LA FOTO DI GIULIANO FERRARA CON IL BASTONE IN MANO: QUANDO I VIOLENTI ERANO LORO
LA NOSTRA CLASSE DIRIGENTE A PROVA DI MANGANELLO: GIULIANO FERRARA CON I MANICI DI PICCONE, MARONI CHE MORDEVA I POLPACCI AGLI AGENTI, LA RUSSA CAPOPOPOLO QUANDO MORI’ L’AGENTE MARINO… SONO GLI STESSI CHE OGGI CHIEDONO IL PUGNO DI FERRO
In una foto c’è Giuliano Ferrara con un bastone in mano a Valle Giulia nella battaglia simbolo della rivolta studentesca del ’68.
Nell’altra, è il 1977, lo stesso è chiamato a “risolvere” una bega interna alla sinistra davanti all’Università di Torino.
Il 2 marzo di quell’anno, la Fgci le aveva prese dai compagni di Lc e dell’Autonomia. Il giorno dopo gli uomini del servizio d’ordine del Pci e della Cgil capitanati da Ferrara scaricano da un furgone un fascio di manici di piccone da distribuire ai compagni.
Per qualche ora, sulla scalinata e nell’atrio di Palazzo Nuovo, le due sinistre se le suonano di santa ragione.
Poi le cariche e i lacrimogeni della polizia.
Altra epoca.
Come sembra appartenere al secolo passato, non fosse per i protagonisti, quello che accadde il 12 marzo 1973 a Milano.
Durante una manifestazione non autorizzata del Msi, dal corteo furono lanciate contro la polizia due bombe a mano: una ferì un passante e un celerino, l’altra lasciò a terra senza vita Antonio Marino, poliziotto 22enne.
Ignazio La Russa, segretario del Fronte della Gioventù in Lombardia e oggi ministro della Difesa, era lì in prima fila.
Passano gli anni, ma la piazza rimane una palestra politica importante per chi è destinato a ricoprire incarichi istituzionali.
Il sindaco di Roma Gianni Alemanno e il deputato Pdl Fabio Rampelli finirono in carcere nel maggio 1989, quando provarono a bloccare il corteo presidenziale di Bush padre diretto al cimitero di Nettuno.
Ottobre 1996: la pm Tiziana Siciliano spedì agli onorevoli Umberto Bossi, Roberto Maroni, Roberto Calderoli, Mario Borghezio, Davide Caparini e Roberto Martinelli, un invito a comparire per i fatti di via Bellerio, quando gli esponenti del Carroccio impedirono alla Digos di perquisire la sede del partito così come richiesto dalla procura di Verona che indagava sulle Camicie Verdi.
All’attuale ministro dell’Interno veniva contestato di aver afferrato “per le gambe” un sovrintendente e un ispettore capo intervenuto in soccorso del primo, azzannandolo ai polpacci.
L’ispettore sarebbe poi stato strattonato “violentemente” da Bossi che gli avrebbe strappato “il giubbino e la giacca d’ordinanza”.
Frattanto l’on. Caparini “ingaggiava una colluttazione con gli agenti per impedire loro di scendere le scale”.
Maroni prese 4 mesi e 20 giorni.
Altra epoca.
Oggi sono tutti in prima fila contro la violenza.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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