LA VICENDA CHE HA COINVOLTO IL TENENTE PASQUALE STRIANO, ACCUSATO DI ESSERE IL BARICENTRO DI UNA CENTRALE DI DOSSIERAGGIO
IL FINANZIERE, CHE “SPIAVA” IL MINISTRO CROSETTO, STAVA IN REALTA’ FACENDO CONTROLLI ANTI-RICICLAGGIO SU DUE FRATELLI, DA LUI CONSIDERATI VICINI A ESPONENTI DEL CRIMINE ORGANIZZATO, E SI È ACCORTO CHE IL MINISTRO DELLA DIFESA CONDIVIDE CON LORO QUOTE IN TRE DIVERSE SOCIETÀ
I giornali hanno denunciato l’esistenza di una centrale di dossieraggio dei politici dentro alla Direzione nazionale antimafia. In realtà la vicenda del tenente P.S. (non è un maresciallo come ha scritto qualcuno) indagato per accesso abusivo a banche dati informatiche potrebbe essere un po’ più articolata
La questione riguarda il ruolo centrale assunto dal Servizio segnalazioni operazioni sospette presso la Dna, nel cui perimetro operativo si muoveva un apposito gruppo di lavoro composto da uomini della Gdf e della Direzione investigativa antimafia. Ne facevano parte alcuni di quelli che erano considerati i migliori investigatori su piazza
Le prime interrogazioni ai database individuate come sospette risalgono al 28 luglio, al 10 ottobre e al 20 ottobre 2022 e ad esse sarebbero seguiti articoli del quotidiano Domani.
Quel che è certo è che P.S., sino a novembre, quando è stato trasferito, ha lavorato in base ai vecchi standard che consentivano al gruppo di lavoro di accedere liberamente alle banche dati senza dover compilare o firmare moduli di richiesta di autorizzazione.
Spesso non venivano nemmeno compilate informative finali dopo la lavorazione delle Sos riguardanti soggetti già attenzionati dall’Antimafia e selezionate nel mare magnum delle segnalazioni (145.000 nel solo 2022).
Tutte le attività, almeno sino a pochi mesi fa, non necessitavano di nullaosta formali.
Gli unici paletti erano rappresentati dal tema delle ricerche: le investigazioni dovevano rimanere nell’ambito del riciclaggio e della criminalità organizzata. In passato le Sos venivano inviate unicamente alla Guardia di finanza e alla Dia, poi grazie a un protocollo firmato con la Dna, quegli alert sono entrati nella disponibilità dell’Antimafia
P.S. ha spiegato: «Io seguivo l’andamento criminale e sociale del Paese. Per esempio ho fatto degli appunti riservati su come la criminalità organizzata si stava infiltrando nelle varie attività durante il periodo della pandemia. È chiaro che ho dovuto fare mille interrogazioni per capire i loro business con i dispositivi anticovid e i canali di riciclaggio».
Per questo aveva la massima libertà. Ma a volte, invece, riceveva precisi input. Per esempio i vertici della Dna gli avrebbero chiesto un report riservato sui rapporti tra Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, una storia che P.S. approfondiva dai tempi in cui si era occupato della latitanza in Libano dell’ex senatore palermitano. Ma altri accessi sono stati effettuati anche su Giuseppe Conte, sulla compagna Olivia Paladino, dopo l’emersione sui giornali degli affari di famiglia di quest’ultima. Indagini sarebbero state fatte anche sui movimenti di denaro di Matteo Renzi, ma pure su Matteo Salvini e sul suo collaboratore Armando Siri, quando quest’ultimo venne coinvolto in un’inchiesta per autoriciclaggio e per finanziamento illecito della Procura di Roma.
Nella storia di P.S. ci sono anche vicende curiose, come una risalente al 2021. Nell’occasione uno dei pm che coordinavano il suo lavoro gli aveva chiesto di indagare su una speculazione edilizia che stava per partire davanti alla casa al mare della toga. Ma quella che sembrava una richiesta interessata, mandò a monte un affare milionario portato avanti da soggetti collegati alla ‘ndrangheta e a personaggi del cosiddetto Mondo di mezzo. Adesso le indagini della Procura di Perugia dovranno accertare se questi e molti altri accessi siano serviti anche, per esempio, per fornire notizie ai giornali. Infatti l’inchiesta umbra parte da una denuncia di Crosetto presentata nella Capitale dopo l’uscita di un articolo del Domani del 27 ottobre che riguardava gli emolumenti che il ministro aveva percepito dalla società Leonardo.
A quanto ci risulta il finanziere avrebbe un rapporto di antica amicizia con il giornalista Giovanni Tizian, uno degli autori dello scoop dell’ottobre 2022, e i due si sarebbero incontrati anche nei giorni sotto osservazione. Ma secondo la difesa di P.S. quelle richieste alle banche dati non erano abusive in quanto facevano parte di un lavoro che l’investigatore stava portando avanti e che lambivano il ministro. In sostanza più che davanti a un accesso abusivo ci troveremmo di fronte a una sorta di rivelazione di segreto.
