INTERVISTA A SERGIO ROMANO: “TRUMP, LE PEN, SALVINI: NEL NUOVO POPULISMO C’E’ SEMPRE UN POTENZIALE TIRANNO”
TUTTI SEDOTTI (E USATI) DA PUTIN
Matteo Salvini, Marine Le Pen, Donald Trump e tutti gli occidentali affascinati da Vladimir Putin guardano il presidente russo e vedono riflesso in lui ciò che non possono confessare di essere: “Potenziali tiranni. In ogni leader del nuovo populismo ve n’è nascosto uno”.
Sergio Romano — ex ambasciatore alla Nato e in Unione Sovietica, professore ed editorialista del Corriere della Sera — ha appena pubblicato per Longanesi “Putin e la ricostruzione della grande Russia”, un libro che ritrae senza tifo nè pregiudizio un uomo e uno statista enigmatico e popolare (nel suo paese), capace nello stesso tempo di far suonare tutti gli allarmi della russofobia occidentale e di sedurre una parte della politica europea e statunitense, come non succedeva da tempo, riuscendo a costruire un nuovo protagonismo internazionale della Russia: “Putin non si è mai espresso sul referendum italiano, e capisco perfettamente perchè — spiega all’Huffington Post Romano —: un suo intervento sulle riforme sarebbe stato mal compreso e giudicato come un’ingerenza. Probabilmente, Putin preferisce Renzi a un suo eventuale e incerto successore, ma non lo direbbe mai: per non nuocere nè alla Russia nè al presidente del consiglio italiano”.
Scrive: “Per governare l’immenso spazio di cui si è impadronita, la Russia ha bisogno di una ideologia e di una missione”. Qual è quella di Putin?
«Putin ha elaborato un’ideologia che si fonda sulla grandiosità della storia russa e che consente a tutti i popoli che compongono il Paese di identificarsi con essa. Nella sua visione, non c’è più una prima e un dopo l’Unione Sovietica: c’è una linea di continuità che va dall’insurrezione contro gli invasori polacchi del Seicento sino a alla guerra vinta da Stalin contro il nazismo”.
Non c’è Lenin, però.
Per la sua narrazione di grandezza, Putin non poteva fare a meno di raccontare quel glorioso avvenimento patriottico che è stata la vittoria nella seconda guerra mondiale contro Hitler, di cui Stalin fu protagonista. Certo, Putin ha rimosso la parte più conflittuale della storia di Stalin: le purghe, la brutalità , i gulag. Così come ha accantonato la rivoluzione bolscevica. Entrambe le vicende avrebbero esacerbato le differenze che ci sono nel paese, anzichè contribuire a forgiare l’unità del popolo russo.
È una memoria selettiva
Sì, ma Putin non ha nemmeno ripudiato la memoria di Lenin: la sua salma è ancora custodita nel mausoleo della Piazza Rossa e il presidente russo sa che in essa si riconosce una parte della società russa post sovietica. Putin ha preferito lasciare le cose come sono, per non creare conflitti.
È un problema questo rifiuto di elaborare la storia?
A differenza di quanto accaduto in tutte le democrazie occidentali, in Russia il passato non è stato mai messo sul banco degli imputati. Con il sessantotto, in Europa comincia un processo con il quale i figli mettono in discussione i padri, giudicando le scelte che hanno compiuto. Il fascismo, il nazismo, il colonialismo diventano colpe collettive da espiare. In Russia non è accaduto nulla di simile. E quando durante un convegno — provocatoriamente — domandai perchè, mi risposero che i russi si erano scusati con i popoli baltici e che non avevano altri mea culpa da fare. “Abbiamo vinto la guerra contro i nazisti — è il loro ragionamento —: di cosa dovremmo vergognarci?”
Il sessantotto ha contestato i padri. Putin, invece, li recupera.
Che a Putin non piaccia il sessantotto, non è sorprendente. Pensi all’episodio delle Pussy Riot. In occidente, ci saremmo scandalizzati, certo, ma avremmo liquidato l’episodio come una trovata goliardica. Per lui, è inconcepibile. È così preoccupato che la società gli sfugga di mano che non può consentire nemmeno un atto del genere.
C’era anche un attacco alla Chiesa Ortodossa in quel gesto.
Putin — che sia o meno un sincero devoto — fa un uso politico della religione ortodossa, con la finalità di unificare il paese all’insegna di una fede identitaria che da sempre è un collante della storia russa. E quando tu decidi che l’ortodossia è un elemento d’identità nazionale, un attacco alla Chiesa Ortodossa diventa una sfida all’intera nazione russa.
Per essere governata, la Russia ha bisogno necessariamente di un sistema autoritario?
Avrei tendenza a crederlo, anche se in ogni paese possono sempre accadere grandi rinnovamenti. L’esperienza dice a Putin che non avere il controllo del paese è molto pericoloso. Pensi a cosa è successo con Boris Eltsin, che pure aveva dei tratti di genialità politica e coraggio civile. Gli oligarchi si erano impadroniti del paese, vendendo sul mercato internazionale le risorse naturali: il gas, il petrolio, i minerali. Si sono arricchiti senza mai pagare tasse. Hanno comprato televisioni e giornali per manipolare l’opinione pubblica e orientare il consenso. Erano uno stato nello stato. Putin li ha fermati, perchè erano diventati un elemento di disgregazione del paese.
Perchè spesso — da noi — questo merito non gli è riconosciuto?
Nel sangue delle democrazie occidentali circola una diffidenza nei confronti della Russia, un vecchio sentimento russofobo, non del tutto infondato, ma con dei tratti pregiudiziali.
Eppure, in questi anni, in Europa e negli Stati Uniti ci sono leader che sono stati sedotti da Putin: Matteo Salvini in Italia, Marine Le Pen in Francia e il nuovo presidente americano, Donald Trump.
Nei personaggi del nuovo populismo, sotto sotto, c’è sempre un potenziale tiranno. Percepiscono Putin come un alleato e un compagno di strada. Credono che possa contribuire con i suoi metodi e con le sue strategie allo smantellamento dell’ordine democratico. Viceversa, quando Putin si sente incalzato dall’occidente, è pronto a usare e agitare tutti i fermenti anti sistema che trova nelle democrazie. Più che un rapporto di cuginanza, è un rapporto strumentale.
L’autoritarismo di Putin è una risposta all’attuale fragilità del modello democratico?
Se le democrazie occidentali potessero rappresentare agli occhi del russo medio un modello da imitare — come è stato molte altre volte nella storia — sarebbe molto più facile dire ai russi che si può percorrere un’altra strada. Le democrazie sono malate. Non riescono più a funzionare secondo quel modello di alternanza con il quale lo sconfitto riconosceva pienamente il vincitore, confermando ogni volta le virtù della democrazia.
Con Trump presidente degli Stati Uniti, crescerà il ruolo di Putin nel mondo?
Se Donald Trump sarà un isolazionista, come promette di essere, per Putin sarà un bene. La politica portata avanti dalla Nato — con l’allargamento della sua influenza a sempre più paesi dell’Europa orientale — viene percepita dalla Russia come una minaccia diretta. D’altronde, quando Putin denuncia il principio dell’extra-territorialità americana, temo abbia ragione: dire che le leggi di uno stato possono valere contro tutti, è la più smaccata manifestazione di una politica egemonica. E saremmo dovuti essere noi i primi a contestarlo e indignarci.
(da “Huffingtonpost”)
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