LA SCONFITTA DI SALVINI NELLA VITTORIA DEL CENTRODESTRA: 120.000 IN MENO E IL RISCHIO DI PERDERE LA LEGA
IL FANTASMA DEL PAPEETE, LA GUERRA DI LOGORAMENTO DEI BOSSIANI E I GOVERNATORI PRONTI A FARE DA SOLI
Nel centrodestra che vince in Abruzzo c’è uno sconfitto: Matteo Salvini. Non tanto per i quasi venti punti percentuali persi dalla Lega nel confronto con il 2019. Perché le condizioni di partenza erano troppo diverse: all’epoca il Carroccio sfruttava le difficoltà del Movimento 5 Stelle nel governo Conte I e il Capitano sembrava destinato ad arrivare a Palazzo Chigi. Poi il Papeete ha rovinato tutto. Ma soprattutto per le prospettive future. Perché anche il 34,3% raggiunto alle elezioni europee è destinato a fare la stessa fine. E intanto intorno a lui si addensano nubi. Quelle dei governatori delle regioni a Nord-Est, che sono ancora arrabbiati per il flop leghista sul terzo mandato. E ipotizzano di correre da soli. E quelle dell’opposizione interna. Che alza di nuovo la testa e chiede un passo di lato al segretario.
L’analisi della sconfitta
Dalle urne in Abruzzo la Lega esce con il 7,6% e 120 mila voti in meno. In Sardegna era andata peggio dal punto di vista delle percentuali, con quel 3,7% che però era spiegabile con la mancata candidatura di Solinas e le frizioni con il Partito Sardo d’Azione. E il voto disgiunto a favore di Todde era lì a dimostrarlo.
Ma la Lega arretra anche rispetto alle elezioni politiche del 2022, quando nella regione era all’8,1%. Ma nel voto in Abruzzo c’è anche un altro dato che innervosisce il Carroccio: il sorpasso di Forza Italia. Nei progetti di Salvini c’era anche quello di prendersi i voti azzurri dopo la scomparsa di Silvio Berlusconi. E invece per adesso è Antonio Tajani che pesca nel carniere del centrodestra ed esulta per aver superato il 10%. Tanto che c’è chi ipotizza un Salvini pronto a far saltare il banco del governo dopo il voto delle Europee.
Il fantasma del Papeete
Ma si tratta di un’ipotesi che non tiene conto del fatto che così il Capitano farebbe lo stesso errore fatto con Conte. E che all’epoca invece di finire a Palazzo Chigi andò all’opposizione con tutto il partito. Il fantasma di un nuovo Papeete sembra quindi esorcizzato. Piuttosto, spiega oggi Repubblica, sono i bossiani che tornano a picconare il leader. Paolo Grimoldi, un tempo vicino a Umberto Bossi, ha chiesto a Salvini «un passo di lato». E di togliere il suo nome dal simbolo della Lega alle elezioni europee «per evitare un’altra sconfitta».
Una prospettiva che farebbe malissimo al Capitano, che aveva attribuito – non a torto – la rivitalizzazione della Lega proprio alla presenza del suo cognome nel simbolo. Ma il pericolo maggiore per Salvini viene dai governatori.
Zaia e Fedriga
Nei giorni scorsi c’è chi ha ipotizzato una reggenza duale nel Carroccio: dentro, per gestire i rapporti con i territori, il presidente del Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga. Un’ipotesi smentita dal diretto interessato. Mentre quel Luca Zaia che molti vorrebbero al posto di Salvini ha detto che non vuole commentare le altalene di voti: un chiaro riferimento ai risultati alti prima e bassi poi del suo leader.
Intanto il quotidiano racconta che nel Veneto roccaforte i leghisti cominciano a pensare a correre da soli. Ovvero a rompere il centrodestra e ad affidarsi a quelle liste civiche che proprio con il governatore veneto hanno cominciato a sbocciare. La cartina di tornasole saranno i comuni. Dove si annunciano accordi separati con Forza Italia dove i candidati sono ritenuti forti.
Triste, solitario y final
In mezzo tra tutte queste forze centrifughe c’è Salvini. Che non vuole fungere da capro espiatorio di un partito da sempre diviso tra aspirazioni di potere romane e rappresentazione politica di un territorio che invece vuole sempre più indipendenza. L’idea di candidare Roberto Vannacci al Sud doveva servire a tamponare l’emorragia di voti dopo la sbornia del 2019. Ma già oggi sembra essere diventata difficoltosa, tra critiche dei leghisti della prima ora e inchieste giudiziarie sul generale. Intanto Salvini pensa di far partire la campagna delle europee non da una città del settentrione ma da Roma. Anche questo sarebbe un modo per rischiare tutto e aggrapparsi a un risultato che alla fine potrebbe essere negativo. E lasciare il Capitano triste, solitario y final.
(da Open)
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