmente qualcuno in cambio di utilità , punendolo con la pena fino a 3 anni, cioè meno di chi millanta. Dov’è la logica?».
Nelle sue reazioni il premier Renzi ha difeso l’autonomia del Parlamento nel fare le leggi, mettendosi a disposizione dei magistrati per rivendicare gli emendamenti governativi finiti negli accertamenti dei pubblici ministeri lucani.
Anche questa, per Davigo, è una forzatura: «Nessuno si è mai sognato di mettere in discussione il potere legislativo. Il problema è se emergono elementi che fanno sospettare qualcosa di illecito nell’ iter di formazione di certe leggi».
In quei casi, per Davigo, è giusto indagare. Ma pure su questo c’è chi ha da ridire: non piacciono i magistrati alla ricerca dei reati.
Il neo-presidente delle toghe risponde con una battuta: «Se i reati spuntassero come le margherite nei prati il nostro lavoro sarebbe molto più semplice…».
Insomma, l’antifona è chiara: l’ex pm di Mani Pulite è pronto a rispondere colpo su colpo. E sulla comunicazione confida molto, esplicitando una filosofia quasi renziana: «È essenziale farsi capire. Dicono che dovremmo parlare solo con le sentenze, che spesso sono illeggibili per necessità tecniche. Invece noi dobbiamo essere chiari, con frasi brevi e semplici, per spiegare ciò che altrimenti resterebbe incomprensibile».
Nè sembra impressionato da una nuova stagione di scontro tra politica e magistratura: «Una volta, in una trasmissione televisiva, mi fu chiesto come si poteva fare per mettere fine al conflitto tra politica e giustizia. Risposi che la soluzione si troverebbe facilmente se i politici smettessero di rubare».
E davanti ai suoi colleghi, quasi a illustrazione del programma che intende perseguire nell’anno in cui guiderà l’Anm, afferma: «Non esistono governi amici nè governi nemici. Noi dobbiamo tutelare la giurisdizione. Che ci siano dialettica e anche momenti di tensione è pressochè inevitabile. Del resto, come disse Lord Byron (poeta e politico inglese di inizio 800, ndr ) esistono i Paesi in cui le decisioni della magistratura incontrano i favori dei governi, ma non sono i Paesi in cui si vorrebbe vivere».
Giovanni Bianconi
(da “Il Corriere della Sera”)
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