LA LIGURIA NON CE LA FA PIÙ: “NON CI RESTA CHE SCAPPAREâ€
L’ACQUA SI SCATENA DA PONENTE E INVESTE LA REGIONE: UNA TRAGEDIA ANNUNZIATA
Non c’è rifugio. Non c’è posto dove nascondersi.
Non la strada che sembra un fiume, non la tua casa che poggia sulla terra sempre più molle, inconsistente.
Senti un boato forte, che ti entra dentro, e non sai se è un tuono o la collina che ti crolla addosso.
Puoi solo aspettare, tu, i tuoi figli. Puoi pensare, uno per uno, alle persone che conosci, che ami, chiederti dove sono adesso.
È successo ancora una volta. E non ti ci abitui mai. Mai.
L’orizzonte che scompare come inghiottito dalle tenebre, le case in lontananza che svaniscono, poi anche quelle più vicine come cancellate.
Alla fine il cielo ti piomba addosso, la luce del sole si spegne e tu sei solo nella tua casa, chiuso nella stanza più in alto.
Aggrappato al nulla.
Cade un fulmine, spacca l’aria e il respiro. Poi una tromba d’aria squassa gli alberi, addosso ti si riversano tonnellate d’acqua. Non capisci più dove ti trovi.
Il Nord, il mare, dove sono? Il cerchio della paura si stringe: prima temi per l’auto, mentre vedi in lontananza le macchine trascinate come Lego.
Poi pensi alla casa. Infine alla vita.
Ancora un’alluvione. Ma stavolta la Liguria non ce la fa più.
Non ce la fa più la terra intrisa d’acqua. E non ce la fanno più gli uomini, le città deserte come per un attacco aereo.
Guardi le luci della casa di fronte, pensi che non sei solo. Telefoni a raffica ai genitori, agli amici, poche parole, essenziali, “Tutto bene?”, poi cerchi gli altri. Ancora e ancora.
Da Imperia a Savona, da Genova alla Spezia. Non si salva nessuno.
È cominciato a Ponente. Poi via via in tutta la regione. Il panico che arrivava prima delle nubi, annunciato dalle immagini internet dei paesi colpiti prima del tuo.
Certo, c’erano stati gli allarmi, ma qui ormai non c’è più allerta che tenga. “Non uscite di casa”, avverte il sindaco di Genova, Marco Doria. L’assessore alla Protezione Civile della Regione, Raffaella Paita, lancia appelli alla Protezione Civile. Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, promette l’intervento dell’esercito.
Ma ci sono anche sindaci che chiedono l’impiego dei cassintegrati. Tentativi di evitare la tragedia che, però, rivelano ormai l’impotenza.
Se qualcosa c’era da fare — smetterla col cemento, bonificare la terra malata, investire miliardi per ridisegnare i fiumi invece che in grandi opere — bisognava pensarci prima, anni fa.
La mano scura del ciclone prima passa su Imperia, poi attacca Albenga, Savona, Albisola. Il fiume si gonfia, si gonfia.
La gente cerca rifugio, si muove come può: vedi ragazzi con la muta da sub, addirittura su un surf che galleggia per strada.
Genova aspetta, è solo questione di tempo , lo sai. Tocca prima all’entroterra, a Busalla: acqua, dappertutto. Il metanodotto che si spezza.
Esondano — che parola fredda, inadeguata per descrivere questa distruzione — il Cerusa e lo Stura. Il vortice frusta le alture, Borzoli e Mignanego. Piomba sulla Val Polcevera, sul Ponente di Genova.
A Serra Riccò un uomo di 66 anni resta intrappolato nell’auto trascinata via. Trecentocinquanta millimetri d’acqua cadono, corrono sul cemento, in pochi minuti fanno scoppiare il torrente, trascinano auto, camion.
A Cornigliano sfiorano tre operai che si salvano per un soffio. In strada nessuno: solo le casacche gialle di polizia, protezione civile, vigili, a lavorare a due passi dall’acqua e dalla terra.
E già siamo oltre, in Val Bisagno , ancora una volta: il Fereggiano sale, sale. Questione di centimetri e sarebbe il disastro. Dal Comune partono 109mila telefonate e 120mila sms di allarme.
La gente è barricata nelle case, interi condomini si rifugiano ai piani alti: tutti insieme, famiglie riunite dalla paura, ad ascoltare tv e internet, a scambiarsi messaggi su Facebook per non sentirsi soli.
Via, via, siamo già a Sturla, Quarto, Nervi. C’è un vento che ti strappa da terra, il mare picchia sulla costa, respinge indietro l’acqua dei torrenti, aumenta il disastro. Dappertutto cadono massi, si aprono frane (oltre cento), la terra non sta più insieme. “Dio mio, il raccolto!”, urla Gianni Marsano, contadino, e col suo trattore corre verso l’orto.
Non ha senso, lo sa benissimo, ma infila le mani nella terra ridotta a poltiglia.
“Non sai nemmeno che cosa pregare… che vada via… ma dove, sulla testa di quei poveri cristi del Tigullio?”, respira veloce Teresa De Santis, 77 anni. Trema.
Guarda Genova che si intravvede dalla sua finestra. Le strade vuote, le insegne assurde dei negozi che lampeggiano in una città deserta, le sirene che si rincorrono.
È finita? Non illudetevi. Ecco un altro scroscio. Un boato, tremano i vetri: “Scappiamo?”, chiede Giovanni, 9 anni.
Già , ma dove? Chiuse le autostrade, bloccati i treni che corrono nelle montagne disfatte, scappati gli aerei.
Puoi solo restare con il viso appoggiato al vetro, come Giovanni e i fratelli: guardare, e aspettare.
Ferruccio Sansa
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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