INTERVISTA AL GIUDICE DEL LAVORO RIVERSO: “RESTA IL LICENZIAMENTO DISCRIMINATORIO? MA NON TUTELA NESSUNO”
“LA FUNZIONE DELL’ART. 18 E’ LA DETERRENZA, NON SI PUO’ CONCEDERE AL DATORE DI LAVORO LA FACOLTA” DI LICENZIARE USANDO UN MINIMO PRETESTO”
“Resta l’articolo 18 per il licenziamento discriminatorio? Di cause per il discriminatorio non ne ricordo nessuna. Questa tipologia non ha mai tutelato nessuno”.
Il magistrato Roberto Riverso, giudice del lavoro al Tribunale di Ravenna, saggista e studioso qualificato del diritto del lavoro, non ha dubbi su quello che sta per accadere con la riforma dell’articolo 18.
Perchè mantenere la giusta causa solo per i licenziamenti discriminatori, come intende fare il governo, non è sufficiente a tutelare il diritto?
Perchè la vera funzione dell’articolo 18 è la deterrenza. L’azienda, cioè, non può, per giustificare un licenziamento, inventare un motivo presunto perchè sa che ci sarà un giudice che lo considererà nullo. Io non ricordo nessun caso di qualcuno che è riuscito a provare una discriminazione nei propri confronti.
Perchè per provarla servono due elementi: un motivo unico e determinato e l’onere della prova.
Per i lavoratori è difficilissimo motivarli entrambi. In Italia non è come nel mondo anglosassone. Negli Stati Uniti la tutela ha una estensione più ampia. Un datore di lavoro che licenzia un “nero” deve dimostrare lui di non aver agito per discriminazione. In Italia la legge non funziona così.
Quanto è ampia, invece, l’efficacia della tutela dai licenziamenti disciplinari?
Il problema è se si concede a un datore di lavoro di poter licenziare con un minimo pretesto. In questo caso viene a mancare la deterrenza e così il lavoro non è democratico.
Cosa intende per minimo pretesto?
Le faccio un esempio che mi è capitato. Un lavoratore iscritto alla Fiom, che si era presentato alle elezioni Rsu, ha preso delle vecchie scarpe antinfortunistiche bagnate e le ha consegnate a una lavoratrice che ne era sprovvista. È stato licenziato per furto e, ovviamente, reintegrato. Il fatto era evidentemente pretestuoso. Ma se si elimina quel tipo di tutela si apre la strada all’abuso.
La precisazione del governo che si qualificheranno le fattispecie del licenziamento disciplinare costituisce o meno una garanzia ?
Si tratta di un palliativo. Hanno fatto la stessa cosa con la riforma Fornero. In realtà hanno ‘spacchettato’ il disciplinare.
Cosa significa?
Con la riforma, attualmente in vigore, si sono stabilite tre tipologie: nel caso in cui il fatto non sussiste si da il reintegro. Stessa cosa avviene quando il fatto è compreso tra i casi regolati dai contratti collettivi nazionali. In tutte le altre ipotesi, invece, non c’è più il reintegro e il giudice può decidere per l’indennizzo. Probabilmente lo spacchetteranno ancora.
Qual è l’obiettivo?
Quello che si vuole ottenere è legittimare un ‘fatto lieve’. Licenziare, ad esempio, perchè si arriva in ritardo o, caso limite, perchè, magari, un lavoratore prende una scatoletta di tonno in un supermercato. Ma si può licenziare per una scatoletta di tonno? Se si può licenziare per un fatto lieve l’abuso è sempre dietro l’angolo.
Perchè difendere l’articolo 18?
Proprio perchè quell’articolo non consente alle imprese di fare quello che vogliono. Un dipendente vive un rapporto di lavoro subordinato e quindi è soggetto all’autorità . Ma se quell’autorità può fare quello che vuole si cade nell’abuso. E si viola la Costituzione.
Salvatore Cannavò
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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