All’uomo, che non si era sbarazzato (mostrando buona fede o ingenuità) dei dispositivi elettronici, sono stati sequestrati telefonino e computer. Nel frattempo il cinquantottenne ufficiale napoletano delle Fiamme gialle aveva inviato, come detto, il suo appunto sia alla Procura di Roma che alla Procura nazionale antimafia. «Il nostro lavoro non è trovare persone condannate, ma quelle “pulite” che riciclano soldi» è il mantra di P.S..
Nel documento il finanziere ricostruisce i passaggi della sua ricerca «illecita». Il punto di partenza sarebbe stata un’indagine sulle «attuali mire espansionistiche nella città di Roma» di alcune famiglie di ‘ndrangheta
L’oggetto dell’annotazione è così specificato: «Presunta attività di riciclaggio di capitali illeciti nel tessuto economico imprenditoriale di Roma. Accertamenti preliminari nei confronti di Mangione Giovanni e Mangione Gaetano».
A molti questi nomi non diranno nulla, ma con i suoi vecchi collaboratori l’indagato ha spiegato: «Io mi sono scaldato quando durante le mie indagini ho trovato i fratelli Mangione che sono due signori camminano in giacca e cravatta e acquisiscono bed and breakfast in tutta Roma in vista del Giubileo che ci sarà».
I Mangione, occorre dirlo subito, risultano soci di Crosetto in tre società che offrono servizi di bed and breakfast: la Apollinare Srl, la Torsanguigna Srl e la Zanardelli Srl.
In queste tre ditte hanno quote anche due ex calciatori della Lazio, Giuseppe Favalli e Giuliano Giannichedda. Crosetto detiene il 28 per cento di tutte e tre.
P.S. nel suo appunto concede che il ministro possa essere «ignaro» delle presunte relazioni pericolose dei fratelli Mangione. Secondo l’indagato questi ultimi, come «accertato illo tempore», sarebbero stati «indagati per avere posto a disposizione di sodalizi criminali, la loro opera nel riciclare denaro illecito, attività che potrebbe essere stata reiterata nel tempo, atteso la vicinanza a personaggi funzionali alle dinamiche imprenditoriali di organizzazioni camorriste, ‘ndranghetiste e autoctone operanti nella Capitale» e sarebbero «risultati intranei e/o comunque saldamente vicini e funzionali a esponenti di primo piano di diversi sodalizi operanti nella Capitale, dediti soprattutto a una sistematica opera di riciclaggio».
L’excursus prende il via dall’indagine su un narcotrafficante arrestato nel 2018, Fausto Pellegrinetti, che avrebbe avuto rapporti finanziari con la famiglia Mangione. Gaetano e Giovanni sarebbero emersi nelle attività investigative «perché implicati nell’importazione e gestione di macchinette da gioco attraverso società costituite in Brasile e nell’isola del Jersey, settore economico ove Pellegrinetti aveva deciso di investire i capitali illeciti».
La nota prosegue: «Ulteriori e preliminari approfondimenti sui fratelli Mangione, hanno fanno emergere un particolare attivismo in attività imprenditoriali nel settore ricettivo e della ristorazione, partendo dalla gestione di un ristorante a Roma nella nota zona di Ponte Milvio (denominato Met), già oggetto di cronache giudiziarie, e nel cui ambito, è stata appreso, operavano anche uomini riconducibili a Massimo Carminati».
Gaetano Mangione sarebbe anche il «gestore del Dom hotel» di via Giulia, 5 stelle collocato di fronte all’ingresso della Dna. L’investigatore in disgrazia collega due presunti soci dei Mangione a un imprenditore reggino ritenuto vicino alla cosca dei Piromalli e attenzionato dalla Dna a partire dal 2016. Uno di loro sarebbe indicato in un decreto di misure di prevenzione «quale soggetto di fiducia» dell’imprenditore sopra citato e avrebbe persino ricevuto somme di denaro, «quale testa di legno», dal boss Vincenzo Ruggiero, «ritenuto esponente di famiglie di ‘ndrangheta operanti a Roma».
Infine l’appunto segnala la presunta vicinanza e gli affari dei Mangione con un’altra famiglia sottoposta a misure di prevenzione e accusata in passato di concorso esterno a un sodalizio camorristico. Il documento è adesso al vaglio dell’autorità giudiziaria, che dovrà decidere se offra spunti investigativi o se, invece, il suo estensore, un investigatore navigato, non si sia macchiato del reato di calunnia. Intanto Crosetto ieri ha esultato dopo la discovery dell’indagine sul tenente che lo spiava: «È grave che pezzi dello Stato abbiano lavorato per indebolire le istituzioni».
(da La Verità)
Leave a Reply