INTERVISTA A SUSY DE MARTINI: “TOTI IN LIGURIA FINIRA’ PER PROPORRE SCHETTINO COME PRESIDENTE DEL PORTO DI GENOVA”
“SI’ ALL’EUROPA DEI POPOLI, NO A QUELLA DELLA FINANZA E DELLA PERDITA DI SOVRANITA'”… “CON L’INIZIATIVA DI FITTO QUALCOSA NEL CENTRODESTRA SI STA MUOVENDO, SIAMO SOLO ALL’INIZIO”
È stata l’antesignana e, per certi versi, la “curatrice” della mossa di Fitto di lasciare il Ppe per aderire al gruppo dei Conservatori e riformisti europei (Ecr), guidato da David Cameron.
Susy De Martini, neuropsichiatra, ex europarlamentare del Pdl, e oggi rappresentante in Italia dell’Ecr, due anni fa — prima italiana — ha deciso di abbandonare il Partito Popolare Europeo, inaugurando di fatto una nuova strada per il centrodestra.
Onorevole De Martini, è corretto dire che Fitto ha ripercorso una strada da lei indicata?
«Io sono uscita dal Ppe per una coerenza nei confronti degli elettori: non si può criticare in Italia l’atteggiamento della Merkel, e poi andare in Europa e indossare un’altra casacca, quella del Ppe, cioè del partito della Merkel, in una forma di schizofrenia politica. Facendo questo, si diventa complici del vero patto del Nazareno, che avviene a Bruxelles tra Ppe e Partito socialista e costringe l’Europa all’austerity. Apprezzo pertanto il gesto di Fitto, che ha avuto il coraggio di sottrarsi a quell’abbraccio mortale e di appoggiare Cameron in tempi non sospetti, prima ancora che lui vincesse».
Cosa comporta, in soldoni, stare dalla parte di Cameron e non della Merkel?
«Significa chiedere di abbassare le tasse, di ridurre la spesa pubblica superflua, di investire nella produttività , di creare posti di lavoro, cosa che la Gran Bretagna sta già facendo, con oltre 1000 occupati in più al giorno e 2 milioni di posti in più negli ultimi due anni. E poi significa rifiutare la logica dell’uomo solo (o della donna sola) al comando, come capita in Europa con la Merkel, e come è capitato e sta capitando in Italia prima con Berlusconi e adesso con Renzi».
Si potrebbe sintetizzare la vostra posizione, dicendo che non siete nè euro-entusiasti alla Renzi nè euroscettici alla Grillo o alla Le Pen?
«Preferisco metterla in positivo: noi siamo eurocritici. Va bene l’Europa della pace e dei popoli, ma non quella delle tasse e della perdita di sovranità nazionale. Sui temi della politica estera, riteniamo che sia inutile affidarsi a una difesa unica europea: meglio valorizzare la Nato. Quanto all’immigrazione, riteniamo che si dovrebbe rivedere il trattato di Dublino (quello secondo cui il migrante può ottenere diritto d’asilo solo nel Paese europeo in cui arriva, ndr), stabilire un programma di aiuto ai Paesi africani per contenere i flussi e controllare le partenze dei migranti, attraverso navi dell’Alto Commissariato dell’Onu. Basta con la retorica buonista di accogliere tutti».
Eppure queste proposte sembrano non essere ascoltate dall’Ue e dalla Mogherini…
«Federica Mogherini è una persona perbene, ma non adatta a quell’incarico, non al livello degli altri leader internazionali. Perdipiù il suo ruolo non ha alcun peso politico, come ha già dimostrato il suo predecessore, Catherine Ashton. I veri commissariati che contano in Europa sono quelli economici».
Alcuni contestano al vostro gruppo un’apparente contraddizione: è impossibile essere conservatori e riformisti insieme.
«La verità è che la rivoluzione conservatrice e quella liberale sono due movimenti che si tengono. Lo aveva capito bene Margaret Thatcher, che è stata la prima a coniare lo slogan “conservare e riformare”. La semplice conservazione dei valori è un atteggiamento da ottusi; così come lo è la volontà di riformare o di rottamare tutto. Il segreto sta invece nel rendere vivo, adeguato ai tempi, il deposito della tradizione».
La scelta del vostro gruppo, anche a livello internazionale, sembra netta: dalla parte di Washington e non di Mosca…
«Certo, perchè i Conservatori e riformisti fanno capo a un’alleanza più vasta, di cui sono parte i Repubblicani americani. E con quel mondo bisogna interloquire, arrivando alla firma del Ttip, il trattato commerciale con gli Usa, che consentirebbe di eliminare le barriere doganali tra Europa e Stati Uniti e creare un mercato unico. Quell’accordo garantirebbe 400mila posti di lavoro in più nel nostro continente e l’aumento del 30% delle nostre esportazioni. Ma la firma del trattato è osteggiata dalla Germania, che così facendo vedrebbe minacciata la sua egemonia sul commercio interno europeo».
Venendo in Italia, Fitto ha appena creato il gruppo dei Conservatori e riformisti in Senato. Da quali temi si riparte, e con chi si inizierà a dialogare per un’alternativa a Renzi: Tosi, Meloni, Passera?
«Il movimento di Fitto è ambizioso: punta ad attirare investimenti in Italia, ad abbassare le tasse, a non far andar via i giovani dal nostro Paese. Quanto alle alleanze, i nomi che lei fa sono tutti validi e sarebbe bello costruire con loro qualcosa insieme».
Intanto, ritiene soddisfacente la performance di Fitto in Puglia (18,3%)?
«È stato un risultato straordinario, se si considera che ha avuto solo venti giorni per mettere su la lista e il suo candidato, Schittulli, ha ottenuto 4 punti in più rispetto alla Poli Bortone».
E la vittoria di Toti nella sua Liguria, invece?
«Lì il trionfo è stato di Salvini, non di Toti. E comunque è imbarazzante che Forza Italia abbia scelto un candidato che non sapeva neppure dove fosse Novi Ligure, uno convinto che l’acquario di Genova venisse gestito dal Comune e non dai privati, uno che vuole Bertolaso come assessore alla Sanità . A questo punto, gli suggerirei di scegliere Schettino per guidare il porto di Genova…».
Gianluca Veneziani
(da “L’lntraprendente“)
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