LA CINA HA VINTO, TIENE PER LE PALLE TRUMP E PUTIN: XI JINPING VA ALL’INCONTRO DI GIOVEDÌ CON IL PRESIDENTE USA CONVINTO DI AVER TROVATO LE CHIAVI DELLA CASA BIANCA
RISPETTANDO I DIVIETI SUL GREGGIO RUSSO, PUÒ FORZARE PUTIN A FERMARE L’AGGRESSIONE. MA LO FARÀ? CON L’IRAN LA CINA SI È GIÀ DIMOSTRATA PRONTA A IGNORARE I VINCOLI OCCIDENTALI (COMPRA IL 90% DEI BARILI DI TEHERAN)”
Non importano la disoccupazione giovanile della Cina o i ventenni che non vogliono più
lavorare dodici ore al giorno, sei giorni su sette, come i loro padri.
Né importano il crac immobiliare e la paralisi dei consumi. Non questa settimana. Xi Jinping deve avvicinarsi al vertice con Donald Trump pieno di fiducia nei propri mezzi.
In un sistema internazionale segnato dalle guerre commerciali più dure da un secolo, quest’anno a tutto settembre l’export cinese ha continuato a crescere: più 6% sugli stessi mesi del 2024, le dogane di Pechino.
Sotto il peso dei dazi e delle tensioni politiche con la Casa Bianca, le vendite negli Stati Uniti sono sì crollate del 17%. Ma per la Cina compensa l’aver dirottato i propri prodotti verso l’Unione europea (più 8,2% di export, con Italia e Germania investite in pieno). E compensa anche il boom di export verso l’Asia stessa, Filippine e Vietnam per primi.
Su tutto il resto del mondo Pechino ha poi continuato a praticare un protezionismo diverso da quello di Trump solo perché non è dichiarato, ma palese nei numeri: meno 4% di acquisti dall’Unione europea, meno 8% solo dall’Italia.
In confronto sono gli Stati Uniti a non aver ancora trovati equilibrio, dopo la grande scossa dei dazi impressa da Trump. A tutto luglio l’export americano è sostanzialmente fermo nel 2025 — al netto dell’inflazione — mentre l’import è persino salito di duecento miliardi di dollari perché le imprese hanno riempito i magazzini proprio per paura dei rincari doganali.
Dietro i numeri ciò che agisce È la politica, intesa come puri e semplici rapporti di forza. Ha scritto il Wall Street Journal giorni fa che Xi, di fronte al ritorno di Trump, ha incaricato una task force di sviluppare un concetto nuovo su come negoziare con la Casa Bianca.
Ne facevano parte il suo capo di gabinetto Cai Qi, il responsabile economico He Lifeng e l’ideologo di partito Wang Huning. Il loro avviso: non limitarsi a reagire a Trump, ma offrire concessioni su ciò che a Pechino interessa di meno e presentare le minacce più pesanti di quelle di Trump stesso su ciò che per Xi conta di più.
Così il leader cinese ha assecondato la cessione ad azionisti americani delle attività della cinese TikTok negli Stati Uniti e importerà di nuovo soia dal Mid-West. Ma quando la Casa Bianca ha ripreso a parlare di controlli sulle forniture di semiconduttori, ha reagito con durezza anche maggiore: il 9 ottobre ha fatto annunciare al suo ministero del Commercio una stretta all’export di terre rare raffinate, che servono per smartphone, computer, auto, missili e molto altro.
È bastato questo per spingere Trump al compromesso. Le terre rare, nel suolo, sono presenti in tutto il mondo. Se Pechino controlla il 90% di quel mercato, è perché accetta sul proprio territorio i processi altamente inquinanti necessari a raffinarle. Gli Stati Uniti o l’Europa potrebbero spezzare questo monopolio solo dopo […] dieci anni o più
Per questo Xi Jinping va all’incontro di giovedì con Trump convinto di aver trovato le chiavi della Casa Bianca. Le stesse sanzioni di Trump sulle major del petrolio di Mosca, Rosneft e Lukoil, non possono che rafforzare la sua certezza. Con esse Xi, ancor più di prima, ha in mano il voto decisivo sulla guerra in Ucraina: rispettando i divieti sul greggio russo, può forzare Vladimir Putin a fermare l’aggressione per mancanza di fondi.
Ma lo farà? Con l’Iran, sottoposto alle attuali sanzioni sul petrolio dal 2012, la Cina si è già dimostrata pronta a ignorare i vincoli occidentali e capace di gestire una rete industriale parallela: del vasto export di barili iraniani, compra almeno il 90%. Ma anche sull’Ucraina in fondo Xi può presentare il suo prezzo per rispettare i divieti degli americani: vuole che gli Stati Uniti dichiarino la loro «opposizione» formale all’indipendenza di Taiwan. Poco importa, a Xi, che forse nemmeno Trump può essere così sfacciato da scambiare la salvezza di Kiev per la condanna di Taipei.
(da Corriere della Sera)
Leave a Reply