LA STAMPA: “CONTE PUÒ TUTTO, ANCHE L’INCOERENZA, SENZA MAI PAGARE DAZIO: È CONTRO IL RIARMO E PER LA PACE, QUINDI DOVREBBE ESSERE CONTRO TRUMP, MA INVECE SU TRUMP È INDULGENTE; È CONTRO NETANYAHU, MA NON CONTRO CHI GLI LASCIA MANO LIBERA (SEMPRE TRUMP); SI SCANDALIZZA MOLTO SUI BAMBINI DI GAZA, PARLA POCO DI QUELLI UCRAINI, ANZI QUANDO NE PARLA LA COLPA NON È DI CHI LI AMMAZZA MA DI ZELENSKY CHE NON SI ARRENDE
“IL CONTE 2 E’ IL GOVERNO CHE AUMENTÒ LE SPESE MILITARI CHE ORA VENGONO CONTESTATE ASSIEME ALLA NATO. A GIORGIA MELONI SI CHIEDE GIUSTAMENTE CONTO DEL WATERGATE ITALIANO DEI GIORNALISTI SPIATI, MENTRE SU LUCA CASARINI, INTERCETTATO AI TEMPI DEL CONTE 2, SILENZIO”
Per togliersi dall’imbarazzo della piazza, Elly Schlein è volata in Olanda al congresso del partito socialista. Col cuore, c’è da scommetterci, era tra i manifestanti. Quella è la sua posizione. Del resto, più volte ha forzato la linea del suo partito “contro il riarmo”, fin dove possibile per non spaccarlo. E proprio il sistema di compatibilità l’ha spinta a non esserci, pur autorizzando la partecipazione dei suoi, sempre in omaggio alle ragioni del cuore.
È chiaro che, se la linea del Pd è il “vorrei ma non posso”, a guidare è chi “vuole e può”. E la radice della leadership di Conte è proprio questa, che può tutto, anche l’incoerenza, senza mai pagare dazio: è contro il riarmo e per la pace, quindi dovrebbe essere contro Trump, ma invece su Trump è particolarmente indulgente, memore di “Giuseppi”; è contro Netanyahu, ma non contro chi gli lascia mano libera (sempre Trump); si scandalizza molto sui bambini di Gaza, parla poco di quelli ucraini, anzi quando ne parla la colpa non è di chi li ammazza ma di Zelensky che non si arrende.
A modo suo è tecnicamente un genio del trasformismo, uno dei costumi italici più radicati, complice l’indulgenza di chi non lo incalza mai su nulla, sulla base di una propria visione autonoma. Come non lo incalzò nel passaggio tra il Conte 1 e il Conte 2, il governo che poi aumentò le spese militari che ora vengono contestate assieme alla Nato.
E nemmeno dopo la caduta di Draghi, considerato dal Pd una specie di uomo della provvidenza. Lui è ancora lì a menare le danze, e nel frattempo ha fatto fuori Di Maio, Grillo, e si gode le convulsioni del Pd sulle armi. Gli altri tacciono su tutto, per cui si assiste al classico dei doppi standard: a Giorgia Meloni si chiede di scegliere tra “Trump e l’Europa”, ma la stessa richiesta non viene fatta all’alleato che non ha speso nemmeno una parola su Guantanamo.
A Giorgia Meloni si chiede giustamente conto del Watergate italiano dei giornalisti spiati, mentre su Luca Casarini, intercettato ai tempi del Conte 2, silenzio, forse per il timore di una chiamata in correità.
E va bene, tutte queste contraddizioni sono coperte dall’impostazione
emergenziale: mica si può andare tanto per il sottile se c’è il fascismo che avanza, anche se il Paese non lo percepisce come tale. E la premier, nonostante una classe dirigente improbabile e un governo immobile, ha gli stessi voti di prima. Però quelle contraddizioni sono un bel problema in chiave interna. Al Pd pensano di gestire Conte con le poltrone: gli promettiamo la presidenza del Senato o gli Esteri, e via libera ad Elly candidato premier. A naso, una pia illusione.
La verità è che tutto questo racconta di un deficit di visione che, a proposito di congressi dei socialisti, riguarda l’intera famiglia progressista. Ove sono al governo, i socialisti scimmiottano la destra. È il caso delle politiche migratorie: Keir Starmer, emula Giorgia Meloni col Kosovo al posto dell’Albania, l’Spd fa i “rimpatri” nell’Afghanistan dei talebani e la leader danese Mette Frederiksen col suo modello “zero rifugiati”, se possibile, è diventata un modello per la destra. Ove è all’opposizione, come in Italia, guida la sinistra radicale.
Alessandro De Angelis
per “la Stampa”
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