ISRAELE HA IL COLTELLO DALLA PARTE DEL MANICO PERCHÉ CONSERVA I SEGRETI DIGITALI DELL’OCCIDENTE: È NEI SOFTWARE DI TEL AVIV CHE “GIRANO”, SI ARCHIVIANO E SI PROTEGGONO ALCUNE DELLE INFORMAZIONI PIÙ SENSIBILI DI GOVERNI, MINISTERI, FORZE DELL’ORDINE E SERVIZI SEGRETI EUROPEI
PARTENDO DAL REPARTO DI ÉLITE DEL MOSSAD PER LA CYBER–INTELLIGENCE, ISRAELE HA COSTRUITO UN ECOSISTEMA TECNOLOGICO-MILITARE UNICO AL MONDO. SENZA DIMENTICARE GLI SPYWARE, COME QUELLO DI PARAGON, UTILIZZATI PER SPIARE I GIORNALISTI
Se c’è una cosa che i governi occidentali, Italia inclusa, sembrano voler evitare con ogni mezzo è uno scontro diretto con Israele. Anche quando l’evidenza dei fatti – dai bombardamenti su Gaza agli attacchi alle missioni umanitarie – renderebbe legittime domande scomode, la reazione ufficiale resta cauta, sfumata, o del tutto silente.
Non è solo una questione di geopolitica o di rapporti storici. È anche – e forse soprattutto – una questione di infrastrutture digitali. Perché negli ultimi vent’anni, Israele è diventato la “cassaforte informatica” dell’Occidente: è nei software israeliani che girano, si archiviano e si proteggono alcune delle informazioni più sensibili di governi, ministeri, forze dell’ordine e servizi segreti europei. Una sorta di “scatola nera”, insomma.
Israele ha costruito nel tempo un ecosistema tecnologico militare unico al mondo, frutto dell’intreccio tra università, esercito e intelligence.
È dal reparto di élite del Mossad per la cyber–intelligence, considerata la “Silicon Valley della guerra digitale” che provengono molto spesso fondatori e dirigenti di decine di startup e colossi dell’hi-tech che
sviluppano strumenti di sorveglianza, intercettazione, profilazione e controllo dei dati venduti ai governi occidentali sotto forma di “sicurezza nazionale”.
Senza dimenticare poi quei software capaci di trasformare un semplice smartphone in un microfono permanente senza lasciare traccia (numerosi giornalisti italiani e non, ne sanno qualcosa). Fatti che dimostrano al mondo quanto sia sottile il confine tra protezione e spionaggio. Dopo i recenti scandali, il problema non è scomparso: è solo diventato più invisibile.
Ci sono Paesi che usano prodotti israeliani per gestire dati classificati. Se volessero, gli israeliani avrebbero la mappa completa delle vulnerabilità digitali dell’intero continente europeo. Non è detto che lo facciano, ma è tecnicamente possibile. E questo basta e avanza per tenere tutti i governi occidentali in silenzio
Anche l’Italia è parte di questa rete invisibile. Alcune procure italiane, reparti speciali e persino alcune aree dei servizi si affidano a piattaforme israeliane per la gestione dei dati d’indagine, intercettazioni, riconoscimenti biometrici e attività forensi digitali. I contratti spesso sono coperti da vincoli di riservatezza. Ma il flusso di tecnologia va in una sola direzione: da Israele a Roma, Berlino, Parigi, Madrid.
“Chi possiede le chiavi dei software ha il potere di monitorare ciò che accade. Anche nei governi alleati”, racconta un esperto di intelligence. “La vera forza di Israele oggi non è solo militare: è digitale. E nessuno vuole mettersi contro chi può potenzialmente accedere a tutto, anche agli elementi più nascosti e riservati”.
Il legame è reso ancora più forte da accordi industriali, collaborazioni tra intelligence, programmi di formazione congiunti, missioni Nato e partecipazioni incrociate tra fondi sovrani e aziende private.
L’espansione dell’industria tech israeliana nel settore della sicurezza
non è un effetto collaterale, ma il risultato di una strategia statale pianificata. L’obiettivo: essere indispensabili, soprattutto per chi ha il potere. Ed in alcuni casi e stesse aziende forniscono contemporaneamente software a Stati democratici e a regimi autoritari.
Per questo, anche chi vorrebbe criticare Israele si ferma un passo prima. Non è solo paura delle reazioni diplomatiche o del peso della lobby filo-israeliana: è una forma di autodifesa sistemica. Chi tocca Israele, rischia di farsi male.
Cresce la consapevolezza di essere in ostaggio tecnologico di un alleato potentissimo e non più affidabile come un tempo.
Per ora, nessuno ha la forza politica di spezzare questo vincolo. Ma la domanda serpeggia in più di una cancelleria: chi controlla davvero la nostra sicurezza? E fino a che punto siamo ancora in possesso della nostra sovranità?
(da /lespresso.it)
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